La rivoluzione d’ottobre e la resistenza europea

rivoluzionerussa corteodi Giuliano Cappellini

Riceviamo dal compagno Giuliano Cappellini e volentieri pubblichiamo

La celebrazione del 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia ed in Italia 

Ricorre in questi giorni il centenario della Rivoluzione d’ottobre. In tutta la Russia questo anniversario è celebrato con grande partecipazione popolare, il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo è illuminato di rosso. Il popolo che, secondo la narrazione dell’odierna propaganda controriformista, più di ogni altro avrebbe sofferto del regime di terrore permanente instaurato in Russia dopo la Rivoluzione, sfila con le icone di Lenin e di Stalin

In Italia, si sa, il clima è diverso. Le classi dirigenti politiche nazionali sono impegnate a rafforzare la loro immagine di fedeli alleati degli Stati Uniti d’America – condizione imprescindibile per rimanere al governo. Ragion per cui i mass media nazionali devono sminuire la portata  di quella Rivoluzione che cambiò il mondo e caratterizzò il “secolo breve” come, forse il più importante storico inglese del ‘900, Eric J. Hobsbawm, definì il secolo scorso, confinandolo nella parabola temporale dell’URSS. Sono anche ben attenti a impedire che, Dio ce ne guardi, l’anniversario non offra alcuno spunto di ripensamento alle svolte “storiche” di una sinistra ormai passata armi e bagagli nel campo dell’imperialismo. E la morale implicita o esplicita delle narrazioni pseudo culturali che ci propina la TV è sempre la stessa,  che si trattò di una rivoluzione tradita [1] poi fallita, frutto di tempi di confusione e violenza.

In questo angusto e controriformista clima culturale non c’è spazio per una trattazione corretta di eventi che videro il prolungato protagonismo politico ed insurrezionale, alla fine vittorioso, delle grandi masse proletarie e la scomparsa di quello di una borghesia acquiescente o incapace di opporsi alle tragedie alle quali le loro classi dirigenti condannavano la Russia. Similmente la Resistenza europea ed italiana, denunciò le responsabilità delle classi dirigenti e pose la questione del protagonismo delle classi lavoratrici che effettivamente difesero la dignità nazionale durante la Guerra di Liberazione. Ma, come si diceva, in Italia, Rivoluzione d’ottobre e Resistenza sono eventi da ricordare secondo copioni pieni di retorica. Difficilmente, quindi, possono interessare una gioventù che non conosce niente della storia contemporanea e niente apprende da tali copioni. E non si tratta solo di questo che la narrazione mescola una buona dose di  falsificazione di quegli eventi e delle loro premesse, quanto basta per travisarne i risultati. Ad esempio, che non si riconosca il ruolo determinante che ebbero l’Unione Sovietica e Stalin nel movimento antifascista internazionale, è una bestialità che costa la censura perfino a De Gasperi, a Nenni e Pertini, e ai grandi leader della coalizione occidentale impegnata nella II Guerra Mondiale a fianco dell’URSS, come Roosevelt e Churchill, e a tanti altri che come quest’ultimo erano, pur sempre, accaniti anticomunisti. È cosa ardua, allora, ricordare che gli ideali che animarono la Rivoluzione d’Ottobre furono sempre presenti nel movimento resistenziale europeo e in particolare nella Resistenza italiana (oltre che, naturalmente, in quella jugoslava). Ideali di grandi trasformazioni sociali e di progresso. 

D’altronde le Controriforme tentano sempre di riscrivere la Storia e quella in cui siamo immersi dalla fine dell’URSS non è diversa dalle altre, ad esempio da quella che dopo la sconfitta di Napoleone trascinò nel fango le glorie della Rivoluzione Francese, della vittoria di Valmy sulle armate austro-prussiane che volevano invadere la Francia. Oggi i vincitori della guerra fredda negano all’Unione Sovietica persino il merito della vittoria sul nazifascismo in Europa. Una vittoria che quel paese pagò al prezzo altissimo di 24 milioni di morti (quasi la metà di tutti i caduti della II Guerra Mondiale) e la distruzione della sua parte occidentale più industrializzata. O, certo, come è stato scritto, i vincitori scrivono la storia, ma non possono cancellare la verità. In questa operazione di riscrittura l’Italia si è distinta al punto che ha disertato la celebrazione del 70° anniversario della vittoria della Grande Guerra Patriottica celebrato in Russia nel 2015. Guerra Patriottica, così oggi i russi chiamano la II Guerra Mondiale, quasi a relegarla ad un fatto nazionale, ma che, in realtà, consentì a tutti i paesi soggetti alla invasione nazista – praticamente tutta l’Europa continentale, esclusa la penisola iberica, la Svizzera e la Svezia –, di riappropriarsi della democrazia. E, per carità di Patria, fermiamoci qui, che ce n’è abbastanza per capire come si navighi contro corrente quando si cerca di rispettare la verità storica.

L’antifascismo, i Fronti  Popolari, la guerra di Spagna e il ruolo dell’Unione Sovietica

Fin dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, man mano che alla crisi economica colpiva le grandi masse lavoratrici dei paesi occidentali e le classi dirigenti dei paesi dell’Europa occidentale si orientavano sempre più verso soluzioni autoritarie e repressive se non dittatoriali come in Italia, i dirigenti dell’Unione Sovietica compresero il pericolo che incombeva sul mondo. Il movimento fascista infettò un’Europa le cui classi dirigenti capitaliste cullarono mostruose simpatie per Mussolini (Inghilterra e Stati Uniti compresi). Quando Hitler prese il potere in Germania, le classi dirigenti borghesi di Francia ed Inghilterra furono acquiescenti verso le imprese delle armate tedesche in Cecoslovacchia ed in Austria. All’Unione  Sovietica unico paese a contrastare il nazifascismo si rivolsero le speranze di tutti i partiti operai e democratici d’Europa. Fu l’epoca dei patti di unità d’azione tra i partiti comunisti e quelli socialisti, dei Fronti Popolari che, vinsero le elezioni in Francia e Spagna. L’adesione agli ideali di sinistra e comunista delle menti migliori dell’intellettualità europea, letterati, musicisti, pittori, scienziati fu enorme. Dopo l’aggressione alla Repubblica spagnola delle armate italo-tedesche, l’URSS fu l’unico paese che aiutò la democrazia spagnola, purtroppo con quello di cui disponeva allora, ossia con mezzi militari molto inferiori a quelli degli avversari ed in condizioni logistiche impossibili, e si attirò, ancor più, le simpatia di tutti i democratici europei. Le grandi potenze europee, Francia e Inghilterra, girarono ancora una volta la testa da un’altra parte, nascondendo a sé stesse ed ai loro popoli il pericolo che si preparava, sempre più concreto ed evidente dal momento che le mire della la Germania hitleriana non venivano contrastate. 

Nonostante la defezione delle grandi potenze europee, la Repubblica Spagnola poté, però, contare sull’aiuto delle brigate internazionali formate da 59mila volontari accorsi da 53 nazioni dei 5 continenti [2]. I rappresentanti di tanti popoli fornirono quell’aiuto internazionale che l’ignavia dei loro governi avevano mancato di dare. I 4050 volontari italiani erano inquadrati nel battaglione (poi brigata) Garibaldi. Il principale dirigente delle Brigate Internazionali, fu Luigi Longo, ma alla guerra di Spagna parteciparono anche Nenni, Pacciardi, Togliatti e tanti altri esponenti politici italiani che furono poi i dirigenti politici e militari della Resistenza italiana e promotori  della Costituzione della Repubblica varata nel 1948. Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi si trovavano i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 – gennaio 1938) e sull’Ebro (luglio 1938). Ma non furono sufficienti a capovolgere l’esito del conflitto.

Ma la celebre frase di  Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia” fu l’impegno solenne delle forze politiche democratiche, socialiste e comuniste in esilio. L’antifascismo in esilio aveva conosciuto la prova del fuoco e imparato i compiti dell’organizzazione della guerra e della guerriglia, una lezione preziosa che non dimenticherà più.

Intanto, mentre nell’impari lotta la Repubblica Spagnola soccombeva, anche in Francia cadeva il governo del Fronte Popolare. Il governo reazionario che lo sostituì mise fuori legge il Partito Comunista Francese e rese dura la vita degli esuli antifascisti in Francia, nonché dei reduci antifranchisti che sfuggivano alla repressione al di là dei Pirenei

Ora era chiaro, l’Unione Sovietica era isolata e caddero nel vuoto i suoi tentativi di suggellare un patto con le potenze europee di difesa contro la Germania nazista. Altresì era chiaro che Francia ed Inghilterra, avrebbero tollerato che le prossime mire espansioniste di Hitler fossero dirette ad est, ossia contro la Russia. Stalin comprese che doveva prendere tempo, aggiornare e rafforzare le sue forze armate a livello di quelle tedesche e, anche, che avrebbe potuto sperare di realizzare una coalizione anti tedesca solo dopo l’inizio della guerra ad ovest, anzi dopo aver dimostrato che. quando fosse arrivato il suo turno, la Russia non si sarebbe arresa, ma avrebbe continuato a combattere. Il patto Ribbentrop-Molotov concesse all’URSS del tempo prezioso, ma i tedeschi colsero l’occasione per invadere la Francia e tentare di piegare l’Inghilterra  

