A 40 anni dal colpo di Stato in Cile. Perdono…..Ma di quale perdono stiamo parlando?

Editoriale di El Siglo, giornale del Partito Comunista del Cile | da www.pcchile.cl

golpe cile parlamentoTraduzione di Sandro Scardigli per Marx21.it

A 40 anni dal Colpo di Stato, che segnò l’inizio del periodo più nero della nostra storia, qualcuno potrebbe rimanere sorpreso dalla copiosa copertura giornalistica di questi giorni, soprattutto televisiva, che continuerà sicuramente almeno fino all’11 settembre, anniversario del Golpe.

È l’ennesima dimostrazione dell’ansia di conoscere quei tragici fatti che hanno le nuove generazioni, sempre più coscienti che il Colpo di Stato e la dittatura segnano e segneranno in modo decisivo il loro presente e il loro futuro. Scorrerà molto inchiostro, si udiranno molte voci. Su questo non c’è alcun dubbio. Qualcuno metterà l’accento sulle “cause”, sul “clima politico”, sulle “responsabilità comuni”. E sarà sempre bene analizzare i fatti “nel merito”, con particolare attenzione al contesto politico non solo nazionale ma anche internazionale in cui si svolsero.

Altri si soffermeranno sulle “conseguenze” del golpe, vale a dire sulle reiterate e criminali violazioni dei diritti umani commesse dall’apparato del Terrorismo di Stato.

Possiamo trovarci d’accordo sul fatto che nessuno di questi aspetti esclude gli altri. Anzi, sono metodologicamente inseparabili fra loro, perché non è possibile parlare del “clima politico” dell’epoca, delle contraddizioni sociali e di posizioni che divennero inconciliabili, senza considerare il contesto complessivo. Come sarebbe possibile disconoscere l’impatto mondiale della vittoria di Unidad Popular nel 1970, del programma di Salvador Allende, che comprendeva nientemeno che il recupero della principale ricchezza del Paese, il rame, fino ad allora nelle mani delle corporations statunitensi?

Non si può non cercare di rispondere a questa domanda impellente: perché tanta violenza criminale da parte dello Stato?

Si trattò della pura e semplice espressione di un sadismo represso fino a quel momento? Una spiegazione del genere è chiaramente insufficiente.

E allora che scopo ebbero gli assassinii selettivi e quelli indiscriminati? Bisogna soffermarsi sui metodi, sui luoghi, sulla “sociologia” delle vittime.

Gli agenti della dittatura uccisero e torturarono per vendetta, si, per vendetta di classe, per vendicare la borghesia cilena e internazionale.. Ma fondamentalmente lo fecero per assicurarsi quella impunità che è loro più cara: godersi in santa pace il bottino arraffato, cioè il patrimonio del Cile. Per far questo dovevano togliere di mezzo tutti quelli che potevano testimoniare alla storia i loro misfatti.

Dovevano, soprattutto, “ripulire il cortile di casa”, per continuare a sfruttare e a godersi il loro bottino, come ha fatto finora un fitto stuolo di delinquenti in giacca e cravatta, ricoperti di enormi ricchezze dalla dittatura. Si doveva insomma dare un “avvertimento” a chi, un giorno, avrebbe potuto chiedere il conto.

Ma adesso qualche (almeno per omissione) complice scopre la possibilità di scrivere il “lieto fine”…chiedendo perdono.

Cosa significano gesti come questi? Le prove accumulate sono così tante che nessuno può più pensare di nascondere questi crimini. E lo si riconosce: “Non seppi vedere, non seppi sentire…”

Bene, perlomeno la verità storica viene riconosciuta: l’orrore è stato veramente tale. Ma è una verità storica soltanto parziale ed è troppo comodo ammetterla ma continuare a usufruire dei privilegi conseguiti indebitamente grazie a quell’orrore.

Va anche sottolineato che non menzionare “l’opera sociale ed economica” della dittatura come organica al Terrorismo di Stato sarebbe non solo un’imperdonabile ingenuità, ma soprattutto una falsificazione storica.

Allora, si può parlare di perdono? E’ chiaro che ci può essere un perdono individuale. Se una persona che ha subito gravi abusi da parte di un agente dello Stato decide di accettare una richiesta di perdono da chi commise nei suoi confronti un attentato alla sua dignità e al suo diritto alla vita, se il colpevole adduce a sua discolpa la giovane età, l’inesperienza, l’ignoranza e il timore delle ritorsioni dei superiori nel caso non avesse obbedito agli ordini.

Quel che non accadrà mai, perché è proprio questo il punto vero di tutto il dibattito sull’argomento, è che a perdonare sia una società intera, una nazione, gruppi formati da innumerevoli persone, cilene e cileni (in questo caso), i cui genitori o loro stessi subirono così crudeli violenze e le cui vite ne portano ancora il segno. Non possono farlo non solo perché non ne avrebbero il diritto, ma anche perché significherebbe rinnegare se stessi e accettare la sorte loro toccata come un segno del destino, riconoscersi come “cittadini di seconda o terza classe”, rinnegare la loro essenza umana.

E allora…Di che perdono stiamo parlando?

7 settembre 2013: Marcia a Santiago per “Verità e Giustizia”