Marxismo, ambientalismo, animalismo

amazzonia fiumedi Alessandro Pascale

Quella che segue è una breve introduzione al saggio di Davide Cericola, Critica costruttiva ai concetti di Lavoro e di possesso, scaricabile qui, che pubblichiamo in esclusiva su Marx21.it come contributo alla discussione teorica su alcuni temi spinosi. Di che cosa si tratta? Di seguito l’abstract dello stesso Autore:

«L’obbiettivo di questo lavoro è quello di porre in senso critico l’ideale di possesso e di lavoro classico della cultura occidentale e del socialismo in particolare. Il lavoro al giorno d’oggi viene visto come principio primo di una sana società funzionante. Principio primo in quanto assoluto: l’essere umano deve esistere in quanto modifica e migliora la realtà a lui esterna attraverso il lavoro; la società serve sia a garantire che il lavoro possa avvenire nel migliore dei modi, sia a garantire che la ricchezza sociale generata da tale lavoro venga distribuita in maniera più o meno eguale tra gli esseri umani.

Questa visione è però criticabile, sia perchè vede la Natura sempre come brutta e maligna e migliorabile, sia perché vede il lavoro come sacro e come sempre positivo. Bisognerebbe invece vedere la tensione tra Natura e lavoro come una tensione dialettica, dove la sintesi rappresenta anche un principio valido per capire quando un lavoro può essere definito positivo, e quando va invece fermato. Il possesso verrà visto come un concetto filosofico fondamentale per poter parlare di lavoro, ma anche in questo caso andranno poste delle forti critiche. Il possesso è un concetto dalla forte evoluzione storica, ma le società socialiste non sono state capaci di produrre una soluzione adeguata a tale evoluzione, esse hanno solo proposto l’emancipazione di ogni essere umano, e non di ogni agente produttivo».

L’Autore parte da un’appartenenza cultural-politica al campo dell’anticapitalismo (scrive ad esempio che «le economie basate sulla proprietà privata falliscono periodicamente»), ma mantiene un atteggiamento abbastanza laico verso il marxismo e il socialismo («anche le economie basate sulla socializzazione della ricchezza possono fallire»), di cui non è digiuno, pur senza averne una conoscenza approfondita. Ad esempio tende in certi casi a non avere una visione materialista concreta, perdendo di vista la dimensione socio-economica di “classe”, la quale sfugge alla volontà sociale, che tende talvolta a personificare o umanizzare, come ad esempio quando afferma che i «centri più progrediti e più progressisti tendono ad accettare per primi le nuove tecnologie», sfuggendogli il nesso tra l’innovazione tecnologica e le esigenze della classe borghese. In altri casi tende invece ad astrarre, mancando di senso storico concreto e palesando una visione a tratti inconsapevolmente idealista, come quando afferma, parlando di un generico «uomo»:

«Nasce quindi l’idea che il lavoro sia un processo sacro che nobilita l’uomo. Sacro non in quanto cristiano, ma sacro in quanto divinizzato. L’uomo inizia a divinizzare questo processo che lo rende migliore di come era prima».

Ci sono altri punti e singoli passaggi che possono suscitare singole critiche, dubbi, discussioni e incertezze, ma nel complesso il breve saggio di Cericola è lodevole e meritevole di essere letto, per diverse ragioni: la mancanza di riferimenti e citazioni marxiste rende lo scritto estremamente creativo e godibile nel flusso di pensieri e ragionamenti estremamente variegati e stimolanti, ricchi di dati e riferimenti alla storia e all’attualità. Il modo in cui Cericola espone le proprie idee è un fulgido esempio di dialettica, presentando pro e contro, fatti e giudizi capaci di guardare la realtà da molteplici punti di vista. Soprattutto: i temi che affronta non sono per nulla campati per aria. La critica del lavoro riprende, più o meno consapevolmente, la critica marxiana, sviluppata già a fine ‘800 dal marxista Paul Lafargue nel suo semi-dimenticato Diritto alla pigrizia (1883). Ci sono stati, e ci sono tuttora, dei folli che pensano sia possibile eliminare totalmente il lavoro umano, dipigendo una società capitalistica futura in cui sia possibile elargire a destra e sinistra redditi “di cittadinanza” o “di esistenza” senza cercare di modificare strutturalmente il modo di produzione e le relazioni sociali oggi esistenti. Cericola protesta contro la sacralità aprioristica di ogni tipologia di lavoro. Particolarmente da condannare il lavoro alienante, quello degradante e quello che conduce alla «distruzione della Natura».

Il tema è di estrema attualità, come mostra la questione del TAV Torino-Lione, e riassume alcuni temi in parte trattati da Marx & Engels (l’uso capitalistico delle macchine e le conseguenze socialmente degradanti dei rapporti di produzione capitalistici per la classe operaia), su cui il movimento comunista ha concentrato la propria attenzione dagli anni ’70 e ’80 del secolo scorso (la questione ambientale ed ecologica) ma oggi un po’ dimenticati e offuscati, travolti dall’onda lunga della crisi economico-sociale del 2007-08. Cericola però va oltre questi temi e li tratta con uno sguardo sicuramente molto diverso rispetto a quello delle discussioni marxiste; proprio per questo è particolarmente interessante leggerlo. I temi che pone potranno sembrare molto lontani dai problemi odierni che deve affrontare il movimento comunista, eppure tali ragionamenti e questioni sono molto più diffusi di quanto non sembri nella nostra società, anche in settori non indifferenti della classe lavoratrice e e dei movimenti antagonisti giovanili (quei pochi che sono rimasti quanto meno). Si può certamente continuare a snobbarli e disprezzarli, palesando indifferenza e menefreghismo anche per la questione conclusiva del saggio, una ripresa ben argomentata delle tesi animaliste e antispeciste di Peter Singer e che finora non si sono agganciati al marxismo.