Condotta da un capo prestigioso, Winston Churchill e forte di un popolo tenace e determinato, l’Inghilterra non cadde nelle mani di Hitler. Il capo nazista, ritenendo prematura l’invasione dell’isola britannica difesa ancora dalla più forte marina da guerra dell’epoca, volse la sua attenzione alla Russia. Accelerò, quindi, l’attacco all’Unione Sovietica, che con le sue immense risorse minerarie e agricole costituiva un obiettivo strategico fondamentale per il proseguire la guerra. Quella contro la Russia non si poneva solo compiti strategici contingenti ma doveva coronare il sogno di sottomettere in schiavitù gli “slavi”, per la gloria del III Reich, una quantità immensa di uomini e risorse, come aveva scritto, qualche anno prima Hitler su Mein Kampf, teorizzando la necessità per la Germania di avere un suo Impero ad est. Inoltre i rapporti del suo ramificato Servizio Segreto segnalavano che l’URSS era ancora impreparata sul piano militare, quindi, stracciando il trattato di non belligeranza firmato due anni prima iniziò l’aggressione al paese del socialismo. L’operazione Barbarossa avrebbe dovuto conquistare Mosca prima dell’inverno del 1941. Effettivamente l’URSS fu colta di sorpresa, ma al prezzo di perdite enormi, col sacrificio di milioni di soldati, civili, villaggi e città distrutte, la resistenza sovietica fu enormemente superiore a quella che i generali tedeschi si aspettavano sulla scorta delle precedenti conquiste nell’Europa occidentale.  Pur avanzando, dovettero modificare i loro piani di invasione, disperdere il loro esercito su un fronte che andava da Leningrado al Caucaso. Solo dopo che l’esercito sovietico – i cui reparti erano sfilati nella Piazza Rossa nel XXIV anniversario della Rivoluzione (novembre 1941) –, ricacciò le truppe tedesche di fronte a Mosca, all’inizio del 1942 fu ufficializzata l’alleanza tra Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica e arrivarono aiuti dagli Stati Uniti. L’alleanza fu chiamata delle Nazioni Unite. I sovietici bloccarono il piano strategico tedesco di impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Caucaso (cosa che anche gli angloamericani temevano perché avrebbe dato nuova linfa alla guerra in Europa occidentale) e passarono al contrattacco. La storia della riconquista dei territori russi, ucraini e bielorussi occupati dai nazisti, la sconfitta e la resa di intere armate tedesche è cosa ben nota, il contrattacco degli angloamericani in Africa seguì l’allentamento del pericolo sul fronte russo e le loro truppe sbarcarono in Sicilia. Siamo nel 1943. Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia caddero il governo Mussolini ed il fascismo ed iniziò la guerra partigiana per la difesa della Patria invasa dai tedeschi.

Le vittorie dell’Armata Rossa e la Guerra di Liberazione 

Mette ora il caso di ricordare quello che disse e scrisse Sergio Ricaldone, medaglia d’oro della Resistenza Italiana. “In quei giorni eravamo incollati alla radio per seguire gli esiti della battaglia di Kursk (sett. 1943), la più grande battaglia tra carri armati mai combattuta, in cui i carri del III Reich furono sconfitti e l’URSS dimostrò al mondo di aver recuperato il suo gap tecnologico nei confronti della Germania. E non era la curiosità a mantenerci incollati alla radio, ma la comprensione della portata galvanizzante delle straordinarie vittorie delle armate sovietiche, sul morale e la determinazione dei gruppi partigiani, le cui fila si stavano ingrossando attendendo ogni momento propizio per partire all’azione”. E così avvenne, che ogni progresso della lotta partigiana era legato alle vittorie delle armare di Stalin, alla demoralizzazione dell’avversario, che pur ferito reagiva con inaudita ferocia.

Trovo su Wikipedia una breve ma sufficientemente completa Storia della Resistenza Italiana dalla quale riporto un brano. “A giudizio delle stesse autorità alleate, la Resistenza italiana giocò un ruolo importante per l’esito della guerra in Italia e, a costo di grandi sacrifici umani, cooperò attivamente ad indebolire le forze nazifasciste, a minarne il morale ed a renderne precarie le retrovie, impegnando notevole parte delle unità militati o paramilitari del nemico. Anche le fonti tedesche documentano che le forze partigiane furono causa di problemi e difficoltà militari per i comandi e le truppe della Wehrmacht. Secondo il Center for the Study of Intelligence della Central Intelligence Agency, i partigiani italiani “tennero sette divisioni tedesche occupate lontano dal fronte [con gli Alleati], e con l’insurrezione finale dell’Aprile 1945 ottennero la resa di due divisioni tedesche, che portò direttamente al collasso delle forze tedesche entro ed attorno Genova, Torino e Milano”.

Lo stesso succedeva in Francia, in Yugoslavia, nei Balcani, in Polonia, in Norvegia e, in varia misura, in tutti i paesi occupati di tedeschi. La molla del moto insurrezionale furono le vittorie degli eserciti dell’URSS. Per tutti, l’esempio più importante e iniziale del movimento partigiano internazionale fu quello che si era sviluppato in Russia, in Ucraina, in Bielorussia, in Crimea ed in altre regioni dove i massacri delle armate tedesche sulle popolazioni civili non arrestarono mai, ma non intaccarono né la determinazione a colpire l’invasore, né la fiducia in Stalin. Quel che ci preme sottolineare ora, è che con i successi dell’Armata Rossa e la sua marcia verso ovest, anche  la direzione strategica del conflitto passò nella sue mani. Gli angloamericani organizzarono un imponente sbarco sulle coste francesi, quello che Stalin aveva chiesto con insistenza ma di cui, spesso, si esagera l’importanza sul piano militare dal momento che la Wermacht impegnò sul fronte occidentale solo un decimo delle divisioni che manteneva su quello orientale, e la resistenza dei tedeschi alla pressione angloamericana fu ancora piuttosto efficace per circa un anno. Si decise a Yalta che la Russia poteva avere la sua sfera di influenza su molti paesi europei ed in Germania che avrebbe dovuto proteggere l’URSS dal pericolo di una nuova e aggressiva “cintura sanitaria” a suo danno. La guerra in Europa finì con la conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche. In Italia finì prima, perché tutte le principali città del nord furono liberate dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati.

