Catastrofe imminente nel Sud Sudan

sudsudan rifugiatidi Carlos Lopes Pereira | da www.avante.pt

Traduzione di Marx21.it

Mentre apprendiamo che, già immediatamente dopo la sua firma avvenuta sabato scorso, un altro accordo per il cessate il fuoco nel Sud Sudan è stato violato, riteniamo utile proporre questa nota scritta da Carlo Lopes Pereira, esperto di questioni dell’Africa.

Il più giovane paese africano, il Sud Sudan, è sull’orlo della catastrofe. Quattro mesi e mezzo di guerra civile hanno provocato già migliaia di morti e più di un milione di rifugiati e sfollati. Incombe la minaccia della fame generalizzata e le Nazioni Unite hanno messo sull’avviso in merito all’imminenza di un “disastro umanitario”.

L’alto commissario dell’ONU per i diritti umani, la sudafricana Navi Pillay, e il consigliere speciale del segretario generale Ban Ki-moon per la prevenzione dei genocidi, il senegalese Adama Dieng, si sono recati nel Sud Sudan alla fine di aprile. Si sono incontrati a Juba, la capitale, con il presidente Salva Kiir e vari ministri, e si sono trasferiti a Nassir, alla frontiera con l’Etiopia, dove hanno avuto colloqui con il leader ribelle, Riek Machar.

I due responsabili dell’ONU hanno potuto verificare il drastico deterioramento della situazione in conseguenza del conflitto, in cui si registrano “gravi violazioni dei diritti umani”. Hanno denunciato assassini in massa di civili, bambini e donne compresi, ed esecuzioni sommarie da parte delle truppe di entrambi i lati. Hanno evidenziato che “è essenziale che il popolo sud sudanese e la comunità internazionale esercitino pressione sui leader politici del paese perché la smettano di trascinare alla cieca il proprio popolo sulla strada dell’autodistruzione”. E hanno avvertito Kiir Machar circa le conseguenze dei crimini di guerra e contro l’umanità che vengono commessi.

Tra le atrocità figurano gli attacchi a scuole, ospedali e presidi sanitari. Il reclutamento forzato di più di novemila bambini nei due eserciti. Violenze e rapimenti di bambine e donne.

Pillay e Dieng hanno anche avvisato che la stagione del raccolto di quest’anno è andata perduta, “con risultati devastanti nell’offerta di alimenti”, e che le agenzie umanitarie sul terreno temono che il cibo a breve verrà a mancare. E si sono dichiarati “scioccati” dall’indifferenza dei dirigenti sud sudanesi davanti al rischio di fame generalizzata.

Anche la comunità internazionale è stata criticata per la lentezza con cui ha reagito alla catastrofe nel Sud Sudan. Ad esempio, la forza di pace delle Nazioni Unite, che a dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva deciso di rafforzare, facendola passare da 7.700 a 13.200 soldati, ancora non è stata completata. Sul fronte umanitario, le agenzie chiedono più fondi, poiché hanno bisogno di assistere 4,9 milioni di persone, numero che crescerà se la violenza non dovesse cessare.

Lacrime di coccodrillo

Mentre la guerra fratricida prosegue, sul piano politico e diplomatico si succedono le visite e le dichiarazioni.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha visitato Juba pochi giorni fa, per alcune ore, e ha ripetuto che esistono rischi di “genocidio” e “fame” se la guerra non cesserà nel paese.

Alla vigilia, il segretario di stato nordamericano, John Kerry – in un viaggio in Africa che ha compreso il Sud Sudan e l’Etiopia – ha ripetuto la minaccia di sanzioni e di “gravi conseguenze” contro i responsabili del conflitto. Ciò, nel momento in cui forze governative e ribelli stavano combattendo per il controllo di Bentiu, capitale della provincia petrolifera di Unità che già è passata di mano varie volte dall’inizio della guerra.

Kerry ha esortato il presidente Salva Kiir e il suo ex vicepresidente Riek Machar, dimessosi nel luglio 2013 e ora capo degli insorti, a rispettare il cessate il fuoco firmato nel gennaio di quest’anno e mai applicato. “Le due parti devono risolvere il contenzioso a un tavolo negoziale e non attraverso azioni militari”, ha aggiunto, esercitando pressione sui due leader perché raggiungano un accordo su trattative dirette tra loro e riprendano i colloqui ad Addis Abeba, con la mediazione dei paesi della regione.

Il Sud Sudan è diventato indipendente nel luglio del 2011, separandosi dal Sudan dopo due decenni di conflitto tra Khartoum e la ribellione sudista di cui Kiir e Machar erano alti dirigenti. Gli Stati Uniti avevano appoggiato il movimento separatista e sponsorizzato l’indipendenza del paese, di 11 milioni di abitanti, ricco di petrolio – sfruttato da compagnie di diversi paesi, tra cui la Cina.

Nel dicembre scorso, gli antagonismi tra il presidente e l’ex vicepresidente sono degenerati in conflitto armato, che si è trasformato rapidamente in una sanguinosa guerra civile, con l’emergere di rivalità etniche tra i dinka, di Kiir, e i nuer, di Machar.

Il caso del Sud Sudan non è l’unico nell’Africa di oggi. Gli imperialisti, nella loro strategia di dominazione dei popoli e di saccheggio delle loro ricchezze, si alleano a settori corrotti delle borghesie indigene, creano divergenze etniche e religiose, dividono stati, fomentano guerre, se necessario intervengono militarmente come in Libia, nel Mali e nella Repubblica Centrafricana. E poi, per camuffare i loro crimini, versano lacrime di coccodrillo e chiedono la pace…