Storia del ‘900 – Il secolo breve visto da una fabbrica italiana

pascale lasoiedechatillon“La Soie di Châtillon Vita, lavoro e lotta di classe”, lavoro commissionato dall’Istituto Storico della Resistenza della Valle d’Aosta ed edito per la End Edizioni, è un’opera storiografica utile per capire le dinamiche riguardanti un impianto produttivo industriale italiano e le relazioni con i suoi lavoratori, l’ambiente e il territorio. Il tentativo che ho cercato di mettere in atto è stato di combinare “storia dall’alto” (cioè delle dinamiche industriali, tecnologiche, finanziarie di un’azienda multinazionale) con la “storia dal basso” (la vita e le condizioni di lavoro dei lavoratori, la loro coscienza di classe, sindacale e politica), analizzando la loro evoluzione nel corso di quasi tutto il “secolo breve” (cit. Hobsbawm) in cui è esistita l’azienda (dal 1919 al 1983, periodo durante il quale è passata nel presente impianto da 2000 a 600 dipendenti circa). Al di là del carattere localistico della ricerca (un impianto industriale valdostano che si occupava di fibre tessili artificiali) ritengo che l’opera sia particolarmente interessante e godibile non solo per gli appassionati di Storia contemporanea, ma anche di politica, lavoro, relazioni sindacali, economia industriale e finanziaria.


METODOLOGIA MARXISTA DELL’OPERA

Il primo elemento di interesse che costituisce un valore aggiunto all’opera è stato di poter usufruire di preziose fonti orali: il libro nasce infatti dalla possibilità di aver potuto confrontare documenti e fonti bibliografiche con le testimonianze orali di una trentina tra operai, impiegati, quadri dirigenti e sindacalisti che hanno lavorato nell’azienda. La maggior parte di queste interviste sono state realizzate alla metà degli anni ’80 e illustrano bene le terribili condizioni di lavoro e di vita fin dalla fine degli anni ’20 e nel complesso dell’epoca fascista. Ampio spazio è stato quindi dato al racconto diretto degli operai e delle operaie, fondamentale per un’indagine di tipo qualitativo e non meramente quantitativo. L’impronta metodologica complessiva è caratterizzata da una ferrea impronta marxiana, specie per l’uso di alcune categorie (la “lotta di classe” presente fin dal sottotitolo, ma anche “sussunzione della categoria padronale”, “crisi di sovrapproduzione”, “alienazione”, ecc.) indispensabili per analizzare il materiale esposto e spiegare certe dinamiche sociali, culturali ed economiche gravitanti attorno all’azienda e all’impianto.

I RAPPORTI DI PRODUZIONE E LA POLITICIZZAZIONE DELLA CLASSE OPERAIA

La volontà primaria di valorizzare tali preziose fonti ha permesso di concentrare l’attenzione sull’evoluzione delle condizioni di lavoro e dei rapporti di produzione tra padronato e classe operaia, i quali sono riconducibili a due macro-periodi: il primo segue l’onda lunga di un autoritarismo paternalista che si ritrova costantemente sia negli anni del fascismo sia nel primo ventennio repubblicano; la Costituzione Repubblicana infatti non porta a sostanziali modifiche dei meccanismi interni di controllo e repressione dei lavoratori, nonostante l’eliminazione degli eccessi dittatoriali più vistosi. Il secondo periodo si apre con la svolta di fine anni ’60, la rapida sindacalizzazione dei lavoratori (con punte del 50-60% sul totale) e la ripresa di una conflittualità capace di ribaltare i rapporti di forza tra Capitale e Lavoro, obbligando la direzione aziendale, complice anche il “moto” operaio nazionale che conduce allo Statuto dei Lavoratori (1970), a fare diverse concessioni in senso “democratico” o minimamente rispettose della dignità umana dei sottoposti. Ciononostante emerge come la politicizzazione degli operai, in una realtà territoriale periferica e contadina, sia sempre assai scarsa, motivo che pone una riflessione seria sulla necessità di ridimensionare l’idea che in quegli anni le lotte fossero frutto di una maggiore solidarietà interna o di un’acquisizione di massa della “coscienza per sé” in senso social-comunista. Paradigmatico in tal senso rimane la vicenda di uno sciopero durato 40 giorni che mise quasi in ginocchio l’azienda.

L’USO POLITICO DELL’IMMIGRAZIONE E IL TOTALITARISMO CHE COLPISCE LE GIOVANI OPERAIE

Altro aspetto di interesse, nonché di attualità, è la modalità con cui a inizio ’20 il padronato riesce a stroncare un movimento operaio combattivo e assai cosciente. Durante il biennio rosso (1919-20) anche in questa località spadroneggiano i socialisti (e dal ’21 avranno un forte peso i comunisti) ed è particolarmente attiva l’attenzione dell’Ordine Nuovo di Gramsci sull’impianto, dal quale arrivano rapporti firmati da un operaio che per tutelarsi si firma “l’occhio di Mosca”. La feroce lotta di classe con cui gli operai cercano di migliorare la propria condizione viene risolta dal padronato (il presidente Ettore Conti è un fascista della prima ora) sfruttando qui più che altrove il classico blocco sociale del ventennio fascista: squadracce e milizie fasciste giungono da fuori per intimidire gli operai e i socialisti con diverse azioni. In contemporanea vengono reclutate centinaia di lavoratori e soprattutto giovani lavoratrici minorenni non istruite e non sindacalizzate dalle regioni del Veneto e dalla Lombardia. Arrivano attraverso agenzie di collocamento illegali controllate dai fascisti ma soprattutto tramite le parrocchie, grazie a parroci compiacenti e ai buoni legami del padronato di origine milanese con la parte più reazionaria e anticomunista del clero. 

