La Cina si astiene sul referendum in Crimea. Ma il “racconto” è diverso

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

russia bandiera donnaUna comunità internazionale compatta e una Russia isolata: questa è la narrazione prevalente all’indomani del voto al Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla risoluzione – proposta da Usa e alleati – di condanna del referendum in Crimea. E i narratori – Antonio Gramsci li chiamerebbe a ragione “imbottitori di cervelli” – mostrano come prova schiacciante l’astensione della Repubblica popolare cinese. Quando fa comodo, come in questo caso, Pechino rientra magicamente in una “comunità internazionale” della cui esistenza non si crede più neppure negli Stati Uniti stessi; basterebbe leggere un recente articolo pubblicato dal The National Interest, che certo non brilla per leggerezza nei confronti di Mosca e Pechino: “Al di fuori dell’Europa, in pochi sembrano avere l’intenzione di mettere in discussione i propri legami con la Russia per la Crimea. Il Brasile e l’India adotterebbero questo approccio? E che dite della Corea del Sud e del Giappone? Speriamo che il presidente Obama non creda davvero alla sua retorica su un’inesistente comunità internazionale”.


Ma questa traduzione dell’astensione cinese ha ben poca consistenza. Basterebbe ricordare i tanti interventi ufficiali di condanna nei confronti delle intromissioni occidentali negli affari interni ucraini, l’invito – apparso sull’agenzia ufficiale Xinhua – rivolto a Usa e Unione Europea ad abbandonare la “mentalità da guerra fredda” e riconoscere il ruolo “unico” e risolutivo della Russia nella stabilizzazione dell’Ucraina, fino alle recenti dichiarazioni di Shi Mingde, ambasciatore cinese in Germania, sul rischio che sanzioni contro la Russia possano innescare una pericolosa spirale.

Ma più di tutto l’astensione va inquadrata nelle esigenze di sicurezza e preservazione dell’integrità territoriale della Cina popolare: a Pechino son ben coscienti del fatto che la condanna di Stati Uniti e alleati di oggi nei confronti del referendum in Crimea può trasformarsi d’incanto in piena legittimazione dello stesso strumento per lo Xinjiang, il Tibet o Taiwan non appena – soprattutto nelle prime due – dovessero verificarsi “rivoluzioni colorale” o “primavere” che mettessero in discussione il governo comunista. La Cina guarda principalmente a se stessa e proprio per questo non può legittimare il ricorso allo strumento referendario come via preferenziale per lo sgretolamento dell’integrità territoriale, soprattutto in un contesto internazionale caratterizzato dal susseguirsi dell’interventismo occidentale, diplomatico quanto bellico. Il precedente del Kosovo funge ancora da chiaro monito, non solo per il bombardamento intimidatorio Nato dell’ambasciata cinese a Belgrado, ma per il pieno sostegno occidentale alla secessione di fatto dalla Serbia della regione a maggioranza albanese.

– “Work with Russia on Ukraine”, China Daily, 5 marzo 2014
– “Chinese envoy Shi Mingde warns West against sanctions on Russia”, South China Morning Post, 14 marzo
– “And the Winner in Ukraine Is…China”, The National Interest, 12 marzo 2014