Conclusioni

In queste brevi note mi sono sforzato di parlare non tanto della guerra e della guerra partigiana che l’antifascismo preparò nell’esilio, nella prova della Guerra civile spagnola, nelle galere fasciste, ma delle premesse politiche che precedettero la II Guerra Mondiale ed ne accompagnarono gli eventi tragici e gloriosi. Lascio ad altri, ben più capaci di me, l’analisi più completa e circostanziata.  Certo che in quel periodo ci furono anche ombre, fatti oscuri, furono commessi gravi  errori, con conseguenze negative immediate e nel dopoguerra. Ma ciò non basta certo a cancellare la verità storica, che la Resistenza e la Lotta di Liberazione in tutte le parti del mondo (in Cina, ad esempio) devono molto alla Rivoluzione d’Ottobre.

In senso stretto il rapporto tra la Resistenza e la Rivoluzione d’Ottobre non è Stalin, ma non si esaurisce neppure nell’elenco delle loro consonanze ideologiche. Tali consonanze divennero motivazioni importanti (non le uniche, naturalmente) alle scelte personali per cui combattere e morire di milioni di uomini, man mano che il mondo scopriva il ruolo rilevante dell’URSS e di Stalin prima e durante la II Guerra Mondiale. 

Ambedue gli eventi furono grandi movimenti di popolo animati dalla speranza di conquistare un futuro migliore, di giustizia e di pace. Speranze che molti chiamarono utopie, quelli, ad esempio, che pur avendo sofferto le privazioni della guerra, lo stress dei pericoli nei fronti in cui avevano combattuto, le case distrutte dai bombardamenti trovarono, tuttavia un “accomodamento” con la loro coscienza attraverso una visione pessimistica della razionalità della storia che, ripetitivamente è storia di ingiustizie contro le quali non c’è niente da fare se non attendere che la bufera passi. Stiamocene nascosti e aspettiamo che gli Alleati ci liberino! In questo senso questi eventi hanno segnato una divisione nel popolo, grosso modo tra chi non aveva niente da perdere e chi manteneva ancora qualcosa, almeno la speranza di riprendere, dopo la guerra, una vita dignitosa, come prima della guerra. I primi, quelli cui la guerra dava una sola certezza, che se avessero vinto i nazisti si sarebbero trovati più schiavi di prima, sempre ultimi nella scala sociale, accettarono più facilmente – anche quelli che non avevano mai sentito parlare di socialismo, di comunismo e di democrazia – il messaggio di liberazione di uomini usciti dalla galere fasciste o che venivano dall’esilio e che parlavano della necessità di continuare la lotta, per costruirselo il futuro. Lo stesso messaggio che animò la Rivoluzione d’Ottobre. Ma bisognava vedere i frutti di quella Rivoluzione, e questi furono il coraggio del popolo russo, il suo attaccamento alle conquiste sociali e le vittorie dell’Unione Sovietica, la sagacia strategica del suo capo, l’umiliazione dei superuomini tedeschi e dei loro lacchè fascisti. Ecco di cosa parlavano, oltre che di preparazione di attentati contro i nazisti, i dirigenti partigiani del PCI nelle riunioni clandestine nei casolari del Polesine in cui si ritrovava mezzo paese mentre fuori pattugliavano le SS; ecco l’animo degli operai delle fabbriche del milanese che stampavano e distribuivano i fogli clandestini che incitavano alla lotta contro i fascisti o che costruivano le armi per l’insurrezione. Tanto per citare alcuni degli infiniti esempi di coraggio degli operai e dei contadini nella Guerra di Liberazione. 

Altri, più acculturati, capirono anche prima da che parte stare. Una grande spinta fu quella della scelta unitaria di tutti i partiti democratici, il cui valore doveva essere mantenuto dopo la guerra. Ma tutti  riconoscevano il valore del sacrificio e della lotta dei popoli dell’Unione Sovietica. Con questo spirito, oltre ad un forte senso della dignità nazionale, ufficiali di un esercito portato allo sbaraglio in terre straniere, che avevano negli occhi l’orrore delle repressioni germaniche, diedero un importante contributo nell’organizzazione militare partigiana.

Come abbiamo scritto all’inizio, oggi la narrazione di quei fatti e dei loro rapporti è mistificata da una propaganda miserabile in cui si capovolgono anche gli esiti della guerra (vinta, naturalmente dagli americani…), si denigra l’Unione Sovietica, si irride alla Rivoluzione d’Ottobre. Noi dell’ANPI non abbiamo il diritto di aderire a tali mistificazioni, ma a me pare che finché non avremo il coraggio di ricordare completamente, nelle scuole e tra i giovani, ciò che successe realmente in quegli anni, non avremo fatto appieno il nostro dovere.

LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE E LA  RESISTENZA EUROPEA

Giuliano Cappellini

Riceviamo dal compagno Giuliano Cappellini e volentieri pubblichiamo

La celebrazione del 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia ed in Italia

Ricorre in questi giorni il centenario della Rivoluzione d’ottobre. In tutta la Russia questo anniversario è celebrato con grande partecipazione popolare, il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo è illuminato di rosso. Il popolo che, secondo la narrazione dell’odierna propaganda controriformista, più di ogni altro avrebbe sofferto del regime di terrore permanente instaurato in Russia dopo la Rivoluzione, sfila con le icone di Lenin e di Stalin

 

In Italia, si sa, il clima è diverso. Le classi dirigenti politiche nazionali sono impegnate a rafforzare la loro immagine di fedeli alleati degli Stati Uniti d’America – condizione imprescindibile per rimanere al governo. Ragion per cui i mass media nazionali devono sminuire la portata  di quella Rivoluzione che cambiò il mondo e caratterizzò il “secolo breve” come, forse il più importante storico inglese del ‘900, Eric J. Hobsbawm, definì il secolo scorso, confinandolo nella parabola temporale dell’URSS. Sono anche ben attenti a impedire che, Dio ce ne guardi, l’anniversario non offra alcuno spunto di ripensamento alle svolte “storiche” di una sinistra ormai passata armi e bagagli nel campo dell’imperialismo. E la morale implicita o esplicita delle narrazioni pseudo culturali che ci propina la TV è sempre la stessa,  che si trattò di una rivoluzione tradita[1] poi fallita, frutto di tempi di confusione e violenza.

In questo angusto e controriformista clima culturale non c’è spazio per una trattazione corretta di eventi che videro il prolungato protagonismo politico ed insurrezionale, alla fine vittorioso, delle grandi masse proletarie e la scomparsa di quello di una borghesia acquiescente o incapace di opporsi alle tragedie alle quali le loro classi dirigenti condannavano la Russia. Similmente la Resistenza europea ed italiana, denunciò le responsabilità delle classi dirigenti e pose la questione del protagonismo delle classi lavoratrici che effettivamente difesero la dignità nazionale durante la Guerra di Liberazione. Ma, come si diceva, in Italia, Rivoluzione d’ottobre e Resistenza sono eventi da ricordare secondo copioni pieni di retorica. Difficilmente, quindi, possono interessare una gioventù che non conosce niente della storia contemporanea e niente apprende da tali copioni. E non si tratta solo di questo che la narrazione mescola una buona dose di  falsificazione di quegli eventi e delle loro premesse, quanto basta per travisarne i risultati. Ad esempio, che non si riconosca il ruolo determinante che ebbero l’Unione Sovietica e Stalin nel movimento antifascista internazionale, è una bestialità che costa la censura perfino a De Gasperi, a Nenni e Pertini, e ai grandi leader della coalizione occidentale impegnata nella II Guerra Mondiale a fianco dell’URSS, come Roosevelt e Churchill, e a tanti altri che come quest’ultimo erano, pur sempre, accaniti anticomunisti. È cosa ardua, allora, ricordare che gli ideali che animarono la Rivoluzione d’Ottobre furono sempre presenti nel movimento resistenziale europeo e in particolare nella Resistenza italiana (oltre che, naturalmente, in quella jugoslava). Ideali di grandi trasformazioni sociali e di progresso.

D’altronde le Controriforme tentano sempre di riscrivere la Storia e quella in cui siamo immersi dalla fine dell’URSS non è diversa dalle altre, ad esempio da quella che dopo la sconfitta di Napoleone trascinò nel fango le glorie della Rivoluzione Francese, della vittoria di Valmy sulle armate austro-prussiane che volevano invadere la Francia. Oggi i vincitori della guerra fredda negano all’Unione Sovietica persino il merito della vittoria sul nazifascismo in Europa. Una vittoria che quel paese pagò al prezzo altissimo di 24 milioni di morti (quasi la metà di tutti i caduti della II Guerra Mondiale) e la distruzione della sua parte occidentale più industrializzata. O, certo, come è stato scritto, i vincitori scrivono la storia, ma non possono cancellare la verità. In questa operazione di riscrittura l’Italia si è distinta al punto che ha disertato la celebrazione del 70° anniversario della vittoria della Grande Guerra Patriottica celebrato in Russia nel 2015. Guerra Patriottica, così oggi i russi chiamano la II Guerra Mondiale, quasi a relegarla ad un fatto nazionale, ma che, in realtà, consentì a tutti i paesi soggetti alla invasione nazista – praticamente tutta l’Europa continentale, esclusa la penisola iberica, la Svizzera e la Svezia –, di riappropriarsi della democrazia. E, per carità di Patria, fermiamoci qui, che ce n’è abbastanza per capire come si navighi contro corrente quando si cerca di rispettare la verità storica.

