Tragedia greca

Greek Flagdi Spartaco A. Puttini per Marx21.it

Un’altra Unione europea non è possibile. L’uscita della Grecia prossima ventura

Il risultato del referendum greco, con il massiccio “no” che ha rigettato la politica ricattatoria della Troika, ha avuto l’effetto positivo di dimostrare che i popoli europei che più soffrono la crisi e le politiche di austerità di cui la Ue è principale alfiere iniziano a rifiutare lo slogan ricattatorio “ce lo chiede l’Europa”.

E’ stata una lezione di democrazia. E’ stato anche un risultato simbolicamente rilevante e spendibile per tutti coloro che aspirano a voltare pagina e in politica, si sa, i simboli hanno il loro peso.

Tuttavia il punto è un altro: è essere conseguenti, come le drammatiche vicende successive della politica greca stanno dimostrando, con la tragica resa della democrazia al mercato e di Tsipras alla troika.

Un’altra Unione europea non è possibile

Tsipras e Syriza hanno costruito il loro successo politico sulla promessa di un’altra Europa (cioè un’altra Ue) possibile, cioè sull’ipotesi di tenersi l’euro rigettando le politiche di austerità. Questo ha consentito alla sinistra radicale greca di intercettare i voti in fuga dal Pasok, elettori che, come ha notato Halévy, erano stati assuefatti da decenni di propaganda europeista e non erano maturi per la scelta più consapevole rappresentata dal KKE (e non solo per i limiti tattici che possono essere imputati ai comunisti greci) [1].

Il consenso di Syriza è stato sin da subito costruito sulle sabbie mobili di una promessa che non poteva essere mantenuta. Tsipras avrebbe potuto salvare la Grecia dal baratro dell’austerità e della rapina solo rompendo la gabbia dell’Unione monetaria e recuperando la piena sovranità indispensabile a varare politiche economiche e sociali avanzate e in controtendenza con quanto vediamo in Europa. Chi continua a sostenere che la sovranità nazionale non sia più praticabile non sa cosa dice, semplicemente. Faccia il favore di farsi un giro per il mondo e di levarsi dal dibattito (di per sé già impegnativo) che necessariamente devono affrontare le sinistre di questa parte di mondo per ricostruirsi su basi degne e credibili.

In poche parole Tsipras, per mantenere la promessa di fermare il macello, avrebbe dovuto cambiare il suo fideistico punto di vista europeista “di sinistra”. Quando le trattative con la troika si sono arenate l’icona della sinistra radical nostrana è ricorso al noto referendum, comprensibilmente nella speranza di aumentare il proprio potere contrattuale. Poi, anziché passare all’incasso, si è suicidato firmando un memorandum con gli strozzini che non si discosta di molto da quanto poco prima aveva rifiutato. La scena di lasciare alla controparte la propria giacca mescola la tragedia greca con una sit-com di basso profilo e rappresenta una recita inutile. Il popolo greco ci rimetterà le mutande e molto di più.

Il potere contrattuale che Tsipras poteva trarre dalla vittoria nel referendum era puramente teorico. Per più ragioni.

In primo luogo perché è stato lo stesso governo greco a limitare il proprio margine di azione, rifiutando di inserire nel novero delle possibilità un’uscita unilaterale della Grecia dall’eurozona. Misura per la quale bisognava aver approntato una serie di passaggi tecnici (come nazionalizzare il sistema bancario e arrestare la libera circolazione dei capitali) e politici (tenendo un discorso coerente, lucido e realista al proprio popolo, cosa che Syriza non è stata mai in grado di fare). A questo si è giunti perché si è considerato l’ipotesi di uscire dall’euro come il limite invalicabile. L’opzione del Grexit a un certo punto sembrava presente nel dibattito solo perché alcuni falchi tedeschi la agitavano propagandisticamente come una sorta di spauracchio punitivo. 

In secondo luogo per la scarsa propensione di Bruxelles, Berlino, Strasburgo e Francoforte a considerare l’opinione dei popoli europei. Pensiamo a quanti popoli sono stati chiamati a ratificare i trattati che ci hanno portato nell’Unione, a quanti di questi hanno rifiutato questi trattati e chiediamoci poi come è finita. E’ finita che non è stata cambiata la filosofia lungo la quale si muoveva il cammino dei trattati, ma le costituzioni nazionali!

Dunque già prima del referendum era lecito porsi una questione: perché la troika avrebbe dovuto ammorbidire le proprie posizioni nelle trattative in virtù della vittoria del no al referendum greco quando non aveva cambiato di una virgola la propria posizione intransigente nonostante la vittoria di Syriza alle ultime politiche? Per nessuna ragione, evidentemente. La verità è che lor signori vivono ormai la democrazia come un fastidio, da imbrigliare e svuotare di significato in riti elettorali dall’esito preferibilmente scontato in virtù di leggi elettorali maggioritarie e bizzarre. Ciò che vogliono è imporre alle nazioni e ai popoli europei la regressione liberale e liberista. Il processo di integrazione europeo è nato per questo, non è deviato da una presunta nobile origine. E’ sempre stato un processo reazionario realizzato su misura del grande capitale, un processo reazionario che può avvalersi dell’arma affilata costituita dall’euro [2]. Da parte dei vertici Ue non c’era nessun interesse a trattare davvero e per ballare il tango bisogna essere in due. Ecco perché la posizione di Syriza era irrealistica, sin dall’inizio. Un’altra Ue non è possibile.

