Una riflessione su quanto è avvenuto per le strade di Torino

di Daniele Cardetta, coordinatore FGCI Torino

Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione

celere studenti scontriL’ultima settimana a Torino è trascorsa ad alta temperatura tra blocchi stradali dei cosiddetti forconi e le manganellate della polizia contro gli studenti. In molti a sinistra hanno fatto autocritica ridicolizzando coloro che hanno demonizzato le proteste in quanto monopolizzate dall’estrema destra, invocando maggiore attenzione per questa gente. Ma questa folla arrabbiata ha davvero qualche potenzialità rivoluzionaria?

Quanto successo a Torino nella settimana cominciata con il 9 dicembre ha occupato le prime pagine dei giornali nazionali per diversi giorni, facendo trattenere il fiato ai cittadini torinesi. Chiaramente questi tumulti, perchè chiamarli diversamente riesce difficile, hanno avuto il denominatore comune della rabbia, la rabbia contro il governo, la rabbia contro la politica, la rabbia contro i sindacati, contro la rappresentanza e contro l’Europa.

Una rabbia per certi versi comprensibile, è vero, una rabbia che nessuna forza politica di sinistra ha voluto organizzare, quello è vero, preferendo quella distanza che tanti consensi ha fatto perdere fino a oggi alla sinistra. E’ vero quindi, la sinistra ha deluso consistenti porzioni delle periferie torinesi, di giovani e disoccupati esasperati da una situazione sociale ed economica che li vede ai margini, è vero e anzi proprio da questo bisognerebbe ripartire per capire quello che si è tragicamente sbagliato negli ultimi dieci anni. Tutto vero quindi, il capoluogo piemontese ha subito come pochi la crisi economica, al punto da diventare una delle prime città del Nord per disagio economico e sociale, ma da qui a considerare quanto successo il 9 dicembre come un evento potenzialmente rivoluzionario e positivo ce ne passa..Eppure sono molti quelli che, pieni di livore nei confronti di una sinistra che ha sicuramente le sue colpe, lo abbiamo già rimarcato, commettono a nostro dire l’errore di stravolgere la realtà e volerci vedere quello che vorrebbero sia e non quello che è. Si sono sprecate le analisi che vedono nella sommossa del 9 dicembre una manifestazione di protagonismo del proletariato, non fosse che costoro si dimenticano di ricordare che questa sommossa ha presentato delle caratteristiche quantomeno torbide, dall’immobilismo delle forze dell’ordine fino alla partecipazione alle proteste di ultras e altri che hanno partecipato al cosiddetto conflitto solo perchè se ne presentava l’occasione. Inutile dire che all’interno della organizzazione del 9 dicembre hanno recitato un ruolo importante le organizzazioni di estrema destra, fatto questo ammesso dallo stesso Angelino Alfano in Parlamento. Basta questo per etichettare tout court questa protesta come neofascista? Ovviamente no, così come è sbagliato schierarsi snobisticamente contro le rivendicazioni di chi ha oggettivi motivi di essere arrabbiato con la società. Ci sembra però assolutamente e altrettanto errato vedere potenzialità rivoluzionarie laddove non ci sono, e laddove soprattutto non esiste la benchè minima coscienza di classe, ovvero la consapevolezza di far parte di un gruppo di persone che ha le stesse problematiche. Vi è poi un’altra grande illusione che hanno questi “visionari rivoluzionari”, ovvero che si possa esercitare egemonia all’interno di una protesta che si è organizzata sulla finzione dell’ “apoliticità”. Fedeli alla concezione gramsciana, a nostro dire non è possibile essere apolitici quando si operano rivendicazioni politiche e ci si occupa di politica. Coloro che sono scesi in piazza il 9 dicembre si professavano apolitici, nè di destra nè di sinistra, eppure sono scesi in piazza proprio per ottenere dei risultati politici. Anzi anche essendo apolitici si è in realtà politicizzati in quanto, indirettamente, si lavora politicamente per qualcun altro. Cavalcare il qualunquismo sociale dunque in Italia significa annullare le differenze tra destra e sinistra e creare un brodo culturale parafascista che si è incardinato sul tricolore e sulla prova di forza da insurrezione contro le istituzioni tipica dell’estrema destra. Riassumendo quindi hanno fatto sicuramente molto bene i compagni che sono scesi in piazza per monitorare la situazione, parlare con le persone e tastare il terreno, ci mancherebbe altro, ma occhio a inseguire le piazze a causa dell’impossibilità di utilizzare la cultura per fare egemonia nella società. E soprattutto occhio anche a incorrere nell’altro errore, secondo noi simile a quello di chi ha demonizzato in toto le proteste senza vederne le motivazioni profonde, ovvero quello di interpretare l’accaduto sulla base della contrapposizione di classe che oppone la sinistra ormai “borghese” al proletariato impoverito e in tumulto. Se all’apparenza questa visione presenta un fondo di verità, a una analisi più approfondita si potrebbe facilmente arguire che le classi sono tali anche in base alla consapevolezza, e quando questa è assente non è assolutamente detto che si comportino coerentemente, soprattutto se i valori egemoni sono quelli imposti da un sistema di media che ha completamente annichilito la cultura di sinistra negli ultimi vent’anni. Senza avere strumenti per irraggiare l’egemonia delle proprie idee insomma, il rischio è quello di fomentare solo una grande confusione, finendo per appoggiare una sommossa impastata di nazionalismo, qualunquismo e disprezzo nei confronti di tutto ciò che è politica e Stato. E l’odio per la politica, indipendentemente dalle classi sociali di riferimento, non può che produrre mostri. Davvero credete che se il popolo si solleva e fa cadere il governo avremo un Parlamento composto da giovani onesti e scelti in base a un criterio meritocratico? Oppure il potere finirebbe inevitabilmente nelle mani dei capibastone che urlano più forte degli altri? Per questo, da militanti di sinistra che non si vergognano di essere comunisti, saremo sempre affianco degli ultimi, degli oppressi, e di coloro che sentono con rabbia le ingiustizie, ma non saremo mai accanto a coloro che antepongono gli interessi di loro stessi a quelli della comunità, non saremo mai con chi pretendendo di avere più ragione degli altri non pensa a convincerli con le parole ma ricattando e minacciando i negozianti. Quello si chiama fascismo, e abbiamo già dato. E, in conclusione, come mai le manifestazioni degli studenti sono state represse a Roma come a Torino senza troppi problemi, mentre di fronte alle proteste del 9 dicembre la polizia sembra essersi comportata in modo molto diverso? Sarà che gli studenti dispongono proprio di quella coscienza di classe che fa tanto paura al sistema?