 

L’antifascismo, i Fronti  Popolari, la guerra di Spagna e il ruolo dell’Unione Sovietica

Fin dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, man mano che alla crisi economica colpiva le grandi masse lavoratrici dei paesi occidentali e le classi dirigenti dei paesi dell’Europa occidentale si orientavano sempre più verso soluzioni autoritarie e repressive se non dittatoriali come in Italia, i dirigenti dell’Unione Sovietica compresero il pericolo che incombeva sul mondo. Il movimento fascista infettò un’Europa le cui classi dirigenti capitaliste cullarono mostruose simpatie per Mussolini (Inghilterra e Stati Uniti compresi). Quando Hitler prese il potere in Germania, le classi dirigenti borghesi di Francia ed Inghilterra furono acquiescenti verso le imprese delle armate tedesche in Cecoslovacchia ed in Austria. All’Unione  Sovietica unico paese a contrastare il nazifascismo si rivolsero le speranze di tutti i partiti operai e democratici d’Europa. Fu l’epoca dei patti di unità d’azione tra i partiti comunisti e quelli socialisti, dei Fronti Popolari che, vinsero le elezioni in Francia e Spagna. L’adesione agli ideali di sinistra e comunista delle menti migliori dell’intellettualità europea, letterati, musicisti, pittori, scienziati fu enorme. Dopo l’aggressione alla Repubblica spagnola delle armate italo-tedesche, l’URSS fu l’unico paese che aiutò la democrazia spagnola, purtroppo con quello di cui disponeva allora, ossia con mezzi militari molto inferiori a quelli degli avversari ed in condizioni logistiche impossibili, e si attirò, ancor più, le simpatia di tutti i democratici europei. Le grandi potenze europee, Francia e Inghilterra, girarono ancora una volta la testa da un’altra parte, nascondendo a sé stesse ed ai loro popoli il pericolo che si preparava, sempre più concreto ed evidente dal momento che le mire della la Germania hitleriana non venivano contrastate.

Nonostante la defezione delle grandi potenze europee, la Repubblica Spagnola poté, però, contare sull’aiuto delle brigate internazionali formate da 59mila volontari accorsi da 53 nazioni dei 5 continenti[2]. I rappresentanti di tanti popoli fornirono quell’aiuto internazionale che l’ignavia dei loro governi avevano mancato di dare. I 4050 volontari italiani erano inquadrati nel battaglione (poi brigata) Garibaldi. Il principale dirigente delle Brigate Internazionali, fu Luigi Longo, ma alla guerra di Spagna parteciparono anche Nenni, Pacciardi, Togliatti e tanti altri esponenti politici italiani che furono poi i dirigenti politici e militari della Resistenza italiana e promotori  della Costituzione della Repubblica varata nel 1948. Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi si trovavano i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 – gennaio 1938) e sull’Ebro (luglio 1938). Ma non furono sufficienti a capovolgere l’esito del conflitto.

Ma la celebre frase di  Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia” fu l’impegno solenne delle forze politiche democratiche, socialiste e comuniste in esilio. L’antifascismo in esilio aveva conosciuto la prova del fuoco e imparato i compiti dell’organizzazione della guerra e della guerriglia, una lezione preziosa che non dimenticherà più.

Intanto, mentre nell’impari lotta la Repubblica Spagnola soccombeva, anche in Francia cadeva il governo del Fronte Popolare. Il governo reazionario che lo sostituì mise fuori legge il Partito Comunista Francese e rese dura la vita degli esuli antifascisti in Francia, nonché dei reduci antifranchisti che sfuggivano alla repressione al di là dei Pirenei.

Ora era chiaro, l’Unione Sovietica era isolata e caddero nel vuoto i suoi tentativi di suggellare un patto con le potenze europee di difesa contro la Germania nazista. Altresì era chiaro che Francia ed Inghilterra, avrebbero tollerato che le prossime mire espansioniste di Hitler fossero dirette ad est, ossia contro la Russia. Stalin comprese che doveva prendere tempo, aggiornare e rafforzare le sue forze armate a livello di quelle tedesche e, anche, che avrebbe potuto sperare di realizzare una coalizione anti tedesca solo dopo l’inizio della guerra ad ovest, anzi dopo aver dimostrato che. quando fosse arrivato il suo turno, la Russia non si sarebbe arresa, ma avrebbe continuato a combattere. Il patto Ribbentrop-Molotov concesse all’URSS del tempo prezioso, ma i tedeschi colsero l’occasione per invadere la Francia e tentare di piegare l’Inghilterra 

Condotta da un capo prestigioso, Winston Churchill e forte di un popolo tenace e determinato, l’Inghilterra non cadde nelle mani di Hitler. Il capo nazista, ritenendo prematura l’invasione dell’isola britannica difesa ancora dalla più forte marina da guerra dell’epoca, volse la sua attenzione alla Russia. Accelerò, quindi, l’attacco all’Unione Sovietica, che con le sue immense risorse minerarie e agricole costituiva un obiettivo strategico fondamentale per il proseguire la guerra. Quella contro la Russia non si poneva solo compiti strategici contingenti ma doveva coronare il sogno di sottomettere in schiavitù gli “slavi”, per la gloria del III Reich, una quantità immensa di uomini e risorse, come aveva scritto, qualche anno prima Hitler su Mein Kampf, teorizzando la necessità per la Germania di avere un suo Impero ad est. Inoltre i rapporti del suo ramificato Servizio Segreto segnalavano che l’URSS era ancora impreparata sul piano militare, quindi, stracciando il trattato di non belligeranza firmato due anni prima iniziò l’aggressione al paese del socialismo. L’operazione Barbarossa avrebbe dovuto conquistare Mosca prima dell’inverno del 1941. Effettivamente l’URSS fu colta di sorpresa, ma al prezzo di perdite enormi, col sacrificio di milioni di soldati, civili, villaggi e città distrutte, la resistenza sovietica fu enormemente superiore a quella che i generali tedeschi si aspettavano sulla scorta delle precedenti conquiste nell’Europa occidentale.  Pur avanzando, dovettero modificare i loro piani di invasione, disperdere il loro esercito su un fronte che andava da Leningrado al Caucaso. Solo dopo che l’esercito sovietico – i cui reparti erano sfilati nella Piazza Rossa nel XXIV anniversario della Rivoluzione (novembre 1941) –, ricacciò le truppe tedesche di fronte a Mosca, all’inizio del 1942 fu ufficializzata l’alleanza tra Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica e arrivarono aiuti dagli Stati Uniti. L’alleanza fu chiamata delle Nazioni Unite. I sovietici bloccarono il piano strategico tedesco di impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Caucaso (cosa che anche gli angloamericani temevano perché avrebbe dato nuova linfa alla guerra in Europa occidentale) e passarono al contrattacco. La storia della riconquista dei territori russi, ucraini e bielorussi occupati dai nazisti, la sconfitta e la resa di intere armate tedesche è cosa ben nota, il contrattacco degli angloamericani in Africa seguì l’allentamento del pericolo sul fronte russo e le loro truppe sbarcarono in Sicilia. Siamo nel 1943. Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia caddero il governo Mussolini ed il fascismo ed iniziò la guerra partigiana per la difesa della Patria invasa dai tedeschi.

Le vittorie dell’Armata Rossa e la Guerra di Liberazione

Mette ora il caso di ricordare quello che disse e scrisse Sergio Ricaldone, medaglia d’oro della Resistenza Italiana. “In quei giorni eravamo incollati alla radio per seguire gli esiti della battaglia di Kursk (sett. 1943), la più grande battaglia tra carri armati mai combattuta, in cui i carri del III Reich furono sconfitti e l’URSS dimostrò al mondo di aver recuperato il suo gap tecnologico nei confronti della Germania. E non era la curiosità a mantenerci incollati alla radio, ma la comprensione della portata galvanizzante delle straordinarie vittorie delle armate sovietiche, sul morale e la determinazione dei gruppi partigiani, le cui fila si stavano ingrossando attendendo ogni momento propizio per partire all’azione”. E così avvenne, che ogni progresso della lotta partigiana era legato alle vittorie delle armare di Stalin, alla demoralizzazione dell’avversario, che pur ferito reagiva con inaudita ferocia.

Trovo su Wikipedia una breve ma sufficientemente completa Storia della Resistenza Italiana dalla quale riporto un brano. “A giudizio delle stesse autorità alleate, la Resistenza italiana giocò un ruolo importante per l’esito della guerra in Italia e, a costo di grandi sacrifici umani, cooperò attivamente ad indebolire le forze nazifasciste, a minarne il morale ed a renderne precarie le retrovie, impegnando notevole parte delle unità militati o paramilitari del nemico. Anche le fonti tedesche documentano che le forze partigiane furono causa di problemi e difficoltà militari per i comandi e le truppe della Wehrmacht. Secondo il Center for the Study of Intelligence della Central Intelligence Agency, i partigiani italiani “tennero sette divisioni tedesche occupate lontano dal fronte [con gli Alleati], e con l’insurrezione finale dell’Aprile 1945 ottennero la resa di due divisioni tedesche, che portò direttamente al collasso delle forze tedesche entro ed attorno Genova, Torino e Milano”.

Lo stesso succedeva in Francia, in Yugoslavia, nei Balcani, in Polonia, in Norvegia e, in varia misura, in tutti i paesi occupati di tedeschi. La molla del moto insurrezionale furono le vittorie degli eserciti dell’URSS. Per tutti, l’esempio più importante e iniziale del movimento partigiano internazionale fu quello che si era sviluppato in Russia, in Ucraina, in Bielorussia, in Crimea ed in altre regioni dove i massacri delle armate tedesche sulle popolazioni civili non arrestarono mai, ma non intaccarono né la determinazione a colpire l’invasore, né la fiducia in Stalin. Quel che ci preme sottolineare ora, è che con i successi dell’Armata Rossa e la sua marcia verso ovest, anche  la direzione strategica del conflitto passò nella sue mani. Gli angloamericani organizzarono un imponente sbarco sulle coste francesi, quello che Stalin aveva chiesto con insistenza ma di cui, spesso, si esagera l’importanza sul piano militare dal momento che la Wermacht impegnò sul fronte occidentale solo un decimo delle divisioni che manteneva su quello orientale, e la resistenza dei tedeschi alla pressione angloamericana fu ancora piuttosto efficace per circa un anno. Si decise a Yalta che la Russia poteva avere la sua sfera di influenza su molti paesi europei ed in Germania che avrebbe dovuto proteggere l’URSS dal pericolo di una nuova e aggressiva “cintura sanitaria” a suo danno. La guerra in Europa finì con la conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche. In Italia finì prima, perché tutte le principali città del nord furono liberate dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati.