Ciò non è casuale. Uno dei motti preferiti e più ripetuti da Karl Marx era «homo sum, humani nihil a me alienum puto» (Publio Terenzio Afro; traduzione: «Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me»). Marx non si poneva certo la questione di difendere gli animali, quanto piuttosto di emancipare la maggioranza degli uomini e delle donne trattati dai padroni borghesi proprio come gli animali sono tuttora trattati in certi allevamenti intensivi. Provocatoriamente ci si può chiedere se in un mondo in cui l’imperialismo lascia alla fame ancora circa 800 milioni di persone, valga la pena di occuparsi dei diritti degli animali. L’istinto dell’essere umano, e ciò vale anche per molte specie animali, è anzitutto quello di lavorare per i propri simili. In tal senso i comunisti, dovendosi concentrare su alcune priorità ben precise, fanno bene a concentrare l’attenzione su quella parte di umanità che più subisce le ingiustizie del sistema capitalistico. È possibile un punto d’incontro tra una simile posizione “umanista” e la riforma etica e valoriale proposta da Cericola che si fa portavoce di istanze assai diffuse nella società (è del 6%, in crescita, la quota di vegetariani in Italia nel 2017)? Il nesso non è impossibile da trovare, per quanto necessiti di compromessi. Si può già oggi far notare come il Paese più attivo per l’ambiente e per la protezione della natura e dell’ecologia sia la Cina guidata dal Partito Comunista. In linea generale si deve ricordare che solo la riorganizzazione e razionalizzazione dell’economia produttiva, posta sotto controllo pubblico, ossia un’economia socialista, può evitare gli sprechi produttivi e calibrare il proprio intervento sulla natura in maniera più equilibrata, portando a riscoprire, attraverso una serie di apposite campagne culturali e pedagogiche, anche un diverso rapporto tra uomo, ambiente e animali. Se il capitalismo non ha morale, e tratta animali e uomini come merci, il socialismo marxista è senz’altro più aperto e sensibile alla discussione, rifiutando intrinsecamente la logica finalistica (ma non strumentale) di dominio e sfruttamento. La stessa questione animalista, per quanto non esente da critiche, non impedisce quindi di ragionare su una serie di questioni: se non ci sono problemi in linea di principio a rifiutare l’utilizzo di animali nell’industria dell’abbigliamento, non ugualmente si può dire per la necessaria sperimentazione medica. Per quanto riguarda il tema dell’alimentazione va svolta un’analisi approfondita sulla possibilità di ricalibrare complessivamente a livello mondiale la dieta alimentare fondata su un uso spropositato di carne, che sottrae ingenti territori alla produzione di frutta e verdura. L’attuale industria alimentare e i costumi medi a livello internazionale pongono problemi non solo etici ma soprattutto ambientali, economici, di salute e quindi anche “umanisti”. Cericola batte soprattutto sul primo punto, concludendo così il suo saggio:

«il lavoro umano non è né potrà più essere il principio assoluto della società umana. […] Deve essere la sintesi tra la necessità umana e la Natura stessa a garantire un principio regolatore del lavoro: preservare l’ambiente, rispettare gli animali, valutare e rivalutare i territori e le ricchezze che già vi sono, al di là delle ricchezze date dalle semplici materie prime. […] bisogna completare il processo di emancipazione degli agenti economici, di tutti gli attori che prendono parte al processo di produzione della ricchezza. […] se la classe operaia dimentica l’altra componente che svolge il lavoro (macchine, animali, piante, ecc…), allora sarà la stessa classe operaia a sfruttare il prossimo. […] Una volta che la Natura tutta sarà rispettata in quanto tale, e tutti gli attori produttivi saranno riconosciuti, allora e solo allora potremo parlare di un’economia equa e giusta».

Tali affermazioni, non completamente condivisibili (poco convincente ad esempio la parte che pone gli animali e le piante come elementi produttivi parificati agli esser umani) sono una base di partenza per una discussione che sarebbe certo auspicabile fare, non tanto per una pura questione morale (alla quale l’operaio medio potrebbe tranquillamente rispondere con l’indifferenza di una decisa alzata di spalle), ma in collegamento proprio con la stessa questione sociale, conseguente alla struttura del sistema imperialista fondato sull’egemonia statunitense. La povertà strutturale genera odio e violenza sociale tra gli strati sociali proletari e sottoproletari, non solo verso gli uomini, ma anche verso la natura e gli animali. La questione va posta insomma a mio avviso non in un’ottica morale, filosofica e “ideale”, ma in maniera pienamente materiale e concreta, dato che gli esseri umani tendono storicamente a privilegiare questo piano di analisi. Marx l’aveva capito benissimo nella stesura del Capitale, un’opera materialista di taglio scientifico che tra le aride cifre e dati trasuda in realtà nella stessa modalità espositiva e nelle saltuarie battute ironiche tutta la sua indignazione morale.

Alessandro Pascale