Il giorno della vittoria e il valore dell’antifascismo

bambino victory-day-paradedi Fabio Scolari

Mentre i motivi di aspro scontro politico tra la Federazione Russa e l’Occidente Europeo non sembrano trovare una soluzione stabile, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli, il 9 maggio ha visto sfilare sulla Piazza Rossa un’imponente parata militare per celebrare il “Giorno della Vittoria”. Anche in una data dal così alto valore morale, durante la quale viene ricordata la capitolazione della Germania Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, i leader delle principali nazioni europee non hanno mancato di mostrare la solita arroganza disertando la commemorazione. I nostri mass media, anche di fronte all’evidenza di un paese che ormai ha saputo riguadagnarsi un posto di prim’ordine a livello mondiale, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, ed il rispetto di tutti gli stati che non vogliono sottomettersi ai desideri di Washington, continuano a ripetere le solite storielle su un suo presunto isolamento internazionale e su una sua volontà nascosta di conquista dell’intero pianeta. Il presidente Putin durante i festeggiamenti al contrario non ha esitato ad attaccare la politica imperialista e di constante ingerenza, amplificando le voci di chi come noi da tanti anni si batte in favore di un mondo multi-polare e per il rispetto della sovranità nazionale di ogni popolo, che ormai da decenni viene portata avanti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

Un senso di malcelato orgoglio ci ha percorsi non solo quando abbiamo udito il ricordo dell’eroico tributo del popolo sovietico nella lotta per la liberazione dell’Europa dal nazi-fascismo, ma anche quando abbiamo visto di nuovo sventolare la bandiera rossa con i simboli del lavoro e la presenza di diversi esponenti politici dei paesi socialisti. Tra questi il più prestigioso e noto era sicuramente il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, nonché segretario del Partito Comunista Cinese. Una partecipazione la sua non casuale, volta anzi a dimostrare come l’integrazione politica ed economica dell’asse sino-russo stia ormai emergendo come principale contrappeso a livello globale contro le strategie guerrafondaie occidentali. Non possiamo però a questo punto esimerci da considerazioni più generali. Negli ultimi anni è sempre più evidente, soprattutto tra le giovani generazioni, una mancanza di comprensione del fenomeno nazista e fascista, delle loro origini e degli interessi di classe che hanno sempre tutelato. Mentre i militanti comunisti in Ucraina vengono perseguitati dal governo “democratico” e filo occidentale di Poroschenko, nel nostro paese due consiglieri della Lega Nord di Milano propongono la messa al bando di tutti i partiti “che si ispirano a dottrine bolscevico-marxiste”. Le accuse rivolte a chi storicamente e più conseguentemente ha lottato per una trasformazione degli assetti sociali sono le stesse ormai da decenni. Ai Comunisti sarebbero infatti alieni concetti come quelli di libertà oppure di democrazia! Vorremmo quindi che questi presunti democratici, i quali non disdegnano la partecipazioni di organizzazioni apertamente neo-fasciste alle loro manifestazioni, ci spiegassero perché quando il regime mussoliniano annientò ogni diritto democratico dei lavoratori e di tutti i cittadini, chi se non i comunisti proclamarono la necessità di chiamare alla lotta tutto il popolo e praticarono un politica di larga unità tra tutte le forze democratiche. Dovremmo inoltre ricordare che la maggioranza di chi non venne mai a compromessi con il fascismo, nemico di tutte le libertà, era schierato con i comunisti. Chi se non i comunisti, guidati da Palmiro Togliatti, nel dopo guerra lottarono per un profondo rinnovamento democratico della nostra Patria, contro la possibilità che la Democrazia Cristiana potesse instaurare un nuovo regime autoritario e clericale, per l’applicazione integrale della nostra costituzione repubblicana e per aprire le porte all’esercizio effettivo del potere politico alle masse popolari. Queste polemiche servono infatti ad eludere il problema principale ben compreso a suo tempo da Antonio Gramsci , il quale durante un dibattito alla Camera che lo vide contrapposto allo stesso Mussolini, disse:” E’ rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. Il fascismo non si basa su nessuna nuova classe che non fosse già al potere”.  Chi se non la borghesia industriale e agraria finanziò gli squadristi contro il movimento operaio e i suoi rappresentanti, sfruttando un periodo di riflusso seguito alla fine del biennio rosso? Chi se non la classe politica dell’Italia liberale guidata da Giolitti porta su di sè le maggiori responsabilità per l’elezione dei primi deputati fascisti? Le nostre sono ovviamente domande retoriche, perché ormai sappiamo con certezza che sono le classi borghesi le prime ad abbandonare il terreno della lotta democratica ogni qualvolta i loro egoistici interessi sono messi a repentaglio. In conclusione, oggi più che mai riteniamo necessaria una larga convergenza e un lavoro comune di tutti quei paesi e organizzazioni politiche che, anche nelle loro diversità, combattono per un’evoluzione più democratica degli assetti internazionali, per evitare il risorgere, nel grembo dei paesi occidentali, di forze che apertamente aspirino a un’involuzione reazionaria e autoritaria, da cui le classi lavoratrici avrebbero tutto da perdere.