Jugoslavia: fine di un’epoca?

Se davvero vogliamo produrre un’analisi il più possibile completa degli avvenimenti che, a partire dalle elezioni del 24 settembre, hanno profondamente modificato il quadro politico jugoslavo, dobbiamo tentare di districarci, come sempre più di frequente accade, all’interno di un flusso incontrollato di informazioni televisive e giornalistiche. Ancora una volta, insomma, esattamente come durante la Guerra del Golfo o la più recente aggressione imperialista della Nato contro la Repubblica Federale Jugoslava, siamo stati costretti ad assistere ad una massiccia campagna di informazione a senso unico, all’interno della quale hanno trovato spazio le argomentazioni più fantasiose, le ricostruzioni storicamente più false o le analisi psicologicamente più subdole. L’informazione unidirezionale è come un’onda in piena, che travolge ogni cosa al suo passaggio, ma defluita la quale tutto ritorna gradualmente alla normalità, fino al successivo periodo di piogge massicce. Da qui la necessità di produrre un’analisi il più possibile aderente ai fatti e non alle mistificazioni.

Dal punto di vista istituzionale, la Repubblica Federativa di Jugoslavia è costituita da due repubbliche, Serbia e Montenegro, ognuna delle quali possiede un proprio presidente eletto direttamente dai cittadini, un proprio parlamento e un proprio governo. A livello federale, poi, esiste un Parlamento bicamerale, costituito dalla Camera dei Cittadini (138 seggi, dei quali 108 attribuiti alla Serbia e 30 al Montenegro) e la Camera delle Repub bliche (40 seggi, 20 dei quali alla Serbia e altrettanti al Montenegro) e, grazie ad alcune modifiche costituzionali introdotte lo scorso luglio, un presidente federale eletto direttamente dai cittadini jugoslavi e non più dal parlamento federale riunito in sessione congiunta.

Secondo il Corriere della Sera, la Costituzione del 1992 risulta “molto favorevole al Parlamento, specie dopo le modifiche dello scorso luglio. Il capo dello stato è infatti una figura notarile se non ha una maggioranza parlamentare” (1). In caso di conflitto tra parlamento e presidente, ad esempio, quest’ultimo, al contrario di quanto è avvenuto e avviene in Russia, può sciogliere solamente la camera dei Cittadini per poi rimettere a sua volta il mandato e ricorrere così ad elezioni anticipate. Dal punto di vista della ripartizione dei poteri, poi, le funzioni di direzione in materia di politica economica e sociale e di controllo degli apparati repressivi, a partire dalla polizia, sono concentrate nelle mani dei due governi repubblicani. Il 24 settembre il popolo jugoslavo era chiamato a votare per il rinnovo dei due rami del parlamento federale e per l’elezione del presidente federale, oltre al rinnovo di diverse amministrazioni locali in Serbia.

Una volta chiariti gli assetti istituzionali, occorre ricostruire, anche se brevemente, il quadro politico jugoslavo precedente le elezioni:

a) da una parte, la Serbia si reggeva su un governo di unità nazionale, conseguenza delle pressioni militari occidentali e della brusca e preordinata accelerazione della crisi kosovara a partire dalla primavera 1998, costituito dalle forze della sinistra di ispirazione jugoslava (Partito Socialista Serbo –Sps- e Sinistra Unita Jugoslava –Jul) e dai radicali ultranazionalisti di Seselj (Srs);

b) dall’altra, il Montenegro, a partire dalle presidenziali dell’ottobre 1997, è governato dalle forze dell’opposizione liberista sostenute dagli Stati Uniti, favorevoli ad imporre una transizione rapida verso il libero mercato ed una altrettanto rapida integrazione della piccola repubblica nel quadro euro-atlantico, anche a costo di perseguire la secessione dalla Serbia;

c) a livello federale, per far fronte all’aggressione militare della Nato e per dare inizio ai primi progetti di ricostruzione del paese, le forze della sinistra jugoslava (Sps-Jul e il montenegrino Partito Socialista Popolare –Snp- del primo ministro federale Momir Bulatovic) hanno costituito insieme ai radicali un governo di unità nazionale. Nei giorni dei bombardamenti Nato, questa maggioranza si è allargata fino a comprendere il partito della destra cetnica, monarchica e filo-occidentale di Draskovic (Movimento per il Rinnovamento Serbo –Spo);

d) esiste poi una parte dell’opposizione nazionalista di destra, antijugoslava e fil oc cidentale serba, a partire dal Partito democratico Serbo (Sds) di Zoran Djin djic, che condivide posizioni sostanzialmente subalterne agli interessi egemonici degli Stati Uniti e della Germania.

