Plenum del Partito comunista cinese: ha davvero trionfato il mercato?

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

chinas-18th-national-party-congressTrascorsi alcuni giorni dalla chiusura del terzo Plenum del Partito comunista cinese – che si è svolto dal 9 al 12 novembre a Pechino – possiamo con una certa tranquillità trarre alcune conclusioni, probabilmente un poco controcorrente. Già perché quasi ovunque – da destra come a sinistra – si legge che nel “conclave rosso” si sarebbe celebrato il trionfo del libero mercato. Per la destra si tratta dell’ulteriore dimostrazione della superiorità del modello capitalista nei confronti di quello socialista, per la sinistra (anche radicale), invece, si è consumato l’ennesimo atto del tradimento cinese ai danni della causa del socialismo. È andata veramente così? Se la quasi totalità della stampa italiana mostra un consenso unanime, così non avviene se ci spostiamo oltre i nostri confini. Prendiamo ad esempio il Wall Street Journal che, riportando i dubbi di molti economisti, definisce “contraddittorio” il pacchetto economico approvato: certo, c’è la sottolineatura del ruolo decisivo del libero mercato, ma resta l’onnipresente presa del Partito comunista e, con un certo disappunto, il “ruolo dell’economia statale” in settori strategici come quello dell’energia, delle infrastrutture e delle telecomunicazioni (oltre che in quello bancario).

E poi sembra davvero infastidire il fatto che nei comunicati ufficiali non si parli mai esplicitamente di “settore privato”, ma solamente di “economia non pubblica”, quasi a sottolineare la subordinazione del primo1. C’è inoltre il cinese Caixin – influente quotidiano economico e finanziario – che fin dal titolo chiarisce come il “ruolo delle aziende di stato non sia cambiato”, deludendo le aspettative di molti2.

Veniamo ora alle indicazioni emerse dal Plenum, soffermandoci su innovazioni anche in campo amministrativo e di governo. Nell’ambito del “socialismo di carattere cinese”, e in una lunga fase che viene confermata come “primo stadio nella costruzione del socialismo”, al mercato viene ora riconosciuto un ruolo “decisivo” – fino ad oggi era classificato come “fondamentale” – nell’allocazione delle risorse come quello svolto dal settore pubblico. Quest’ultimo, al contempo, continuerà ad esercitare un ruolo di primo piano e dovrà vedere la crescita della propria influenza nell’economia cinese tutta, mentre alle autorità spetterà il compito di “sviluppare la proprietà collettiva”. A tutto il composito universo del “settore non pubblico” – che comprende anche un florido segmento cooperativo (il 20% circa della forza lavoro cinese) che non può certo essere liquidato come capitalista – il governo cinese promette misure per incoraggiare e sostenerne sviluppo, vitalità e creatività, anche al fine di rendere più competitivo il segmento statale. Certamente la “il ruolo decisivo” attribuito al mercato si configura come una innovazione teorica che probabilmente – così è sempre stato dall’avvio della politica di riforma e apertura – riceverà anche una sanzione costituzionale.

Quanto alle aziende statali, pare che, rispetto alle aspettative, sia stato partorito il classico topolino: nessuna rottura dei monopoli, ma solo indicazioni di misure volte più a migliorarne la gestione e incentivare l’efficienza. Ai privati – e questa sembra essere l’unica certezza – sarà concessa la possibilità di acquisire quote fino ad un massimo del 15%. Ma nulla è ancora chiaro sulle modalità di questa presunta scalata privata. Trionfo del libero mercato? Ad oggi non pare proprio. Semmai ci troviamo di fronte al riconoscimento della sua importanza in un contesto sempre dominato dalla proprietà collettiva e dal potere regolatore e di intervento dello Stato (piani quinquennali), quindi – vale la pena ricordarlo – del Partito comunista al potere. Così, ad esempio, ha commentato la Reuters: “il partito ha chiarito di non avere alcuna intenzione di ridurre radicalmente il ruolo dello Stato nell’economia”3.

Il ruolo del Pcc sembra inoltre uscire rafforzato con la costituzione di un “gruppo di lavoro di alto livello” – che non risponderà al governo – che dovrà guidare, da qui al 2020, il nuovo cammino di riforme. Una posizione centrale, quindi, che rafforza più di tutto il potere dell’attuale dirigenza.

Altra novità emersa dal Plenum è quella rappresentata dalla costituzione di un “Comitato per la sicurezza nazionale” che avrà il compito di “perfezionare il sistema di sicurezza nazionale, la strategia di sicurezza nazionale e la salvaguardia della sicurezza internazionale”. Decisione che invia chiari segnali. Innanzitutto la Cina popolare riconosce in questo modo il proprio ruolo di superpotenza politica ed economica sullo scenario internazionale (una struttura simile è quella della NSA statunitense), dotandosi di un organismo che, riunendo diplomatici, militari, esperti di intelligence e di finanza, dovrà dare unità in un settore che rischiava di essere troppo frammentario. Inoltre è possibile che questo passo – che viene dopo l’attentato di piazza Tienanmen e delle sedi del partito a Taiyuan – rifletta la preoccupazione di aumenti delle tensioni internazionali (dispute di sovranità nel Mar cinese meridionale e con il Giappone, “Pivot to Asia” e politica di accerchiamento degli Usa, sicurezza informatica) e interne (terrorismo e movimenti indipendentisti in Tibet come in Xinjiang). Un passo ulteriore per il consolidamento della direzione politica e strategica del Partito comunista: l’organo in via di costituzione risponderà direttamente alla Presidenza della Repubblica popolare. Quindi, nuovamente, al Partito comunista del quale il presidente è segretario in un contesto di leadership collettiva.

Nel frattempo prosegue, nel campo dei diritti civili, la progressiva uscita della Repubblica popolare cinese dallo “stato di eccezione”: nel Plenum è stata infatti presa la storica decisione di abolire il sistema del “laojiao”, vale a dire la pratica della rieducazione attraverso il lavoro, introdotta nel 1957. Inoltre sarà ridotto anche il numero dei reati punibili con la pena di morte. Sempre nel campo dei diritti civili, si è stabilito il progressivo abbandono della politica del figlio unico, consentendo alle coppie, in cui uno dei due genitori è figlio unico, di avere più di un bambino.

NOTE

1The Wall Street Journal, “Beijing Endorses Market Role in Economy”, 12 novembre 2013

2Caixin online, “Plenum Insight: Conclave ‘Didn’t Change Status of SOEs’”, 13 novembre 2013

3Agenzia Reuters, versione web, 12 novembre 2013