L’uscita della Grecia prossima ventura

Il processo in corso è pur sempre quello imperialistico, che vede il trasferimento di ricchezza dalle classi medio-basse della società verso il vertice della piramide sociale e che vede il saccheggio delle periferie e semiperiferie da parte del centro del sistema. Si chiede alla Grecia di pagare i debiti innescati consapevolmente da un meccanismo di sfruttamento e sottomissione classico dell’economia imperialistica e in realtà la si saccheggia ancor più e la si subordina come una colonia qualsiasi. Dopo della Grecia toccherà al Portogallo, alla Spagna, all’Italia, alla Francia… Questo processo è già in corso [3]. Da questo si può misurare tutta la pochezza delle classi dirigenti dei paesi europei. O meglio, la loro estraneità all’interesse nazionale.

Date tali premesse, nella migliore delle ipotesi Tsipras avrebbe potuto giocarsi il risultato referendario per ottenere un taglio del debito, lasciando però immutato il processo che continua a stritolare la Grecia e gli altri popoli europei, obbligandoli a una svalutazione interna senza fine e privandoli di sovranità e di futuro.

Dopo il referendum, Tsipras, se fosse stato un politico di media statura e non il tipico nano che affolla i salotti della sinistra radical, avrebbe dovuto rompere in modo unilaterale con l’eurozona e restituire alla Grecia la sua libertà, perché è il momento di affermare che c’è sempre un’alternativa al suicidio. Ma per questo occorreva essere preparati, prepararsi e preparare il proprio popolo, cui invece era stato promesso il contrario. Questo non è stato fatto perché non si voleva rompere con il tabù europeista che pervade tanta parte della sinistra continentale e che la rende sterile e inutile (da cui il montare di altri fenomeni politici, anche di destra come il Fn in Francia). Syriza non era in grado per i suoi limiti di cultura politica di svolgere un’azione pedagogica di questo tipo e di far capire che la battaglia reale oggi è quella per il recupero della sovranità nazionale, che è solo il recupero della sovranità nazionale che può consentire di spezzare i vincoli recessivi e regressivi insiti nell’adesione alla Ue e alla Uem e che può consentire di varare politiche “di sinistra”.

Ora quel che resta pare giocarsi su “un’altra austerità possibile”, cercando di ripartire gli oneri delle politiche “di aggiustamento” (come vengono pudicamente chiamate) all’interno della società greca in modo che risultino le meno punitive possibili per le classi popolari. Un altro incastro impossibile, sia dal punto di vista tecnico, perché non mette in discussione il declino greco, sia dal punto di vista politico, perché la maggioranza di governo potrebbe trovarsi fragile di colpo e lacerarsi a causa di contraddizioni interne. Che probabilità ci sono che tenga l’alleanza con ANEL? Reggerà la stessa Syriza su basi unitarie? La bozza d’intesa sul terzo memorandum che si prepara ha visto significativamente la mancanza in calce delle firme di Kammenos (leader di ANEL) e di Lafazanis (rappresentante di quella che è in qualche modo la sinistra più coerente di Syriza) [4]. Lo stesso segretario di Syriza e gran parte del gruppo dirigente del partito in queste ore hanno sconfessato il governo.

Un tempo nei processi di emancipazione nazionale i paesi del Sud cercavano di spezzare il meccanismo di scambio ineguale, di dependencia, che portava alla loro satellizzazione da parte del centro del sistema. I prestiti capestro e i falsi aiuti erano visti come il fumo negli occhi. Oggi il braccio di ferro si svolge per ottenere una nuova tranche di prestiti (che sono debiti) dalle stesse realtà che hanno fatto della Grecia un “caso di successo”, per utilizzare l’espressione di Monti. Un bel arretramento, culturale ancora prima che politico, non c’è che dire.

La Grecia potrà anche essere un “caso di successo” per le oligarchie liberali, sicuramente non sarà una storia a lieto fine. Prima o poi il paese sarà costretto a lasciare l’eurozona. Non potrà continuare a cullare pericolose illusioni, perché non si può cavare sangue dalle rape.

Sul tabù dell’europeismo è caduto Tsipras e cade Syriza, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi. Perché al netto delle dinamiche divaricanti che stanno prendendo corpo sull’onda della capitolazione del governo greco e al netto delle possibili evoluzioni future della sinistra radicale greca è tutto il partito ad aver tenuto una linea perdente, che ha portato in un vicolo cieco. Cade tutta la sinistra radical che ha girato la faccia a due secoli di elaborazione culturale e politica per abbracciare uno smarrimento postmoderno.