La complessità del quadro politico che abbiamo tentato di delineare in poche righe basta da sola a dimostrare che in Jugoslavia non ci troviamo di fronte ad una dittatura o, addirittura, ad una “satrapia”, come hanno scritto alcuni giornali italiani anche di sinistra, ma ad un sistema istituzionale molto simile a quello delle democrazie occidentali. Una “democrazia imperfetta”, secondo la definizione di Sergio Romano (2). Se questo è il quadro politico precedente le elezioni, quali gli schieramenti in campo? Quali i programmi, con particolare riferimento alla politica economica e alla collocazione internazionale, elementi fondamentali per valutare il futuro della Jugoslavia? Quali i candidati? Quale l’atteggiamento dei grandi centri dell’imperialismo mondiale, con particolare riferimento a Usa e Ue? In estrema sintesi:

1. da una parte, le forze della sinistra jugoslava di governo (Sps-Jul-Snp) hanno sostenuto la candidatura del presidente uscente, Slobodan Milo sevic. Dal punto di vista programmatico, sono state confermate le linee-guida che hanno ispirato in questi anni la loro azione di governo: da una parte, un progetto di sviluppo caratterizzato da un’economia mista con un settore pubblico preponderante ed una forte capacità di intervento dello stato rispetto al mercato, sia pure in un contesto di crescita delle privatizzazioni, e, dall’altra, una collocazione internazionale autonoma rispetto al patto euro-atlantico. Secondo un rapporto discutibile ma significativo del liberista Interna tional Crisis Group, “l’economia serba continua a essere caratterizzata da una struttura socialista (forse sarebbe più corretta la definizione “statalista”, Nda) e centralizzata. Il potere politico controlla totalmente le imprese pubbliche, gran parte di quelle private e il cosidetto settore sociale (3);

2. dall’altra, l’opposizione di destra, nazionalista e antijugoslava si è presentata divisa. I radicali di Seselj e lo Spo di Draskovic hanno avanzato proprie candidature (rispettivamente, Tomislav Nikolic e Vojislav Mihai lovic), mentre 18 partiti e movimenti si sono riuniti nella coalizione Dos (Opposizione Democratica Serba). Questa coalizione, assai eterogenea, racchiude al proprio interno forze che vanno dalla squalificata destra liberista vassalla della Nato (dal Sds di Djindjic, legato ai servizi tedeschi e statunitensi, che durante i bombardamenti della Nato si trovava in Germania a richiedere più bombe per il proprio popolo, ai socialdemocratici di Obradovic e al movimento studentesco Otpor -Resistenza) ai na zionalisti moderati di centro, critici nei confronti delle continue ingerenze statunitensi ma disposti a sostenere una politica di integrazione subalterna alla UE. Il candidato della Dos, Vojislav Kostunica, anticomunista anche ai tempi di Tito, monarchico e nazionalista moderato, appartiene a quest’area di centro, sicuramente me no organizzata rispetto alla parte estrema della coalizione. L’elemento che accomuna le diverse anime della Dos è costituito dal programma redatto dalla Organizzazione Non-Governativa G17 che, nella parte relativa al “primo anno del nuovo governo”, prevede da una parte un rapido allineamento della Jugoslavia nel contesto euro-atlantico (a partire dall’adesione al Patto di Stabilità per l’Europa Sud-Orientale) e, dall’altra, “L’applicazione di una moderna ideologia economica all’economia jugoslava” e “Radicali riforme economiche”. Da questo punto di vista, le misure proposte nelle parti successive del programma risultano identiche a quelle imposte dal Fmi alla Jugoslavia socialista nei primi anni ’80; misure che hanno avuto un ruolo determinante nella disgregazione violenta della federazione e che hanno provocato le conseguenze economiche e sociali che tutti, purtroppo, conosciamo.

Tutto questo non deve stupire: il G17, infatti, è finanziato dal “Na tional Endowment for Demo cracy”, struttura direttamente legata alla Cia, e il suo esponente più qualificato, Veselin Vukotic, è stato ministro delle privatizzazioni nell’ultimo governo di Markovic (1989-1990), riuscendo a liquidare in poco più di un anno il 50% dell’economia jugoslava e licenziando 650.000 lavoratori su un totale di 2.7 milioni. Un piccolo miracolo di liberismo, insomma, che la Dos evidentemente intende riprodurre anche in ciò che è rimasto della Jugoslavia. Secondo il G17, inoltre, “la fine delle sanzioni deve essere seguita dall’abbattimento dell’economia criminale di stato (sic!), della corruzione e dall’immediato rientro nell’FMI e nella Banca Mondiale” (4);

3. le elezioni sono state boicottate, nonostante gli sforzi Usa di costruire un fronte comune delle opposizioni liberiste, tanto dalle autorità montenegrine, che le hanno definite “illegittime”, quanto dalla amministrazione Onu del Kosovo, nonostante la ri soluzione 1244, approvata al termine della brutale aggressione Nato della primavera 1999, sancisca la sovranità jugoslava su questa regione.