L’azienda stessa procederà a finanziare l’espansione (fino ad ottenere una capienza di 700 posti) del convitto “La Provvidenza” gestito da suore che collaborano a stretto contatto con la dirigenza della Soie, tanto da provvedere ad una militarizzazione della vita delle giovani operaie affidate alla Madre Suora da famiglie povere, inconsapevoli e lontane centinaia di chilometri. Le giovani sono scortate ogni giorno dalla fabbrica al convitto, non avendo possibilità di libere uscite, e dovendo anzi sottostare inoltre con ossequio ai riti religiosi e ad un’educazione improntata al rispetto delle gerarchie e dell’ordine sociale. Le operaie minorenni non vedono nemmeno le proprie buste paga, che sono girate dalla direzione direttamente alla Madre Suora, la quale provvede ad inviare il denaro alle famiglie delle giovani, non prima però di aver trattenuto la propria quota spettante per vitto e alloggio… Il reclutamento di centinaia di giovani lavoratrici da altre regioni (non a caso i migranti sono ribattezzati dagli autoctoni spregiativamente come “giapponesi”) consente all’azienda di disporre di un ampio esercito industriale di riserva, tanto da poter licenziare facilmente gli elementi più riottosi e conflittuali dai luoghi di lavoro, oltre che ad un regime nazionalista di italianizzare una regione all’epoca ancora francofona. Agli operai licenziati infatti, non trovando posto in altre fabbriche, non rimane che l’emigrazione verso la Francia. Pratiche sempre attuali e vive nella storia del Capitale…  

LA MONTEDISON E L’IMPATTO DELLA GLOBALIZZAZIONE LIBERISTA

Nell’ultimo periodo di vita (1955-83) l’azienda, e con esso lo stabilimento, passa prima sotto il controllo di Edison, poi di Montedison, che ristruttura il settore produttivo specifico creando la Montefibre. Questo passaggio nelle mani di un colosso multinazionale di livello mondiale segna paradossalmente la fine prematura di un impianto produttivo che ancora negli anni ’70 dispone di tecnologie all’avanguardia e dispone di un marchio conosciuto in tutto il mondo per la qualità dei suoi prodotti. La fabbrica chiuderà per via di una decisione manageriale sciagurata dovuta da un alto ad un’incapacità tecnica di gestione, dall’altro dalla volontà di uscire da una crisi di sovrapproduzione globale privilegiando l’ottica della speculazione finanziaria, resa sempre più possibile dall’avvento di una globalizzazione neoliberista che in breve tempo distrugge uno dei settori industriali, quello tessile-chimico, di cui l’Italia era una delle punte più avanzate del mondo. Da segnalare che l’azienda, pur decidendo di fatto di chiudere la fabbrica fin dal 1972, non poté realizzare immediatamente i propri scopi a causa della combattiva azione di una classe operaia tornata ad essere forte grazie ad un coordinamento operaio su scala nazionale, comprendente cioè anche gli altri impianti dell’azienda sparsi per l’Italia. Ciò non impedirà alla direzione aziendale di mettere in campo una serie di furbe strategie di lungo termine che condurranno inevitabilmente alla chiusura dell’impianto alimentando ad arte l’accusa della “colpa operaia” del fatto in questione. Sono questi gli anni dei fondi neri Edison e Montedison, con cui si finanziano tutti i partiti anticomunisti della Prima Repubblica; e sono gli anni in cui a guidare la Montedison c’è Eugenio Cefis, noto per i suoi contatti con la loggia P2. Sulla chiusura si registrerà la sostanziale assenza di azione politica della sezione locale del Partito Comunista Italiano, così come la totale impreparazione dei sindacati, privi sia di un’analisi adeguata che di una parola d’ordine chiara con cui rivendicare la pubblicizzazione dell’impianto o il controllo operaio. La chiusura rientra nella storia della deindustrializzazione dell’Italia neoliberista e sempre più finanziarizzata avvenuta in piena orgia neoliberista negli anni ’80. L’IRI, che aveva salvato l’azienda in crisi all’inizio degli anni ’30, non riceve mandato da alcun governo di intervenire per salvare un impianto ancora ben funzionante e capace di mantenere una produzione adeguata sia per necessità interne che per il commercio estero. I macchinari, ancora ben funzionanti, verranno tutti distrutti nel 1985; Châtillon, paese di 2000-3000 abitanti, non si è più ripreso da quella batosta e oggi è un villaggio che a detta dei suoi stessi abitanti è “morto”. Non è che una storia paradigmatica della sorte subita da centinaia di altri comuni d’Italia e da milioni di famiglie post-operaie, in nome della libertà dei mercati.

Alessandro Pascale

[Per comprare il libro: https://www.ibs.it/soie-di-chatillon-vita-lavoro-libro-alessandro-pascale/e/9788895770529; Per iniziative di presentazione del libro scrivere all’autore alla mail [email protected]; Info sull’autore: Alessandro Pascale è nato ad Aosta nel 1985. Si è laureato in Scienze storiche all’Università Cattolica di Milano e attualmente lavora come insegnante di storia e filosofia nel capoluogo lombardo. È anche membro del Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista]