Contributo alla discussione
Si possono esprimere diverse valutazioni su quella che è definita la stagione del riflusso politico e della militanza, il fenomeno che ha colpito la società italiana, e in particolar modo le forze sociali e sindacali della sinistra, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Il pensiero unico ha intaccato la società a tal punto da far percepire l’impegno politico volto al cambiamento, come qualcosa di inutile. Questa dinamica ha dato vita ad uno svuotamento progressivo delle strutture politiche organizzate, a un progressivo ridimensionamento del ruolo culturale di queste strutture, e sempre più a un indebolimento, fino a giungere al quasi totale annullamento della coscienza di classe.
Chi ha avuto un ruolo in questo processo, oltre alle forze della sinistra che in un certo senso hanno abdicato al loro ruolo di organizzare la società e di esercitare un peso nel senso comune, è la parte più retrograda e regressiva del capitale italiano, quella che oggi sta al governo. Uno dei fattori che ha inciso maggiormente nel cambiamento epocale dei costumi e della cultura italiana è stato il ruolo della televisione commerciale. Sicuramente i motivi di questa mutazione sociale ed antropologica di portata nazionale sono numerosi, ma credo che il ruolo della televisione commerciale rappresenti un fattore determinante. Il ruolo poderoso che questo strumento di comunicazione ha giocato e gioca nel senso comune lo riconoscono tutti. Con l’avvento della televisione commerciale però il suo ruolo ha subito una terribile deriva: la propaganda di modelli culturali e di valori tutti legati alla logica del mercato, del profitto, ha finito per dar vita ad una “spettacolarizzazione della realtà” e cioè ha portato al trionfo un unico valore, il profitto, e ha ricomposto dentro la sfera dell’apparire ogni differenza sociale, ogni condizione di vita materiale. Ha creato uno spostamento epocale: da una società basata sull’avere, ad una società basata sull’apparire. Tuttavia le differenze materiali permangono ed oggi con la crisi si palesano e riemergono.
Tuttavia credo che per valutare bene il periodo del riflusso sia necessario considerare anche un altro aspetto, e cioè il fenomeno che ha spinto molte persone a scegliere di impegnarsi in associazioni, strutture assistenzialiste ed in quelle che concentrano la loro attività su questioni specifiche o legate ad un territorio circoscritto. Questo fenomeno è molto forte oggi, come dimostrano, ad esempio le associazioni antimafia che stanno vivendo una fase molto vivace e parlano a vaste parti della società.
In questo contesto è più che mai necessario che i comunisti e le forze della sinistra che si vogliono porre come alternativa siano portatori di un progetto politico che contenga un’analisi complessiva dello sviluppo della società, dell’economia e che soprattutto contenga in sé gli elementi per la trasformazione sociale. La nostra capacità va misurata nel tentativo duplice di recuperare alla politica, all’impegno e alla militanza le forze che negli anni sono andate perdute e creare le basi affinché queste forze possano crescere e proliferare dentro gli odierni rapporti di classe per creare il passaggio da “ classe in sé” a “classe per sé”. Ed in questo, il collegamento con le giovani generazioni ed il lavoro politico tra esse diventano strategici. Dobbiamo assumere come obiettivo quello stesso che una figura di tutto rilievo nel panorama della storia politica italiana, come Antonio Gramsci, ha definito “riforma morale ed intellettuale del paese”.
A questo punto si pone il problema di organizzare una proposta politica nei meccanismi propri di un soggetto politico, di un partito. Un soggetto di questo tipo, per riuscire nel suo intento, deve articolare la propria azione su due livelli: una forte autonomia organizzativa, di elaborazione e di proposta politica; la capacità di costruire fronti ampi che includano tutte quelle energie che negli anni hanno abbandonato la strada dell’impegno politico per scegliere quella delle associazioni e dell’impegno su singoli temi.
Il primo livello, quello dell’autonomia, è centrale e proprio per questo il più difficile da attuare. Per i comunisti l’autonomia si costruisce a partire da una analisi della realtà che tiene conto delle forze in gioco che contrappongono il capitale al lavoro e costruiscono una proposta politica progressiva ed autonoma, in grado di proporre un proprio punto di vista su tutte le questioni, dalle più cogenti a quelle di più ampio respiro di cui nel senso comune non viene percepita l’incidenza diretta. Per fare un esempio, dovremmo sapere articolare una proposta sulla scuola e sull’università che tenga conto tanto del sistema legislativo ed economico quanto del ruolo che l’istituzione formativa gioca nella società, e svelare il fatto che dentro questo ambito si incontrano e si scontrano i rapporti di potere. Una proposta politica di questo tipo, in grado di partire dal generale ed arrivare al particolare, si può costruire solamente con un’organizzazione collettiva che fa della discussione, del confronto interno, del lavoro di formazione dei propri militanti e di una elaborazione in grado di contare al suo interno del contributo di tutti (azione questa che svolge anche un ruolo di crescita), il suo punto di forza. Questa compattezza, frutto di un percorso condiviso e portato avanti in modo capillare, è la caratteristica che permette ad un’organizzazione di articolare un lavoro di radicamento nella società e di consolidamento di un’idea e di un immaginario, oltre che di una proposta politica.
Anche il secondo livello, quello cioè della capacità di costruire un forte dialogo con altre forze che operano nella società è di profonda importanza. La capacità di una forza che si pone nell’orizzonte della trasformazione sociale va costantemente misurata con tutti coloro che agiscono nell’idea di un cambiamento ma che, per una serie di fattori soggettivi e storici, oggi portano avanti un percorso politico che non coglie i problemi nella loro totalità. Non dico questo con supponenza ma nella consapevolezza che oggi esistono organizzazioni, sindacati studenteschi, associazioni, circoli culturali e realtà che operano solo a livello territoriale che rappresentano un patrimonio importantissimo. Pongo il problema di evitare che questo patrimonio venga perso. Al contrario, questo patrimonio deve esser messo a valore.
Nella situazione attuale, marcata dalla crisi economica e dalla sua traduzione in crisi sociale, c’è la necessità (e vi sarebbe anche senza la crisi) di costruire un fronte largo di forze, un network, un soggetto che sia in grado di comporre varie parzialità dentro una piattaforma condivisa, il che, come sempre è stato nella storia dei comunisti, non vuole essere una rinuncia alla propria autonomia, ma uno slancio per l’apertura ed il confronto.
L’esempio storico di maggior portata ci è dato dal “fronte della gioventù” fondato da Eugenio Curiel che riuniva al suo interno tutte le organizzazioni giovanili antifasciste comprese quelle di matrice cattolica. Per quanto siano cambiati i tempi l’esigenza che oggi ci spinge a trovare una unità di azione con altri soggetti è anche quella di lottare contro la deriva autoritaria che il nostro paese sta vivendo da tempo. Dentro questo ampio fronte i giovani comunisti hanno potuto, grazie alla loro autonomia, giocare un ruolo egemone. La stessa autonomia che ha permesso, una volta venuto meno il fronte unitario, di condurre battaglie anche contro chi in quel fronte aveva avuto un ruolo rilevante (i giovani della DC), per citarne una quella in favore dell’aborto.
La battaglia contro la guerra oggi ci impone di ricercare le alleanze sociali più larghe per far si che cessi l’attacco imperialista alla Libia. Ma per riprendere le file del discorso fatto fino ad adesso dentro questo quadro di forze contro la guerra deve maturare il nostro punto di vista che vede l’aggressione ad uno stato sovrano come la continuazione della politica estera e della gestione del rapporto tra stati con il mezzo della violenza e della sottomissione.
Oggi è necessario tornare a giocare un ruolo dentro la società. Questo ruolo è possibile giocarlo solo se riusciamo a costruire attorno alla nostra proposta un sentimento, una passione. Credo in proposito che per un’organizzazione giovanile sia importante incidere nell’immaginario collettivo, ricavarsi un posto di primo ordine nella testa della gente, dentro il senso comune, costruire un immaginario, non solo esserne parte. La nostra narrazione oltre ad avere come ultimo capitolo un’altra società, ha in tutte le pagine che la compongono le passioni e i bisogni che ci spingono a voler cambiare questo sistema.
Credo che questo possa avvenire solamente nella misura in cui si è in grado di realizzare appieno una visione autonoma e con questa costruire un rapporto forte con la società e con i soggetti che dentro questa operano in un orizzonte progressivo.
Questo ragionamento chiaramente va adeguato al dibattito che oggi e da qualche tempo interessa tutti i compagni dei GC e della FGCI che in questo periodo stanno lavorando assiduamente per i referendum, per le elezioni amministrative, a fianco della CGIL e del movimento sindacale e contro la guerra.
L’assemblea che il 4 e il 5 giugno andrà a costituire un soggetto di riferimento per le organizzazioni giovanili di PRC e PdCI, ma che ha il giusto e legittimo intento di essere il più inclusivo possibile, è pertanto una grande occasione.
Avanti con il lavoro unitario e, contemporaneamente, avanti con la costruzione di un progetto rivoluzionario all’altezza di questo XXI° secolo.