Dal punto di vista generale, poi, le potenze imperialiste, con particolare riferimento agli Usa, hanno tentato di condizionare pesantemente e con ogni mezzo l’esito del voto. Le pressioni si sono dirette principalmente in due direzioni:

a) dal punto di vista economico, l’Ue ha fatto sapere di essere disposta a revocare, in caso di vittoria della Dos, le sanzioni economiche che dal 1992 strangolano l’economia jugoslava, mentre gli Usa hanno massicciamente finanziato le parti più aggressive dell’opposizione (in particolare Djindjic e Otpor) nel tentativo di destabilizzare ulteriormente l’intero quadro balcanico. Per un paese che, dopo anni di accerchiamento, ha subito la distruzione pressoché totale del proprio apparato produttivo e infrastrutturale causa la più violenta aggressione imperialista dalla fine della seconda guerra mondiale, l’arma del ricatto economico (via le sanzioni se vince Kostunica, più sanzioni se vince Milosevic) costituisce un formidabile strumento di pressione nei confronti delle masse popolari impoverite. Dal punto di vista dei finanziamenti Usa, poi, le cifre sono davvero da capogiro e vanno ad aggiungersi a quelle già pagate in questi anni al Montenegro di Djuka novic.

Secondo l’autorevole Washington Post, gli Usa avrebbero versato 77.2 miliardi di $ (circa 170 miliardi di lire) nelle casse della Dos per la sola campagna elettorale, mentre altri 105 e 500 milioni di $ dovranno essere stanziati rispettivamente dalla Ca me ra e dal Senato Usa in base alla “Leg ge sulla democratizzazione della Ser bia”. A tutto questo vanno ad aggiungersi 30 milioni di marchi (circa 33 miliardi di lire) versati dalla Ger mania. Se Milosevic poteva disporre dell’apparato statale per la campagna elettorale, l’opposizione era tranquillamente in grado di comprare l’intero processo elettorale. Se volessimo costruire un parallelo con l’Italia, limitandoci ai soli 170 miliardi effettivamente versati nelle casse dell’opposizione, dovremmo moltiplicare questa cifra una prima volta per 5 (la popolazione jugoslava è circa 1/5 rispetto a quella italiana), e poi di nuovo per 5 (il potere di acquisto del dollaro è almeno 5 volte superiore in Jugoslavia rispetto all’Italia). La cifra che risulta, siamo nell’ordine dei 4 mila miliardi, limitata alla sola campagna elettorale, farebbe tranquillamente impallidire persino Silvio Berlusconi.

Cosa accadrebbe, poi, viene da chiedersi, se per le elezioni politiche della primavera 2001 un paese ostile alla Nato, ad esempio Cuba o l’Iraq, finanziasse con tali cifre, o anche con molto meno, la campagna elettorale di Rifondazione comunista? Con ogni probabilità, le grida sulle ingerenze straniere si leverebbero fino al cielo e tutto finirebbe nelle aule di tribunale;

b) dal punto di vista militare, l’intera campagna elettorale jugoslava è corrisposta con l’inizio di manovre da parte di Usa e GB, in vista di un possibile scenario di guerra civile generalizzata e di un conseguente intervento a sostegno delle autorità montenegrine e dell’opposizione serba (5). Oltre a questo, gli Usa, in totale spregio del diritto internazionale, hanno aperto presso la loro ambasciata di Budapest un apposito ufficio, gestito dalla Cia, per sostenere da vicino le “forze democratiche jugoslave”. Nell’agosto scorso, poi, il capo della Cia, Tenet, si è recato personalmente a Sofia per tenere un seminario di addestramento sui possibili scenari post-elettorali a diversi militanti di Otpor e Sds. Secondo l’opinione dell’ormai ex ministro degli esteri jugoslavo Zivadin Jovanovic, la “destabilizzazione del nostro paese è stata organizzata a partire da Budapest, con delle agenzie statunitensi impiantate anche a Sofia, Skopje e in altri paesi e composte da agenti della Cia. La Convenzione di Vienna impedisce la costituzione in paesi stranieri di centri ostili ad altri paesi. Proprio oggi (11 ottobre 2000), l’ambasciatore Usa a Budapest, Montgomery, si è recato in Jugoslavia a rendere visita ai suoi subordinati della Dos! Ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che controllano l’Onu, hanno negato questa evidenza… Ciò che gli Usa si permettono di fare è impedito agli altri. Quando essi parlano di ‘democrazia’, fanno riferimento solamente ad uno slogan finalizzato al dominio del mondo… All’Assemblea Generale dell’Onu, nel 1995, essi hanno votato contro una risoluzione che impediva l’ingerenza negli affari interni, con particolare riferimento a quelli elettorali, di un paese. Questa risoluzione, nonostante la loro contrarietà, è stata approvata e, di conseguenza, gli Usa dovrebbero attenersi democraticamente alla volontà della maggioranza! ‘Due pesi, due misure’ è la chiave della ‘democrazia’ Usa” (6). Questo atteggiamento aggressivo degli Usa, volto a destabilizzare completamente i Balcani meridionali, ha finito per aprire contraddizioni con la parte più moderata del cartello Dos, con lo stesso Kostunica, con alcuni paesi della Ue e con la Russia.

Una volta verificato il contesto elettorale e le pesanti ingerenze esterne che lo hanno condizionato, occorre ricostruire schematicamente l’evoluzione degli avvenimenti successivi al voto, tentando nel contempo di fornirne un’accurata e realistica interpretazione:

a) ancora prima della chiusura dei seggi, Usa e Ue hanno parlato di “elezioni farsa”, “colossale truffa” e di “Milosevic ladro di voti”. Vale la pena ricordare una dichiarazione del presidente del consiglio Amato che precede di una settimana il voto jugoslavo: “Si tratta di mettere a punto le parole esatte ma abbiamo già deciso che dichiareremo illegittime queste elezioni con voce univoca” (La Stampa, 25-09-2000). Nonostante la presenza di rappresentanti di tutte le forze politiche in ogni seggio elettorale e nella Commissione Elettorale Cen trale, si è scatenata una guerra di ci fre tra i pretendenti e all’interno delle singole coalizioni, con la sola conseguenza di esasperare ulteriormente una situazione già tesa (7). In ogni caso, col passare delle ore si andava profilando una netta vittoria di Kostunica alle presidenziali e della coalizione di sinistra jugoslava (so cialisti serbi e montenegrini e Jul) nel parlamento federale (vedi tabella 1 e 2). Inevitabile, a questo punto, l’apertura di una trattativa in seno alla Commissione tra le forze di opposizione e di governo, con l’obiettivo di sbloccare la situazione e concordare un percorso di transizione in grado di portare all’elezione di un governo federale e, soprattutto, di procedere ad elezioni anticipate in Serbia. La parte più aggressiva della Dos, legata agli Usa e alla Germania, ha tentato fin da subito di far precipitare la situazione e giungere alla resa dei conti finale e allo scontro fisico, ponendo in seria difficoltà lo stesso Kostunica. Emblematico, a questo pro posito, quanto scrive La Stampa del 28-09: “Fonti credibili raccontano come Kostunica non fosse del tutto alieno dall’ipotesi di accettare un ballottaggio… Sarebbe stato Djindjic a forzare le cose”;

b) questa situazione di incertezza si è trascinata fino al pomeriggio del 5 ottobre quando, nel corso di una manifestazione di piazza, sono stati presi d’assalto da settori dell’opposizione il Parlamento e la televisione di stato RTS, con il rischio davvero concreto di far precipitare la crisi. Nell’interpretazione di questo avvenimento, una parte della sinistra italiana è di nuovo caduta nella sindrome dell’89, quando le forze della controrivoluzione sostenute dall’imperialismo sono divenute “rivoluzionarie”, “democratiche”, “progressiste”. Basti, per tutti, il titolo de Il Manifesto del giorno successivo: “Una Rivoluzione. È caduto il muro di Belgrado”. Dopo una lettura più attenta degli avvenimenti, emerge chiaramente il fatto che non di rivoluzione popolare si è trattato, ma di una vera e propria azione militare precedentemente pianificata in ogni particolare e portata a termine da alcune centinaia di manifestanti ben addestrati, mentre la stragrande maggioranza dei manifestanti non ha partecipato alle azioni violente. Questa è, ad esempio, la descrizione degli eventi fornita da uno dei protagonisti, Velja Ilic, sindaco di Cacak (amministrazione da anni nelle mani dell’opposizione): “Siamo arrivati in 10 mila e i primi che sono entrati nel parlamento avevano giubbetti antiproiettile. Altri erano armati. C’erano anche le nostre squadre di body building e karate. Eravamo pronti a tutto, è andata bene” (8). Intervistato dal quotidiano “Vreme” (12 ottobre), lo stesso Ilic ha chiarito altri aspetti determinanti della presa del parlamento: “La preparazione è stata del tutto segreta. Anche coloro che provenivano dalle fila della polizia non si conoscevano l’un l’altro fino alla fine. Volevo nasconderli dai problemi. Tra di noi vi erano poliziotti in borghese, provenienti anche dalle forze speciali di Belgrado. Essi ci hanno aiutato a carpire informazioni su ciò che la polizia pensava, su dove si stesse dirigendo e su ciò che avremmo dovuto aspettarci per strada… Noi avevamo un’organizzazione semplice. Abbiamo rubato le ricetrasmittenti ai poliziotti ed in seguito abbiamo iniziato a parlare e confonderli, ascoltando contemporaneamente gli ordini che venivano impartiti. La polizia è rimasta assai sorpresa quando ha visto dei poliziotti con noi. Avevamo acquistato queste uniformi molto tempo prima… Per sino alcuni rappresentanti della Dos non avevano idea di ciò che stavamo preparando”. Eccoli, i poliziotti che spontaneamente fraternizzano coi dimostranti. Dello stesso tenore risulta la ricostruzione di Srdan Popovic, uno dei maggiori esponenti di Otpor: “I dirigenti dell’opposizione democratica avevano progettato una giornata di manifestazioni classiche… Di tutti i leaders politici, solo Zoran Djindjic ha realmente preparato insieme a noi le operazioni di giovedì. Gli altri erano prudenti, confusi. Noi ci siamo riuniti, il mercoledì, per preparare la manifestazione davanti al parlamento, e abbiamo pianificato la conquista della televisione nazionale RTS e Studio B… Ad un certo mo mento, fin dall’alba, i militanti di Otpor ascoltavano le frequenze radio delle forze di polizia”. La conclusione di Popovic è sibillina, e suona come una velata minaccia nei confronti dello stesso Kostunica: “Noi continuiamo a rimanere vigili. In tutti i modi, Otpor intende sopravvivere al la partenza di Milosevic. Il nostro obiettivo non era quello di cambiare regime, ma di cambiare il sistema politico. Allora, se noi dovessimo percepire che il governo utilizza gli stessi metodi precedenti, proseguiremmo in questo caso la lotta” (9). Sulle divisioni all’interno della Dos, e, soprattutto, tra il binomio Otpor-Djindjic e Kostunica, si sofferma anche un altro militante dell’organizzazione studentesca, Slobodan Homen: dopo aver espresso il proprio sostegno alla possibilità di processare Milosevic all’Aia e alla necessità di lasciare il Kosovo sotto tutela internazionale, Homen ammette contrasti con Kostunica, “per ché ci accusava di essere al servizio della Nato” (10);

