Il lorianesimo del prof. Orsini, Turati Gramsci e… Saviano

di Ruggero Giacomini, Comitato Scientifico di Marx XXI
 

dibattitosugramsci thumbSe Gramsci fosse vivo e potesse leggere il libro sulle “due sinistre” di Alessandro Orsini, che tanto ha entusiasmato Saviano e “La Repubblica”, lo appunterebbe probabilmente per una nota della sua rubrica sul fenomeno mai morto del “lorianesimo”. Cioè su quegli intellettuali che parlano con saccenza di cose che non conoscono.

Loria, per ricordare, era lo “scienziato” che proponeva di risolvere il problema della fame nel mondo coprendo di vischio le ali degli aerei e …catturando uccelli! E in carcere Gramsci dedicò uno spazio dei suo “Quaderni” al fenomeno, che andava ben oltre il “maestro”.

Orsini non conosce la rubrica di Gramsci e neppure l’ ”illustre scienziato” che pure cita ripetutamente: altrimenti non ne sbaglierebbe il nome, scambiandolo per un fiume della Francia, come pure fa ripetutamente, nel testo e nell’indice dei nomi.

Orsini dichiara di voler mettere a confronto il pensiero politico-pedagogico di Turati con quello di Gramsci, per dimostrare che il primo è assolutamente preferibile al secondo. Operazione certamente legittima e che avrebbe potuto anche essere interessante, se avesse osservato prima di tutto l’obbligo elementare di ogni studente: studiare e conoscere l’argomento di cui si occupa.

Di Turati Orsini si occupa soltanto degli interventi ai congressi, perché, teorizza, nel contraddittorio risalta meglio la specificità e la differenza dei pensieri. Si tratta però di congressi a cui Gramsci non è presente e non c’è alcun confronto o diretta polemica tra i due. Così Orsini riempie il vuoto diffondendosi sulla critica di Turati ad… Arturo Labriola, assunto d’ufficio come modello del pensiero rivoluzionario, gramsciano e comunista.

Qualche commentatore onesto fuorviato dal furore savianesco ha potuto pensare che ci si riferisse ad Antonio Labriola, il primo pensatore marxista in Italia che Gramsci effettivamente stima molto e che a buon diritto può essere riferito alla tradizione comunista.

Ma l’Arturo, che c’entra? Semmai è un modello di quei personaggi che l’Orsini esalta contro Gramsci, perché propensi a cambiare spesso opinione, essendo transitato nel socialismo e nel sindacalismo rivoluzionario, sostenitore della guerra coloniale di Giolitti in Libia e con Giolitti ministro prima del fascismo.

Un altro requisito minimo richiesto allo studente di Liceo o di Università, e che dovrebbe essere un abito naturale per chi occupa un posto di accademico e di educatore, è di riportare esattamente il pensiero che si vuole confutare, e non di aggiustarlo e distorcerlo secondo il proprio comodo per dimostrare di aver ragione.

Così il noto brano di Gramsci, Indifferenti, nel numero unico de “La Città futura” del febbraio 1917 per la Federazione giovanile socialista del Piemonte, dimostrerebbe secondo Orsini “la chiusura preventiva nei confronti delle idee degli avversari” e il disprezzo per “gli intellettuali che non dimostravano di essere faziosamente schierati” (pp.70-71).

Gramsci scrive sul “Grido del Popolo” del 23 marzo 1918, e siamo in piena guerra sotto la censura: “per noi chiamare uno ‘porco’ se è un porco, non è volgarità, è proprietà di linguaggio”. Orsini assume questa affermazione come dimostrazione di un “principio” che sarebbe “alla base” della pedagogia di Gramsci, e cioè che “un intellettuale inviso al Partito deve essere considerato un ‘porco’ e deve essere apostrofato esattamente in questi termini” (pp.74-5).

Gramsci è all’epoca un militante del partito socialista, ma l’Orsini per le finalità del suo pamphlet politico identifica incurante dell’anacronismo il Partito sempre e comunque, anche quando non esisteva, col partito Comunista.

E non si fa scrupolo di presentare come di Gramsci concetti che sono solo suoi, come ad esempio a p.90 del suo libro, riferendo di un articolo dell’Ordine nuovo che invitava i lettori a discutere con spirito di costruttori della scuola del futuro:

“Nella società comunista, scrive Gramsci, il ruolo più importante sarebbe spettato alla scuola la quale, grazie alla disciplina imposta dalla dittatura del proletariato, avrebbe svuotato la mente dei fanciulli per poi riempirla di contenuti marxisti-leninisti”.

Solo che a scrivere non è Gramsci, ma l’Orsini, e lo svuotamento e il riempimento sono tutti nella sua testa!

Lo stesso foglio giovanile “La Città futura” sarebbe la prova della pedagogia di Gramsci di “indottrinamento ideologico… attraverso la ripetizione ossessiva e martellante di idee e di concetti rivolti a ottenere l’obbedienza incondizionata alle direttive del Partito”, di scelta della “violenza per affermare le proprie idee”, del “dovere di esercitare il massimo dell’intolleranza contro coloro che dissentono” (pp.73-6).

Quest’ultimo assunto è appoggiato in particolare su un articolo di Gramsci del dicembre 1917, Intransigenza-tolleranza/ intolleranza transigenza, citato dalla raccolta del 1958 degli Scritti giovanili nella versione ampiamente tagliata dalla censura, ignorando che è disponibile la versione integrale, dove si può leggere, a confutazione plateale del metodo orsinesco, l’insistito concetto di Gramsci sulla verità rivoluzionaria:

“Gli uomini sono pronti ad operare – scrive infatti Gramsci censurato – quando sono convinti che nulla è stato loro nascosto, che nessuna illusione è stata, volontariamente o involontariamente, creata in loro. Ché se devono sacrificarsi, devono sapere prima che può essere necessario il sacrificio”. E ancora: “Chi non ha potuto convincersi di una verità, chi non è stato liberato da una falsa immagine, chi non è stato aiutato a comprendere la necessità di un’azione, defezionerà al primo urto brusco cosi suoi doveri, e la disciplina ne soffrirà e l’azione sboccherà nell’insuccesso”. (La Città futura, Einaudi 1982, pp.479-80).

La verità è necessaria per il pensiero e la pratica rivoluzionari. Probabilmente per chi come Orsini si sente impegnato a conservare l’ordine capitalistico esistente la debolezza di argomenti convincenti induce a… falsificare.

PS. A Roberto Saviano, se le parole hanno un senso.

Lei ha definito il libro dell’Orsini “ la più bella riflessione teorica sulla sinistra fatta negli ultimi anni”, forse lo ha fatto per amicizia o perché non conosce la materia, può essere scusato. Ci permetta però alcune domande suggeriteci da quanto ha scritto sui suoi convincimenti:

Dice che bisogna essere sempre “tolleranti” con gli avversari: crede ora forse che bisognerebbe “convivere” anche con la mafia, come diceva quel ministro?

Dichiara il suo entusiasmo per la non violenza: come mai allora non condanna la repressione israeliana a Gaza e l’interventismo militare sempre più aggressivo dei sedicenti “esportatori di democrazia”?

Sostiene con Turati il “diritto all’eresia”: e allora perché spara con tanta virulenza sugli “eretici” di oggi, i comunisti sgraditi ai potenti che non la pensano come Lei, tenuti fuori dal parlamento non dagli elettori, ma da una legge sbarratoria di discriminazione per cui il voto non è più uguale per tutti, e che Lei come Liberale dovrebbe condannare?

Sarebbe gradita una risposta.