Zygmunt Bauman: un intellettuale post marxista?

di Gabriele Mirone

Riceviamo da Gabriele Mirone e pubblichiamo come contributo alla riflessione sull’opera del filosofo recentemente scomparso

La scomparsa di Zygmunt Bauman richiama ad una riflessione circa la sua opera inziata alla fine della seconda guerra mondiale. Ed è a mio avviso importante, soprattutto per le nuove generazioni, prendere in esame il percorso intellettuale del pensatore polacco proprio perché egli fu testimone e analista delle profonde trasformazioni culturali, economiche e politiche avvenute nel periodo storico contemporaneo, in cui ci troviamo immersi. Bauman si trovò a vivere a cavallo tra due epoche: il punto di partenza fu il moderno, quello di approdo il postmoderno. Ed in particolare, essendo egli un pensatore di formazione marxista, la narrazione che emerge dalle sue opere ha a che fare indirettamente con la stessa struttura che caratterizza la società nei due rispettivi periodi.

Studioso di sociologia marxista (1) ma anche di Lenin (2), Bauman iniziò la sua produzione intellettuale come sociologo teorico, politico e del lavoro (in particolare con delle ricerche sul movimento dei lavoratori inglese). Nonostante oggi egli venga riconosciuto, a partire da precise politiche editoriali e di distribuzione, esclusivamente come il padre, della “liquidità sociale”, la sua analisi della condizione postmoderna e insieme alle sue determinazioni nasce grazie all’apprendistato con gli strumenti concettuali del marxismo. Si pensi ad esempio alla categoria di “consumerismo”(3), inteso come il legame simbiotico tra il capitalismo e la necessità del consumo nella vita sociale delle persone, oppure a quella di “mercificazione delle esistenze” figlio della reificazione dei rapporti interpersonali descritta da Marx.

La metafora di “società liquida” su cui il sociologo ha investito tanto è uno stato che può essere letto analogamente in termini di “struttura sociale liquida”. Essa è il risultato di una rivoluzione tecnologica e, soprattutto, della fine del comunismo storico novecentesco e delle sue forme ideologiche strutturanti lo spazio sociale, in primis quello dell’economia, del lavoro e della politica. Se dunque ad una struttura sociale solida ne viene contrapposta una liquida, la sovrastruttura, cioè che deriva dalla vita materiale, non può che di riflesso presentarsi come liquida. Con questa operazione, ecco che l’amore, la morale, il tempo, le relazioni sociali, le carriere lavorative e soprattutto le forme di soggettività, tutti temi trattati nelle sue opere, non sono che un riflesso di questa trasformazione. Così la nazione perde di centralità per far spazio al “mercato globale”, la classe sociale si disgrega lasciando i singoli individui, le forme di soggettività diventano un prodotto mutevole con molteplici appartenenze e le relazioni iniziano a prendere vita in spazi virtuali.

Se la “liquidità” è quasi diventata un brand intellettuale volto a plasmare le forme di coscienza o addirittura, come sostiene Bauman, uno stile di vista, affianco di chi lo accoglie e celebra in alcuni suoi aspetti, c’è chi ne soffre ed in particolare sono coloro per i quali liquidità è sinonimo di precarietà, incertezza del futuro, esclusione dal godimento dei diritti fondamentali.

Tuttavia, come lo stesso Bauman sostiene, ciò che è liquido ha in sé la necessità di acquisire nuove forme. Ed è a mio avviso in questo senso che alla liquidità sociale deve essere affiancato l’altro cardine teorico proposto dal sociologo ovvero il concetto di “interegnum”. Derivato da Antonio Gramsci, grazie alla cui opera lo stesso Bauman dichiara di aver compreso il mondo (4), esso permette di leggere la post modernità liquida come una fase di transizione che dal vecchio mondo porta alla nascita di quello nuovo. Il nuovo dunque per nascere ha anche bisogno di tempo. Ecco allora che questa condizione transitoria rappresenta un periodo di mutazione alla cui fine si ripresenteranno comunque le stesse questioni e problematiche, si pensi alla povertà o ai diritti, centrali della condizione moderna.

Il profilo di Bauman è in sostanza quello di un testimone del cambiamento che nel prendere il ruolo di accademico “pop” ha sublimato lo studioso marxista quale fu all’inizio della sua carriera. Lo si vede in particolare per la sua presa di distanza dai concetti cardini di questa tradizione quali ad esempio le categorie di imperialismo, di sfruttamento del lavoro e di lotta di classe. Al posto di questi viene fatto riferimento ad una classe di consumatori e ad una sottoclasse che “si guadagnerà da vivere attraverso lavori occasionali, casuali, di breve durata, senza garanzie contrattuali né il diritto alla pensione o alla liquidazione, ma con la concreta possibilità di essere licenziato con breve preavviso e secondo il capriccio del datore di lavoro» (5). Il “potere” diventa un’entità transazionale che “divorzia dalla politica dello stato nazione”, le classi dominanti si adombrano e il baricentro decisionale si trasferisce verso l’alto, lasciando spazio ad una struttura politica nazionale post democratica. Il socialismo viene infine derubricato dal suo vocabolario dopo essere stato analizzato in termini di “utopia attiva” (6). Dall’altra parte, però, la sua visione etica non rinuncia alla normatività: egli richiama ai concetti di comunità (7), del “vivere insieme (8)”, denuncia l’aumentare delle disuguaglianze sociali (9) e degli esclusi (10) senza non ricordare il welfare come “una delle più grandi invenzioni della civiltà (5)”.

In definitiva, Bauman come molti altri intellettuali, dopo un bagno nelle acque di Marx e del marxismo, per ragioni di contingenza storica e probabilmente non solo, ha preso delle vesti ideologiche grazie alle quali ha ricevuto accessibilità, risonanza, al costo però di lasciarsi alle spalle la filosofia della prassi e la sua radicalità di analisi. Questa traiettoria dunque non lo esclude da quella “decadenza e resposabilità degli intellettuali” (11) da lui descritta. Come si legge su qualche sito internet (12), sebbene egli affermò che morirà socialista, questa sua fede coltivata in privato è stata insufficiente nel renderlo organico e interprete nel suo lavoro di quella classe che vive, produce e costituisce le fondamenta delle nostre società.

1. Zarys marksistowskiej teorii spoleczeństwa [An Outline of the Marxist Theory of Society]. Warszawa: Państwowe Wydawnictwo Naukowe.(1964)
2. Zagadnienia centralizmu demokratycznego w pracach Lenina [Questions of Democratic Centralism in Lenin’s Works]. Warszawa: Książka i Wiedza (1957)
3. Work, consumerism and the new poor, Maidenhead, Berkshire, England, New York, NY, Open University Press, 2005.
4. Da Repubblica: http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/bauman-goldkorn-mi-disse-leggi-gramsci-e-capirai-il-mondo/264685/265056
5. La società individualizzata – Il Mulino, Bologna, 2002
6. Socialism: The Active Utopia. New York: Holmes and Meier Publishers. 1976
7 Community. Seeking Safety in an Insecure World. Cambridge: Polity.
8. https://www.youtube.com/watch?v=Hur1Ol0V3FE&t=100s
9. 2011: Collateral Damage: Social Inequalities in a Global Age. Cambridge: Polity.
10. Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Gardolo, Erickson, 2007.
11. La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.
12. http://www.eddyburg.it/2017/01/e-morto-zygmunt-bauman.html