c) il giorno successivo, 6 ottobre, è giunto a Belgrado il ministro degli esteri russo Ivanov, nel tentativo di riprendere la trattativa tra il Comitato di Crisi della Dos e le forze della sinistra jugoslava. Esito finale del negoziato, il pieno riconoscimento da parte di Milosevic della vittoria di Kostunica, le dimissioni del primo ministro federale Momir Bulatovic e la disponibilità a tenere elezioni anticipate in Serbia entro la fine dell’anno, con le conseguenti dimissioni del presidente Milutinovic. Mentre diversi paesi europei (Francia, Italia, Grecia…) hanno riconosciuto il valore della mediazione russa, sostenuta anche dalla Cina, gli Usa e le parti più aggressive dell’opposizione jugoslava, dopo averla duramente criticata (11), hanno di nuovo lavorato a far precipitare la crisi. I negoziati hanno infatti subito una brusca battuta d’arresto pochi giorni dopo, causa le sempre crescenti devastazioni a sedi del Sps e della Jul su tutto il territorio della Serbia, agli ormai continui linciaggi di esponenti della sinistra, di giornalisti e di rappresentanti del movimento sindacale.

Evidentemente, parte dell’opposizione era decisa ad imporre con la violenza e con il sopruso, verrebbe da dire manu militari, i propri candidati nei posti chiave del potere. Tra questi, lo stato maggiore dell’esercito, nonostante il grande equilibrio tenuto durante la crisi, elemento questo che ha giocato un ruolo decisivo, come peraltro riconosciuto dallo stesso Kostunica, nell’evitare una precipitazione violenta della crisi: Djindjic avrebbe voluto sostituire d’imperio il capo di stato maggiore Pavkovic con il fido Perisic.

Emblematico, da questo punto di vista, quanto accaduto alla Zastava di Kragujevac, la fabbrica simbolo della lotta operaia contro i bombardamenti della Nato, dove i rappresentanti di un fantomatico sindacato dell’opposizione hanno costretto con la forza e le minacce alle dimissioni gli esponenti sindacali eletti dai lavoratori, gli stessi che l’anno scorso hanno girato l’Italia per raccogliere fondi a sostegno dei lavoratori jugoslavi rimasti senza lavoro. Ecco una testimonianza proveniente da Kragujevac: “Sono in atto terribili processi popolari. Ci stanno cacciando dagli uffici, mi nac ciano licenziamenti di massa. I sindacalisti dell’opposizione stanno costringendo i lavoratori a prendere la loro tessera, pena il licenziamento e il linciaggio”. Come i militanti di Otpor, anche i sindacalisti “democratici” sono stati istruiti da esperti Usa presso Timisoara (12).

Una volta calata la tensione, la trattativa è ripresa e le parti hanno concordato la formazione di un governo di transizione in Serbia, costituito da esponenti dell’opposizione, dei so cialisti, della Jul e del partito di Dra skovic, che rimarrà in carica fino allo svolgimento del voto anticipato di dicembre. Fuori, di conseguenza, il solo Srs (13);

d) reazioni negative all’elezione di Kostunica sono giunte tanto dal Montenegro, quanto dagli albanesi del Kosovo. Da una parte, il presidente montenegrino Djukanovic, pur boicottando ogni cerimonia ufficiale e nel tentativo di arginare il peso determinante assunto per gli equilibri di governo dal partito rivale Snp, ha fatto sapere di essere disposto a parlare con Kostunica, aggiungendo prontamente “Non però come presidente della Jugoslavia federale, ma piuttosto come rappresentante del nuovo pensiero politico della Serbia”. Dall’altra, Ibrahim Rugova, esponente moderato dei kosovari, ha definito Kostunica “un nazionalista estremista” e ha aggiunto: “Qui da noi venne con le armi in pugno”. Gli ha fatto eco Krasnici, segretario del Partito Democratico (ex Uçk) di Thaci: “Se Kostunica arriva al potere, raggirerà per qualche tempo la comunità internazionale.