Ci sono due modi di essere minoritari. Il primo consiste nell’essere, nelle condizioni presenti, in minoranza, ma cercando di dotarsi degli strumenti per ribaltare la situazione, incontrando i bisogni popolari e tessendoli in una visione strategica complessiva e potenzialmente vincente. Il secondo consiste nell’essere minoritari di testa, perché si percepisce e pensa in modo minoritario, sulla base di tabù, luoghi comuni e vulgate spesso indotte da circuiti mediatici che sono le cinghie di trasmissione dei poteri politici ed economici al servizio delle oligarchie, del proprio nemico di classe. O di circuiti “alternativi” che in realtà servono solo a disorientare ciò che resta della sinistra sinistrata. 

Esemplare a tal proposito la figura di Toni Negri, che ancora recentemente scrive che “parlare di guerra è parlare di Stato nazione”, con buona pace dell’imperialismo, categoria posta nel dimenticatoio, per perdere qualsiasi riferimento con la realtà di ieri e di oggi. Un discorso certo utile…all’imperialismo. Verrebbe da chiedersi quale sia la differenza tra Negri ed un “borghese normale”, per utilizzare un’espressione di Giorgio Gaber.

Il recupero della questione nazionale nella sinistra di classe resta lo snodo necessario per qualsiasi processo di ridefinizione. Le questioni poste dall’eurocrisi impongono chiarezza e nettezza nell’impostare la propria proposta strategica, che non può essere in costante contraddizione con la tattica che le è, di necessità, subordinata. Non si può stare al gioco di chi chiede “come pensate di risolvere la situazione, stante che non si può uscire dall’euro” perché sarebbe come chiedere “come pensate di risolvere la situazione, stante che la situazione non si può (o non si deve) risolvere”.

Siamo di fronte alla necessità di costruire un’alternativa patriottica e di sinistra che riesca a fare fronte comune di tutte quelle figure sociali che sono colpite dal processo di espropriazione in atto, sulla base di una strategia di uscita progressiva dalla crisi. Per la costruzione di questo fronte risultano del tutto inservibili i cocci della sinistra socialdemocratica e radical che è sorda alla questione nazionale e che è sensibile al ciarpame alter-europeista tipico di club di gnomi del pensiero e di giganti delle cantonate (vedi alla voce principali promotori dell’Altra Europa con Tsipras).

Ora il rischio è che il governo Tsipras diventi un regime collaborazionista, che abbia vita breve aprendo a un esecutivo tecnico gradito a Bruxelles o che, comunque vada, apra le porte con il proprio fallimento politico all’estrema destra. Il tipico risultato dei socialdemocratici, comunque travestiti, in versione moderata o radicale. Del resto chi non riconosce l’imperialismo non riconosce la questione nazionale.

Il primo passo per ricostruire qualcosa è mettere in piedi un partito che sia orientato su questi due binari. Il secondo è costruire un fronte più ampio sulla base di queste due bussole (questione nazionale e questione sociale si sarebbe detto una volta) lasciando perdere l’ipotesi di aggregare una sinistra unita in cui le scorie socialdemocratiche, alter-europeiste e radical comprometterebbero da subito la partita. Un’altra Europa sarà possibile solo sulla base della cooperazione paritaria tra Stati sovrani al di fuori di qualsiasi processo di integrazione, fosse anche federale, del nostro continente. Prima però bisogna fare i conti con l’Europa.

1. Il nuovo governo greco. Intervista a Joseph Halévy in: contropiano.org 30/01/2015 : http://contropiano.org/articoli/item/28856

2. Mi permetto di rimandare a: S. A. Puttini, Più Europa? No grazie! Quale sinistra per quale Europa; in: “Gramsci Oggi”, n.1 2014

3. Sulla crisi greca si veda: A. Bagnai, Cosa sapere della Grecia? ; in: Goofynomics.blogspot.it 19 /1/ 2015 : http://goofynomics.blogspot.it/2015/01/cosa-sapete-della-grecia-fact-checking.html Sul processo di integrazione europeo mi permetto di rinviare a S. A. Puttini, L’impatto dell’euro sulle economie nazionali; in: marx21.it 1/3/2014 : https://www.marx21.it/internazionale/europa/23693-limpatto-delleuro-sulle-economie-nazionali.html

4. Significativa la dichiarazione di Thanassis Petrakos, esponente della sinistra di Syriza: “Dobbiamo preparaci all’uscita dalla zona euro e dirlo chiaramente alla gente. La sinistra ha un futuro, quando apre le sue porte verso l’ignoto, non verso il nulla”. Ma con che ritardo si potrebbe aggiungere e in quali condizioni ormai! Si veda: http://www.sinistrainrete.info/europa/5441-stathis-kouvelakis-grecia-dallassurdo-al-tragico.html