Intervista. Il punto di Giacchè: “La crisi è ancora in pieno corso”

di Daniele Cardetta | da www.articolotre.com

giaccheConsueto punto sull’economia dell’economista Vladimiro Giacchè sulle pagine di Articolotre

Secondo i dati eurostat la disoccupazione è in netto aumento in tutta la zona Euro, questo a che prospettive può portare?

L’aumento della disoccupazione a livello europeo significa che la crisi e’ ancora in pieno corso, che essa non e’ dovuta al debito sovrano, e che le terapie di austerity imposte praticamente in tutti i paesi europei non migliorano la situazione, ma la peggiorano. Le prospettive purtroppo non sono buone. Il punto di svolta e’ ben lontano, anche perché ci si ostina ad affrontare questa crisi con le idee vecchie del liberismo trionfante degli anni Ottanta: smantellamento dello stato sociale, privatizzazioni, liberalizzazioni, deflazione salariale. Il problema oggi e’ il governo dell’economia, ma si preferisce che i governi seguano i diktat dei mercati, e i risultati si vedono.

Monti e il governo tecnico hanno parlato a lungo delle misure varate per riattivare l’economia soprattutto facendo leva sui giovani. Per esempio fare aprire una srl ai giovani a un euro secondo lei è una misura che può avere utilità reale o è solo propaganda?

Se si riteneva propaganda l’idea di Berlusconi-Tremonti di facilitare la nascita di nuove imprese abolendo le autorizzazioni necessarie, bisogna considerare allo stesso modo questa idea di Monti. I capitali che servono a un’ impresa per funzionare non si possono abolire per decreto. E il vero problema dell’economia italiana non e’ che nascano troppo poche imprese, ma che ne muoiano troppe. E questo e’ dovuto al fatto che troppe imprese hanno dimensioni inadeguate a reggere la competizione internazionale. E’ su questo che si dovrebbe intervenire.

L’intervento statale come lei ha già detto può essere un volano per rilanciare l’economia. In che modo però questo può avvenire all’interno dell’Ue?

Quando si parla di intervento statale si possono intendere due cose diverse: o spesa pubblica a sostegno della domanda aggregata, in una situazione in cui la domanda che proviene dal settore privato e’ insufficiente; oppure un intervento pubblico nell’economia che si prefigga lo scopo non soltanto di tappare i buchi lasciati dal privato, ma di orientare l’attività economica almeno in settori fondamentali quali quello bancario/finanziario, quello energetico e quelli delle reti (fisiche e di comunicazione). Il primo modello di intervento statale e’ quello keynesiano (spesso tacitamente praticato anche da governi ferocemente antikeynesiani a parole: ad es. le enormi spese militari di Reagan furono una forma di keynesismo sotto le mentre spoglie della lotta contro l’Impero del male). Con il secondo modello di intervento pubblico si va oltre Keynes, verso forme di controllo pubblico dell’economia. Oggi bisogna senz’altro battersi contro le politiche di austerity, e quindi non si deve davvero ritenere scandaloso il primo modello di intervento pubblico, ma questa crisi non potrà essere superata senza far ricorso a forme di controllo pubblico dell’economia. E’ ovviamente estremamente difficile far passare questo discorso nell’odierna Unione Europea, ma si tratta di un problema essenzialmente politico e di un passaggio indispensabile. A differenza di quanto comunemente si ritiene non e’ affatto vero che questo genere di intervento sia giuridicamente impossibile all’interno dell’ Unione Europea: basta pensare alle nazionalizzazioni d’emergenza avvenute quasi ovunque tra i 2008 e il 2009 per avere la riprova.

Hollande in Francia ha parlato di tassare i grandi redditi al 75%. E’ una misura praticabile o anche lì è solo propaganda?

Tecnicamente e’ senz’altro praticabile: negli Stati Uniti degli anni Settanta l’aliquota più elevata era maggiore di questa. Il problema e’ se lo e’ anche politicamente. Certamente si tratterebbe di una rottura con la più recente tradizione socialdemocratica, che ha seguito (e in qualche caso superato) le destre nella detassazione delle imprese e dei redditi più elevati (emblematico al riguardo il governo Schroeder in Germania qualche anno fa).

Infine un suo pensiero sulla Tav. Economicamente servirebbe al Paese un’impresa di questo tipo?

No. La Torino-Lione non appartiene alle infrastrutture utili, e la cosa e’ stata messa in chiaro anche da economisti e ricercatori non sospetti di bolscevismo: al riguardo si sono espressi economisti de lavoce.info e anche una ricerca del Politecnico di Milano, di cui ha dato notizia il Sole 24 Ore del 31 gennaio, ha messo in dubbio l’economicità di quest’opera.