In difesa del Muro di Berlino a trent’anni dalla sua caduta

ddr germania bandieredi Nicolò Monti, Segretario Nazionale FGCI

da fgci.info

Sono trascorsi 30 anni e sembra ancora di vederli Kohl, Bush e Gorbacev che se la ridono e guardano migliaia di tedeschi che passano le frontiere di Berlino Est, abbattendo quel muro, simbolo della Guerra Fredda, che sotto quei picconi e quelle facce esultanti volgeva al termine. Le tv di tutto il mondo mandavano in diretta l’evento, riprendendo le emozioni fortissime che si stavano scatenando in quel freddo 9 Novembre 1989, il giorno in cui tutto cambiò, ad est come ad ovest.

Nonostante le facce sorridenti e il senso di liberazione, i tedeschi che per 40 anni sono stati cittadini della Repubblica Democratica Tedesca certo non potevano sapere come sarebbero davvero cambiate le cose. Kohl, probabilmente faticando nel mantenere la serietà, rassicurava tutti che la riunificazione sarebbe stata indolore e che nessuno avrebbe perso nulla, una riforma a costo zero che avrebbe reso tutti contenti e soddisfatti.

Dopotutto le famose luci dell’occidente con cui gli Stati Uniti avevano addobbato Berlino Ovest e la continua pubblicità delle tv avevano acceso speranze non indifferenti e creato aspettative talmente enormi che gli Ossie, i cittadini dell’est, assaltarono il muro per poter avere anche loro un pezzo quel mondo tanto affascinante quanto inaccessibile. Quando però si accorsero che il set allestito per attirarli non era ciò che immaginavano, quando il capitalismo che tanto avevano bramato si è rivelato in tutta la sua reale crudeltà era troppo tardi e ciò che avevano costruito, difeso per 40 anni era stato abbattuto, spogliato di ogni valore e consegnato alle pagine della storia, quella sbagliata, da dimenticare, da dannare e maledire.

Le picconate al cemento di quel 9 Novembre vengono oggi festeggiate pomposamente da tutti i governanti occidentali, recitando discorsi pieni di boria e noioso autocompiacimento per le loro nobili gesta con le quali hanno “liberato” un popolo, a detta loro, “oppresso, grigio e triste”. Raccontano di come la Repubblica Democratica non fosse altro che terra occupata e non uno stato indipendente, culturalmente ed economicamente arretrata, senza valori, segregata per pura malignità dietro ad un muro e comandata da tiranni senza scrupoli né morale. Consapevoli di mentire cercano di nascondere la verità del disastro che il libero mercato ha provocato a quel popolo ”liberato”.

Dopo 30 anni i tedeschi della ex DDR vivono condizioni di vita da cittadini di serie B, con intere città deindustrializzate, un tasso di disoccupazione doppio rispetto all’ovest e tutte le sicurezze sociali garantite dal sistema socialista spazzate via. Non sono stati protagonisti di una riunificazione, ma di una annessione, come quando si perde una guerra. Si è arrivati ad un punto tale di malessere e di instabilità che oggi tra le strade di Dresda, città tra le più colpite dalle politiche shock di trasformazione economica capitalista, le bande neonaziste imperversano e si rendono protagoniste di continui atti di squadrismo, tali che il consiglio comunale ha decretato in questi giorni l’emergenza nazismo.

Qualcuno disse che la verità è rivoluzionaria e forse per questo la storia della DDR viene sottaciuta, revisionata allo sfinimento. Non sarebbe possibile una damnatio memoriae se si raccontasse che la divisione della Germania fu nei fatti decisa con la proclamazione della Repubblica Federale Tedesca nel 1947 e che la Repubblica Democratica Tedesca fu fondata due anni dopo nel 1949 in risposta a quell’atto. Sarebbe a dir poco complicato pavoneggiarsi della distruzione del muro se si raccontasse delle motivazioni storiche e politiche che portarono alla sua costruzione. Basta aprire Wikipedia, non certo un organo della Stasi, per prendere coscienza che la DDR nel 1961 era vittima dell’ostilità aperta e non celata della RFT, che non la riconosceva come stato ma come terre temporaneamente occupate da riconquistare con tutti i mezzi possibili. Aggiungiamo alle ostilità militari l’embargo economico internazionale e una ricostruzione postbellica portata avanti, anche se a tempi record, con enormi sacrifici e soprattutto senza i miliardi di dollari di cui invece beneficiò l’ovest, a cui furono in più azzerati tutti i debiti di guerra. La giovane repubblica socialista non poté avere lo stesso trattamento di favore, dato che se da una parte gli Stati Uniti non ebbero mai nessuna guerra sul loro suolo rimanendo intoccati dalla barbarie nazifascista, dall’altro l’Unione Sovietica aveva subito la feroce ed inumana guerra di annientamento tedesca con annessa occupazione a causa della quale persero la vita 27 milioni di sovietici, la gran parte civili. I paesi del socialismo reale si rialzarono da soli, senza aiuti e senza elemosine, ma nessuno osa ricordarlo.

Quel muro è figlio di tutto questo, non della millantata cattiveria di Walter Ulbricht. Chiamato “muro” in modo dispregiativo dall’occidente, il suo vero nome è Antifaschistischer Schutzwall, Vallo di Difesa Antifascista, ed in esso racchiude il suo scopo: difendere lo stato degli operai e dei contadini dall’accerchiamento occidentale e la pace.

La Repubblica Democratica Tedesca non dichiarò mai guerra verso nessuno, non invase mai altre nazioni. Garantì al contrario a tutti i suoi cittadini diritti civili e sociali che non avevano eguali in Europa, nemmeno nella vicina Repubblica Federale, competendo in molti campi dell’economia con l’occidente ottenendo grandi risultati. Tutti i 40 anni di vita della DDR sono stati possibili anche grazie a quel muro, tacere su questo significa manomettere la storia.

Nell’era in cui l’Unione Europea ha ripreso con forza la crociata anticomunista, approvando al parlamento europeo la risoluzione che accomuna nazismo e comunismo con il supporto festoso di popolari, “socialisti” e destra fascista, è doveroso resistere a questa nuova ondata nera difendendo la memoria storica senza indietreggiare, ricordando con forza che la nostra idea è molto più forte di qualsiasi revisionismo. Questo testo non è una mediazione, ma un atto di pieno sostegno alla DDR, alla sua storia e a ciò che ha rappresentato per tutti i popoli europei.

Il 9 Novembre 1989 è stato il giorno più infausto del XX secolo dal dopoguerra. Da quel giorno il capitalismo cominciò a riprendersi tutte le concessioni fatte ai lavoratori (pagate con il sangue) per paura che l’odiato comunismo avesse potuto trionfare e dilagare in tutta Europa. In Italia gli effetti sono stati deleteri tanto quanto lo furono nella ex DDR, dove il PCI, il più grande partito comunista dell’occidente, venne sciolto e al suo posto nasceva una sinistra liberista che negli anni sostenne tutte le peggiori politiche economiche, dalle privatizzazioni ai tagli allo stato sociale.

Oggi, a trent’anni da quella terribile giornata, liberali e liberisti festeggiano la caduta di un muro che quei nazisti di Dresda, che si rialzano oggi in tutta Europa, aveva sconfitto e tenuto ai margini della storia. Tra bracci tesi e bandiere dell’Unione Europea la previsione di Alessandro Natta si compie in tutto e per tutto. Ha vinto Hitler.