L’indipendenza del Kosovo verrà ritardata e noi diventeremo impazienti. Con lui c’è il rischio di un’altra guerra” (14).

E proprio sul Kosovo è possibile registrare le prime tensioni tra Ko stunica e la comunità euro-atlantica: il neo-eletto presidente jugoslavo non ha riconosciuto la validità delle elezioni amministrative svoltesi nella provincia contesa il 28 ottobre, vinte da Rugova e fortemente volute da Onu, Osce e Nato. Dopo aver più volte definito “inopportuno” questo ap puntamento elettorale, Kostunica ha fatto sapere che “la Jugoslavia non può riconoscere i risultati della consultazione e chiede alla comunità internazionale di pensare infine alla piena applicazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu” (15);

e) quali, per finire, le prospettive della sinistra jugoslava, sia essa di governo o di opposizione? Anche su questo, ovviamente, i media occidentali si sono misurati con le ricostruzioni più fantasiose. È del tutto evidente che, come sempre, una sconfitta inattesa, anche se parziale, ha aperto un dibattito tanto all’interno della coalizione quanto delle singole forze politiche che la compongono. Da questo punto di vista, è indicativa l’autocritica dell’ex ministro degli esteri federale Jovanovic (Sps): “Io non voglio sfuggire alle nostre responsabilità. Non abbiamo fatto una valutazione realistica della situazione interna ed internazionale e non abbiamo nemmeno valutato tutti i fattori negativi… Sul piano interno, non abbiamo valutato con realismo i sentimenti della popolazione… La gente ha resistito all’aggressione e alle sanzioni, ma le loro condizioni di vita si sono veramente troppo degradate. E con la guerra di più! Secondo, dopo l’aggressione, noi abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla ricostruzione del paese… Questa ricostruzione è importante per l’avvenire del paese, ma non ha contribuito a migliorare direttamente le condizioni di vita della gente… Terzo, noi non siamo riusciti a controllare il commercio. Abbiamo lasciato troppo spazio a persone ingorde che hanno stoccato le merci, come olio e zucchero, per farne aumentare il prezzo prima di approvvigionare il mercato… Alcuni hanno approfittato della loro posizione per arricchirsi illegalmente e immoralmente. Noi ne abbiamo subito le conseguenze. Ma essi rappresentano una minoranza: la grande maggioranza di noi socialisti è gente onesta, che si è battuta per la giustizia sociale, l’educazione e la sanità per tutti… Noi dobbiamo liberarci di questi approfittatori. Efficacemente e senza pietà” (16). Il Sps terrà a fine novembre un congresso straordinario nel quale, con ogni probabilità, si confronteranno diverse posizioni: da chi condivide la necessità di costruire un partito socialdemocratico sul modello europeo, a chi, da sinistra, continua a schierarsi su posizioni antiliberiste, jugoslaviste e antiatlantiche. Nel suo discorso di congratulazioni a Kostunica, Milosevic ha fatto riferimento al proprio partito come ad una “forza di opposizione molto potente”, per poi aggiungere: “Io ho sempre sostenuto che un partito non può mai mostrare la propria forza reale e le sue qualità fino a quando non si trova per un periodo all’opposizione, perché questa collocazione gli permette di liberarsi degli opportunisti. Sono sicuro che il prossimo periodo sarà, a tal proposito, di grande giovamento sia per il Sps sia per la Jul, e sono altrettanto sicuro che ne usciranno talmente rafforzati, da vincere la prossima contesa elettorale”. Sarà interessante, da questo punto di vista, verificare anche quanto accadrà tra le forze della sinistra di ispirazione comunista, titoista e non, che in questi anni hanno sempre criticato il governo jugoslavo, tanto per le eccessive concessioni al liberismo e al nazionalismo serbo, quanto per l’eccessiva corruzione, ma che nei momenti importanti hanno sempre fatto fronte comune con esso, individuando nell’opposizione liberista e filo-atlantica il vero avversario da battere. Oltre a questo, sarà determinante anche quanto accadrà all’interno del Partito Socialista Popolare del Montenegro, tradizionalmente vicino a Milosevic ma, a quanto pare, pronto a collaborare con le forze di opposizione, anche per tentare di isolare il secessionista Djukanovic. Si apre, insomma, per tutta la sinistra jugoslava, un nuovo capitolo.

Nel frattempo, re Alexander Kara geor gevic è partito da Londra alla volta di Bel grado, la “Belgrado libera”, accolto come si conviene dalla destra cetnica e dalla Chiesa Ortodossa. In questo modo, si ri costruisce un blocco tradizionalista e conservatore che solo la lotta di liberazione dei partigiani jugoslavi contro il nazifascismo era stata in grado di scardinare. È davvero la fine di un’epoca?

