Brics e Sco: un’altra comunità internazionale è possibile

brics sco leadersdi Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Pochi giorni dopo la pubblicazione del documento sulla nuova strategia militare da parte del Dipartimento di Stato statunitense, nel quale il mondo viene diviso in un fronte del bene – quello guidato da Washington a “sostegno delle istituzioni e delle procedure stabilite per la prevenzione dei conflitti, il rispetto della sovranità e la promozione dei diritti umani” – contrapposto a quello del male – quello trainato da Cina e Russia con alle spalle “canaglie” come Iran e Corea del Nord –  ecco che ad Ufa (Russia), proprio questo fronte, abitualmente espulso da una “comunità internazionale” variabilmente rinchiusa tra i confini della Nato e alleati di turno, ha posto nuove basi, politiche, economiche e finanziarie, sulle quali fondare una possibile liberazione da una soffocante, benché scricchiolante, cappa unipolare.

Nella città russa –  si sono ritrovati i capi di Stato dei Paesi facenti parti del gruppo Brics e della Shanghai Cooperation Organisation, entità, nuclei di una possibile e futura cooperante comunità internazionale di segno multipolare, che vedono in cabina di regia proprio Mosca e Pechino, e che esprimono con chiarezza l’esigenza sempre più diffusa di chiudere la parentesi di un sistema economico (con persistente ricatto militare) che ha limitato lo sviluppo di una parte del Mondo e incapace di riformare le istituzioni finanziarie (su tutte il Fondo monetario internazionale) in linea con l’emergere di nuovi equilibri internazionali.

I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) rappresentano oggi quasi il 20% del commercio globale, il 13% di quelli dei servizi e il 45% della produzione agricola mondiale, mentre il Pil dei cinque è passato dai 10 trilioni di dollari del 2001 ai 32.000 miliardi del 2014.

La scelta di Ufa, capitale del Bashkortostan, come capitale momentanea di quella che possiamo definire “l’Altra comunità internazionale” potrebbe anche essere carica di significati simbolici: si trova a ridosso degli Urali, ai confini della Russia europea a sottolineare la necessità di dialogo tra Occidente e Oriente (e in questo il ruolo centrale di Mosca) e nel 1941 aveva ospitato il governo  della repubblica sovietica di Ucraina in fuga a seguito dell’aggressione della Germania nazista.  Non agiscono proprio ora in Ucraina, in seguito al golpe del 2014, movimenti dichiaratamente legati al passato collaborazionismo nazista? Non è forse in atto – fortunatamente ridimensionato dalla resistenza politico e militare della popolazione russa dell’est ucraino – un’aggressione militare dai risvolti genocidi?

Uno dei punti della dichiarazione sottoscritta al termine del vertice Brics è proprio dedicata al 70° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, in omaggio “a tutti coloro che hanno combattuto contro il fascismo e il militarismo e a favore della libertà dei popoli” e in opposizione “ai tentativi di rivedere i risultati della seconda guerra mondiale”. Non è troppo difficile leggere tra le righe una larga condivisione delle preoccupazioni di Mosca e di Pechino che vedono distendersi, la prima, un progetto di aggressione ai propri confini che non disdegna l’utilizzo di manovalanza nazistoide, la seconda, il ritorno del militarismo nipponico, seppur imbrigliato (per ora) nel trattato di sicurezza con gli Stati Uniti.

Non c’è solo questo: la dichiarazione di Ufa contiene una sorta di “principi fondamentali” di quella che possiamo definire la “Carta costituzionale” di una futura comunità internazionale multilaterale e cooperante. Ci sono la critica all’adozione di “doppi standard” nel riferimento ai principi e alle norme del diritto internazionale (chiaro riferimento all’unilateralismo Usa e occidentale); la condanna degli “interventi militari unilaterali e delle sanzioni economiche in violazione del diritto internazionale” e l’invito ad interpretare la sicurezza come “bene indivisibile” di contro ad una sorta di appropriazione privata da parte della potenza egemone; il rispetto “dell’integrità, della sovranità e dell’unità” della Siria (mentre a Washington si pensa alla sua riduzione a confederazione su basi etniche in sostanza fuori dal controllo di Damasco), l’invito ad una soluzione diplomatica ed inclusiva della crisi insieme alla condanna netta di “ogni forma di supporto e finanziamento ai gruppi di terroristi” che da anni insanguinano il Paese; la centralità dell’economia pubblica e dell’azione dello Stato nel sostegno dello sviluppo (esiste un “diritto allo sviluppo economico”) nei Paesi del sud del mondo e il sostegno allo sviluppo dei diritti umani con un approccio complessivo – e non “politicizzato” – che pone sullo stesso piano quelli civili, sociali, economici e culturali. Un riconoscimento implicito, per esempio, alla portata storica della lotta contro la povertà condotta dalla Cina popolare che, proprio mentre riconosce il diritto alla vita, ed alla sicurezza sociale, a milioni di persone, viene accusata di violazione dei diritti umani (a proposito di “politicizzazione” degli stessi!).

