Nonostante i continui richiami del Presidente della Repubblica e del Governo di voler affrontare tempestivamente il problema delle morti bianche e degli infortuni; nonostante gli apprezzabili sforzi nell’intensificare la lotta al lavoro nero, all’evasione contributiva e la predisposizione del disegno di legge delega per un testo unico sulla sicurezza, la guerra sul lavoro tutti i giorni fa registrare una media di quattro vittime (oltre 1300 l’anno appena trascorso, innumerevoli infortuni, 231 lavoratori morti dal 1 gennaio 2007).
Il Testo Unico sulla sicurezza, che pure è uno strumento utile e dal quale non si può prescindere, avrà tuttavia tempi di approvazione parlamentare lunghi, mentre purtroppo il tempo è scaduto.
È sulla base di queste considerazioni che come Commissione d’indagine sugli Infortuni sul Lavoro abbiamo ritenuto opportuno deliberare una prima relazione intermedia in cui sottolineiamo la necessità di intervenire tempestivamente, con misure immediate che servano ad arginare e bloccare questa infinita lista di morti.
È necessario innanzitutto coinvolgere la Conferenza Stato-Regioni e le organizzazioni sindacali, proponendo un decreto che armonizzi, razionalizzi e coordini l’intervento delle strutture competenti, sia a livello centrale che locale, evitando così sovrapposizioni di lavoro. Il coordinamento permetterebbe un uso più razionale ed efficiente delle risorse umane disponibili presso le amministrazioni pubbliche interessate ed un parziale superamento dei limiti derivanti dalle carenze strumentali e di organico, che comunque è necessario colmare.
Un’altra richiesta importante, che come Commissione abbiamo avanzato, è rivolta alle regioni affinché stabiliscano un limite minimo di risorse da attribuire specificatamente alla prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro.
Oggi è previsto che il 5% della spesa sanitaria debba esse destinato alle attività di prevenzione, senza indicare nessuna priorità. Sarebbe necessario destinare almeno il 50% di queste risorse alla prevenzione sui luoghi di lavoro. Nella relazione che abbiamo presentato si configura anche un sistema premiale, relativamente ai trasferimenti statali per la spesa sanitaria, che vada a beneficio di quelle regioni che abbiano adottato comportamenti maggiormente virtuosi e raggiunto significativi risultati nella prevenzione degli incidenti sul lavoro. Queste sono alcune delle priorità che abbiamo individuato per tentare di dare una risposta concreta ed immediata a chi oggi muore di lavoro.
Ma esistono una serie di altri interventi necessari e a cui lavorare.
Un campo d’intervento è sicuramente quello relativo alla normativa sugli appalti: attualmente il subappalto è una delle “pratiche” più diffuse. In esso si annidano i maggiori rischi e le maggiori carenze in materia di controlli e sicurezza. Una catena quasi infinita che spesso rende difficile anche risalire all’azienda “madre” che magari è l’unica, almeno sulla carta, ad avere i requisiti necessari a svolgere quel tipo di lavoro. Anche l’apparato sanzionatorio non è adeguato alla tragedia quotidiana di quelli che sono non morti ma omicidi bianchi: le sanzioni penali sono molto lievi e quelle in denaro non sono così alte da rappresentare un vero deterrente, inoltre la possibilità per una azienda di imbattersi in un controllo è talmente bassa (si parla di una media di un controllo ogni 7 anni) che è molto più conveniente economicamente rischiare un controllo – che non si sa se arriverà – piuttosto che investire realmente in sicurezza.
È ora che i datori di lavoro mettano mano al portafoglio e capiscano che sulla sicurezza non si può risparmiare e la salute dei lavoratori non è una merce di scambio o il terreno di una qualsiasi trattativa, ma la sicurezza sul luogo di lavoro è una condizione imprescindibile, è il punto di partenza.
Ed a proposito di prevenzione è necessario rivedere anche il ruolo e le tutele dei Rls. I lavoratori rappresentanti per la sicurezza sono infatti quelli che sono in prima linea e possono dire quello che va o non va in materia di prevenzione e tutela sui luoghi di lavoro. Questi lavoratori non hanno tutele sufficienti a far svolgere fino in fondo il proprio ruolo, infatti spesso quando chiedono il rispetto della legge sono oggetto di piccole o grandi ritorsioni da parte dei datori di lavoro: angherie, sospensioni, multe, sino ad arrivare al licenziamento. E non si tratta di esempi accademici ma di vicende che ho avuto modo di trattare e che riguardano lavoratori in carne ed ossa.
Un lavoratore per occuparsi veramente della sicurezza sua e dei compagni di lavoro – ma spesso anche della sicurezza degli utenti se penso a settori come la scuola, gli ospedali, i trasporti – deve in primo luogo avere un contratto di lavoro sicuro e così essere un lavoratore libero dai ricatti (e possiamo immaginare in questo senso come si senta un lavoratore precario); poi se parliamo di Rls deve avere tutele reali che prevedano anche sanzioni per quelle aziende che con un ingiustificato motivo hanno sanzionato i Rls, facendo così opera di intimidazione verso tutti gli altri lavoratori.
Alcuni di questi provvedimenti credo che potrebbero essere assunti in tempi brevi ed anche a costo zero. Non si può aspettare oltre.
* Senatore del Pdci – Vicepresidente Commissione d’inchiesta sugli Infortuni sul Lavoro al Senato