Carta, accessori per ufficio, giornali e riviste, pubblicazioni, bollette di luce, acqua, telefono, e ancora servizi di pulizia e custodia, mense, manutenzione dei computer. Ma anche l’affitto di immobili e l’organizzazioni di convegni. Sono solo alcune voci tra le “spese intermedie” che gli istituti universitari saranno costretti a tagliare del 10% nell’anno in corso, del 20% nel triennio 2007-2009, secondo quanto previsto dall’art.22 della Mavovra bis, approvata martedì col voto di fiducia del Senato e oggi al vaglio della Commissione Bilancio della Camera. In totale duecento milioni di tagli per le facoltà già duramente colpite dalle forbici della Moratti nel 2002 e nel 2005. Fondi che gli atenei avevano già previsto nei propri bilanci, e che entro ottobre dovranno restituire alle casse dello Stato. A pagarli saranno gli studenti universitari, con un peggioramento dei servizi o un aumento delle tasse.
Dei tagli si era già discusso nella riunione del Consiglio dei Ministri che aveva dato il via libera alla versione originaria del provvedimento. Allora il ministro Mussi, inascoltato, aveva alzato la voce, chiedendo di escludere dalle vittime delle forbici di Padoa Schioppa gli enti universitari. Poi le proteste di farmacisti, avvocati e tassisti contro le liberalizzazioni avevano fatto passare in secondo piano le norme di aggiustamento dei conti previste nella cosiddetta manovrina. Quando il provvedimento giunge in parlamento, lunedì, si trova davanti un’esercitto di oltre 1000 emendamenti. Tra questi quello presentato dalla parlamentare del PRC Giovanna Capelli, che chiedeva di aggiungere all’elenco degli enti esclusi dai tagli anche le università. Ma la riunione dei capigruppo che avrebbe deciso quali modifiche al testo includere nel maxiemendamento destinato all’approvazione con la fiducia, non include quello della Capelli. Immediata la reazione del ministro Mussi, che minaccia le dimissioni, e della Conferenza dei Rettori, che ricorda come il programma del governo prevedesse per gli istitui universitari ben altro trattamento: «I tagli sono in totale contraddizione con quanto affermato nel programma, che anche io ho contribuito a scrivere», dice Marco Mancini, rettore dell’università della Tuscia. Che denuncia anche la «selettività al contrario» di un provvedimento che per fortuna esclude dai tagli scuole e ospedali, ma anche gli enti parco, gli istituti zooprofilattici e l’agenzia del farmaco. Enti certo molto importanti, ma non più delle università, che secondo il programma di governo avrebbero dovuto essere il «fattore propulsivo del rilancio economico e sociale del paese». Le università, inoltre, «rischiano di fermarsi, anche perchè sono spogliate dell’autonomia nella scelta dell’allocazione dei risparmi», aggiunge il prof. Mancini, che ricorda la sentenza del 2004 della Corte Costituzionale che accoglieva il ricorso di alcune regioni che chiedevano di poter decidere come gestire i tagli imposti dall’allora governo Berlusconi.
Sul provvedimento sotto accusa, comunque, difficilmente sarà possibile intervenire con nuovi emendamenti nel dibattito alla camera. Il governo è deciso ad approvarlo prima delle vacanze estive e dinanzi all’incubo di una nuova discussione nella pericolosissima camera alta, sarebbe disposta a imporre l’ennesima fiducia. Per restituire il maltolto, dunque, sarà necessario attendere la prossima finanziaria, nell’autunno. Lì la battaglia sarà dura, come annuncia Salvatore Cannavò, secondo cui «il vero nodo politico per il governo è la Finanziaria e la capacità dell’attuale maggioranza di invertire, davvero, le politiche neoliberiste non solo degli ultimi cinque anni ma anche degli ultimi quindici anni». Domenico Iervolino, reponsabile università del Prc ricorda come nel programma dell’unione si parlasse dell’università come «settore strategico per il rilancio del paese», mentre Alberto Burgio, docente all’univerità di Bologna e parlamentare del Prc, dice di «condividere la delusione e il rammarico della Crui e del ministro sull’insufficente attenzione data dal governo a formazione e ricerca».
Ma ad essere affondata dai tagli sarà anche la scuola. Esclusa dagli enti colpiti dall’art.22 del decreto, è invece compresa nei tagli alle «unità previsionali di base», previste all’art. 25. Anche in questo caso si tratta di somme ingenti, 16 milioni di euro per il settore delle Pubblica Istruzione, di cui 6 ricadranno direttamente sui bilanci degli istituti scolastici. E’ la denuncia della Flc-Cgil, che ieri, con una nota del segretario Enrico Panini, chiedeva al governo di «resitituire a scuole, Università e Centri di Ricerca i fondi tagliati per decreto». La speranza, dunque, è che lo stesso governo che ha tolto con una mano a luglio sarà disposto a restituire tutto con l’altra a ottobre. Quando l’enigma finanziaria ci permetterà di capire quale obiettivo nutre questo governo, se l’equità tante volte sbandierata vale quanto il risamanento dei conti che l’Europa ci impone.