(ottobre 2000)

Tabella 1

Risultati delle elezioni

alla Camera dei Cittadini del parlamento federale

Partito
n. seggi

Opposizione Democratica Serba (Dos)
58

Partito Socialista Serbo / Sinistra Unita Jugoslava (Sps/Jul)
44

Partito Socialista Nazionale (Snp)
28

Partito Radicale Serbo (SRS)
5

Partito Popolare Serbo (SNS)
2

Ungheresi di Vojvodina
1

TOTALE
138

Nota: una eventuale coalizione delle forze della sinistra di ispirazione jugoslava (Sps-Jul-Snp) potrebbe contare su 72 seggi dei totali 138

Tabella 2

Risultati delle elezioni

alla Camera delle Repubbliche del parlamento federale

Partito
n. seggi

Opposizione Democratica Serba (Dos)
10

Partito Socialista Serbo / Sinistra Unita Jugoslava (Sps/Jul)
7

Partito Socialista Nazionale (Snp)
19

Partito Radicale Serbo (SRS)
2

Movimento per il Rinnovamento Serbo (SPO)
1

Partito Popolare Serbo (SNS)
1

TOTALE
40

Nota: una eventuale coalizione delle forze della sinistra di ispirazione jugoslava (Sps-Jul-Snp) potrebbe contare su 26 seggi dei totali 40

Note

(1) Corriere della Sera, 28-09-2000.

(2) S. Romano, Il rompicapo di Belgrado, in Corriere della Sera, 25 settembre 2000.

(3) Su questo, si segnala, ad esempio, la lettura delle parti 4 e 9 del Programma del Partito Socialista Serbo, approvato dal II Congresso (ottobre 1992) e di nuovo nel IV (febbraio 2000), disponibile sul sito internet del partito (www.sps.org.yu). La citazione è riportata in A. Negri, “Le debolezze strutturali di un’economia ‘inquinata’ da Milosevic”, in Il Sole 24 Ore, 11-10-2000.

(4) E’ possibile leggere il programma della Dos, dal quale sono tratte le citazioni, nel sito internet di Otpor (www.otpor.net). Sul ruolo e le conseguenze delle riforme economiche imposte dal FMI alla Jugoslavia socialista, si segnala, tra gli altri, M. Chossudovsky, La globalizzazione della povertà, Torino 1998. Le note di M. Chossudovsky e J. Israel riguardanti le finalità e la composizione della Ong G17 sono contenute nel sito “Emperor’s Clothes” (www.tenc.net). L’ultima citazione è tratta dall’articolo di A. Negri su Il Sole 24 Ore sopra citato.

(5) Emblematico, da questo punto di vista, l’articolo di L. Caracciolo, “La partita finale contro Milosevic”, in La Repubblica, 19-09-2000.

(6) La notizia di finanziamenti Usa alla Dos per la campagna elettorale è apparsa per la prima volta sul “Washington Post” del 19 settembre. La notizia è stata riportata su La Repubblica del giorno successivo e, in seguito, da diverse altre fonti. La notizia di aiuti tedeschi è apparsa su Il Resto del Carlino del 08-10-2000. Riguardo l’ufficio a Budapest, si segnalano l’articolo di M. Dinucci, “Il candidato americano”, su Il Manifesto del 24 settembre 2000 e l’intervista dello stesso quotidiano a Kostunica (“in particolare ho giudicato un’ingerenza interna la stupida apertura da parte americana di un ufficio a Budapest della cosiddetta opposizione serba”). Sul corso tenuto da Tenet a Sofia, oltre a Dinucci, si segnala l’intervista comparsa a due militanti di Otpor su “Solidarie”, notizia poi confermata il 28 agosto dalla BBC. L’intervista a Jovanovic, pubblicata su “Solidarie” (a cura di M. Collon), è stata realizzata in data 11 ottobre.

(7) La grande incertezza è testimoniata dal continuo susseguirsi e accavallarsi, col trascorrere delle ore, di dati e cifre nettamente contrastanti tra loro. Su questo, F. Grimaldi, “Ju goslavia, il buio oltre l’urna”, in Libe razione, 27-09-2000. La stessa coalizione Dos ha fornito cifre differenti sul grado di consenso raggiunto dal proprio candidato alle presidenziali: secondo l’Ufficio Elettorale della Dos, Ko stunica avrebbe ottenuto 2.783.038 voti, pari al 54,66%, mentre secondo il proprio portavoce, Ceda Jovanovic, i voti sarebbero 2.649.003, pari al 52,54%. Il vicepresidente della Dos, Zoran Sami, ha addirittura fornito due diverse cifre e percentuali: in un primo momento, 2.424.187 voti, pari al 51,34%, ed in seguito 2.377.440, pari al 50,35%. Secondo quest’ultima cifra, saremmo davvero al limite del ballottaggio. Riguardo le elezioni presidenziali, l’ultimo dato fornito dalla Commissione Elettorale attribuiva a Kostunica il 48,22% dei consensi contro il 40,23% di Milosevic. Da questo punto di vista, ogni ulteriore controllo è impossibile, dal momento che durante l’assalto al parlamento, dove aveva sede anche la Commissione Elettorale, del 5 ottobre sono state distrutte e incendiate migliaia di schede elettorali.