Ma oltre ai principi, ci sono le decisioni, e con queste, le istituzioni che danno sostanza all’alternativa: prima di tutto la nascita della Nuova Banca di sviluppo con un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari (ma si arriverà al raddoppio) con sede a Shanghai (e sempre in Cina, a Pechino, avrà sede l’altrettanto nuova Asian Infrastructure Investment Bank, facendone così il principale motore economico del 21° secolo grazie alla sua potenza di fuoco finanziaria) ma con presidenza a rotazione, il cui compito principale è il sostegno di progetti di sviluppo infrastrutturale rivolti ai “Paesi del sud del mondo”, ma che è aperta anche all’ingresso di Paesi sviluppati e alla collaborazione con istituzioni già esistenti (difficile non pensare alla stretta collaborazione con la banca a guida cinese); accanto a questa la costituzione di un Fondo di Riserva con un capitale di 100 miliardi di dollari che avrà l’obiettivo di prestare assistenza a qualsiasi componente del gruppo in caso di crisi finanziaria (la Cina contribuisce con 41 miliardi, Brasile, Russia e India con 18 miliardi, mentre il Sudafrica con 5 miliardi). Il Fondo, secondo il ministro delle Finanze russo Siluanov, rappresenta “una sorta di mini-Fmi per i Paesi Brics. Se un Paese si trovasse in difficoltà nella bilancia dei pagamenti, o registrasse fughe repentine di capitali o una riduzione del saldo del conto corrente, avrà il diritto di prelevare risorse da questo fondo. Il fondo risponderà tempestivamente, assicurando valuta estera per sostenere la bilancia dei pagamenti”.

C’è poi l’allargamento della Shanghai Cooperation Organisation, fondata nel 2001, e che dal prossimo anno vedrà aggiungersi ai membri storici (Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) l’India e il Pakistan. Una decisione – storica se si pensa ai contrasti tra le due potenze regionali – che porterà sotto l’ombrello dell’organizzazione un ulteriore miliardo e mezzo di persone e quella che è conosciuta come la “più grande democrazia del mondo”, rendendo sempre meno credibile la caricatura di organizzazione di Paesi a trazione autoritaria quando non totalitaria. A questo si aggiunga la proiezione dell’organizzazione, e quindi della sua influenza, in aree strategiche come il Medio Oriente e l’Oceano indiano. Un altro nucleo di comunità internazionale cooperante (nel rispetto di sistemi politico-sociali diversi) nel settore della sicurezza e della lotta al terrorismo e al separatismo, che potrebbe favorire il progressivo esaurirsi di rivalità peraltro funzionali al “divide et impera” del progetto imperiale statunitense.

Ma non è tutto. Il processo di progressiva integrazione/collaborazione su basi paritarie della massa euroasiatica ha certo nel nucleo sino-russo la forza trainante. Ed a Ufa – altra notizia non certo piacevole per l’imperialismo – l’orso e il drago hanno stretto un nuovo impegno indirizzato alla collaborazione e all’integrazione dei rispettivi progetti politico-economici attivati in quelle che potremmo definire rispettive aree di influenza: è avviato il processo per la creazione, “nel più breve tempo possibile”, di un Partenariato economico (EPA) tra Cina e Unione Euroasiatica, quindi una collaborazione tra il progetto di Nuova Via della Seta (40 miliardi di dollari stanziato da Pechino in un fondo ad hoc) e l’organizzazione a guida russa: un enorme spazio economico comune che lambisce i confini dell’Unione Europea.