(8) La Stampa, 08-10-2000.

(9) Questa importante testimonianza si trova in R. Ourdan, “Les plans de préparation d’une journée histoirque”, in Le Monde, 09-10-2000.

(10) G. Cerruti, “Presidente, possiamo tornare in piazza”, in La Stampa, 10-10-2000.

(11) Su tutti, l’intervista a Z. Brzezinski, consigliere per la sicurezza dell’amministrazione Carter ed una delle voci più autorevoli della politica estera Usa, pubblicata da Il Corriere della Sera del 07-10-2000 (“Io contesto questa mediazione. Il presidente russo Putin ha appoggiato Milosevic, e non è qualificato per svolgere un ruolo costruttivo nella grave crisi jugoslava. Aveva la possibilità di arbitrarla, cioè di contribuire al ripristino della democrazia a Belgrado, ma ha perso la battuta. E la ha persa perché non è un democratico. La condotta di Putin la dice lunga su di lui e sul suo governo: è affine a Milosevic”). Dello stesso tenore le parole di Bettiza (“La mezza rivoluzione d’ottobre”, in La Stampa, 09-10-2000): “Una diplomazia russa torbida e destabilizzatrice, la quale, accettando il nuovo presidente e proteggendo il vecchio, gioca su due tavoli con lo scopo di mantenere sotto il proprio controllo e arbitrato una Serbia in permanente stato d’ebollizione schizoide”. Dal punto di vista generale, la mediazione russa ha contribuito ad evitare una precipitazione violenta della crisi, isolando così i settori dell’opposizione più subalterni a Usa e Germania.

Evidenziando una propria capacità di intervento autonomo, poi, Mosca, dal punto di vista strategico, ha dimostrato l’intenzione di contrastare quelli che Jovanovic, nella sua intervista a Solidaire dell’11 ottobre, ha definito piani Nato di “avvicinamento alle frontiere della Russia e della Cina”, attuati attraverso “germi del separatismo e la manipolazione dell’integralismo islamico” .

E, da questo punto di vista, qualcuno ha già individuato un nuovo “dittatore” in Europa, il presidente bielorusso Lukashenko (su questo, G. Chiesa, “A Minsk, a Minsk”, in Liberazione, 11-10-2000).

(12) Sulle devastazioni alle sedi del Sps e della Jul, si segnala l’articolo di T. Di Francesco su Il Manifesto del 11-10-2000. Su quanto avvenuto alla Zastava, oltre all’articolo di Lo. C., “Linciaggi alla Zastava”, in Il Manifesto, 12-10-2000, dal quale è tratta la citazione, si segnala il comunicato del Coordinamento Nazionale Rsu del 10 ottobre 2000.

(13) Su questo, T. Di Francesco, “Il patto in serbo”, in Il Manifesto, 17-10-2000.

(14) La dichiarazione di Djukanovic è contenuta nell’articolo di R. Cianfanelli, “L’ultima repubblica alza il prezzo della trattativa”, in Corriere della Sera, 08-10-2000.

Sull’atteggiamento dei socialisti montenegrini, si segnala l’intervista de La Repubblica (09-10-2000) a Predraj Bulatovic, uno dei maggiori esponenti del Snp (“Djukanovic è un uomo finito. Il Montenegro resta jugoslavo”). Le dichiarazioni di Rugova e Krasnici sono in M. Caprara, “Rugova resta scettico ‘Anche quel Kostunica è un estremista serbo’”, in Corriere della Sera, 06-10-2000. Questo quadro è confermato anche da Bettiza, “La mezza rivoluzione d’ottobre”, cit.: “Un governo montenegrino che giudica illegittima l’elezione di Kostunica e che, non riconoscendola, nega l’esistenza stessa della federazione jugoslava da cui Podgorica si propone di uscire con un imminente referendum popolare. Un Kosovo dove tutti, dal moderato Rugova ai militanti del disciolto ma non scomparso Uçk, mettono Kostunica sullo stesso piano di Milosevic”. Sergio Romano, ragionando sugli errori della Nato e dell’occidente che avrebbero favorito Milosevic, scrive testualmente: “Abbiamo staccato il Kosovo dalla Serbia, ma non possiamo concedergli l’indipendenza. Abbiamo incoraggiato il velleitario indipendentismo del Montenegro, ma temiamo gli effetti di una eventuale secessione” (“Il rompicapo di Belgrado”, cit.).

(15) L. S., “Kostunica boccia le elezioni in Kosovo”, in Il Resto del Carlino, 30-10-2000.

(16) L’intervista è sempre quella rilasciata da Jovanovic a Solidaire in data 11 ottobre.