Conclusioni

In queste brevi note mi sono sforzato di parlare non tanto della guerra e della guerra partigiana che l’antifascismo preparò nell’esilio, nella prova della Guerra civile spagnola, nelle galere fasciste, ma delle premesse politiche che precedettero la II Guerra Mondiale ed ne accompagnarono gli eventi tragici e gloriosi. Lascio ad altri, ben più capaci di me, l’analisi più completa e circostanziata.  Certo che in quel periodo ci furono anche ombre, fatti oscuri, furono commessi gravi  errori, con conseguenze negative immediate e nel dopoguerra. Ma ciò non basta certo a cancellare la verità storica, che la Resistenza e la Lotta di Liberazione in tutte le parti del mondo (in Cina, ad esempio) devono molto alla Rivoluzione d’Ottobre.

In senso stretto il rapporto tra la Resistenza e la Rivoluzione d’Ottobre non è Stalin, ma non si esaurisce neppure nell’elenco delle loro consonanze ideologiche. Tali consonanze divennero motivazioni importanti (non le uniche, naturalmente) alle scelte personali per cui combattere e morire di milioni di uomini, man mano che il mondo scopriva il ruolo rilevante dell’URSS e di Stalin prima e durante la II Guerra Mondiale.

Ambedue gli eventi furono grandi movimenti di popolo animati dalla speranza di conquistare un futuro migliore, di giustizia e di pace. Speranze che molti chiamarono utopie, quelli, ad esempio, che pur avendo sofferto le privazioni della guerra, lo stress dei pericoli nei fronti in cui avevano combattuto, le case distrutte dai bombardamenti trovarono, tuttavia un “accomodamento” con la loro coscienza attraverso una visione pessimistica della razionalità della storia che, ripetitivamente è storia di ingiustizie contro le quali non c’è niente da fare se non attendere che la bufera passi. Stiamocene nascosti e aspettiamo che gli Alleati ci liberino! In questo senso questi eventi hanno segnato una divisione nel popolo, grosso modo tra chi non aveva niente da perdere e chi manteneva ancora qualcosa, almeno la speranza di riprendere, dopo la guerra, una vita dignitosa, come prima della guerra. I primi, quelli cui la guerra dava una sola certezza, che se avessero vinto i nazisti si sarebbero trovati più schiavi di prima, sempre ultimi nella scala sociale, accettarono più facilmente – anche quelli che non avevano mai sentito parlare di socialismo, di comunismo e di democrazia – il messaggio di liberazione di uomini usciti dalla galere fasciste o che venivano dall’esilio e che parlavano della necessità di continuare la lotta, per costruirselo il futuro. Lo stesso messaggio che animò la Rivoluzione d’Ottobre. Ma bisognava vedere i frutti di quella Rivoluzione, e questi furono il coraggio del popolo russo, il suo attaccamento alle conquiste sociali e le vittorie dell’Unione Sovietica, la sagacia strategica del suo capo, l’umiliazione dei superuomini tedeschi e dei loro lacchè fascisti. Ecco di cosa parlavano, oltre che di preparazione di attentati contro i nazisti, i dirigenti partigiani del PCI nelle riunioni clandestine nei casolari del Polesine in cui si ritrovava mezzo paese mentre fuori pattugliavano le SS; ecco l’animo degli operai delle fabbriche del milanese che stampavano e distribuivano i fogli clandestini che incitavano alla lotta contro i fascisti o che costruivano le armi per l’insurrezione. Tanto per citare alcuni degli infiniti esempi di coraggio degli operai e dei contadini nella Guerra di Liberazione.

Altri, più acculturati, capirono anche prima da che parte stare. Una grande spinta fu quella della scelta unitaria di tutti i partiti democratici, il cui valore doveva essere mantenuto dopo la guerra. Ma tutti  riconoscevano il valore del sacrificio e della lotta dei popoli dell’Unione Sovietica. Con questo spirito, oltre ad un forte senso della dignità nazionale, ufficiali di un esercito portato allo sbaraglio in terre straniere, che avevano negli occhi l’orrore delle repressioni germaniche, diedero un importante contributo nell’organizzazione militare partigiana.

Come abbiamo scritto all’inizio, oggi la narrazione di quei fatti e dei loro rapporti è mistificata da una propaganda miserabile in cui si capovolgono anche gli esiti della guerra (vinta, naturalmente dagli americani…), si denigra l’Unione Sovietica, si irride alla Rivoluzione d’Ottobre. Noi dell’ANPI non abbiamo il diritto di aderire a tali mistificazioni, ma a me pare che finché non avremo il coraggio di ricordare completamente, nelle scuole e tra i giovani, ciò che successe realmente in quegli anni, non avremo fatto appieno il nostro dovere.

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[1]              La fascinazione di Trotskij è evidente

[2]           Al loro interno, le brigate internazionali erano generalmente divise in raggruppamenti nazionali. Ogni Brigata era suddivisa in battaglioni. I volontari italiani erano inquadrati nel battaglione Garibaldi (dall’aprile 1937: Brigata Garibaldi); gli americani nella brigata Abraham Lincoln[; i canadesi nel battaglione Mackenzie-Papineau; gli irlandesi erano raggruppati nella Colonna Connolly. I contingenti più numerosi erano costituiti da francesi (circa 9.000), tedeschi (circa 5.000), italiani (circa 4.050), statunitensi (circa 3.000), britannici (circa 2.000) e jugoslavi (circa 1.600). Altre centinaia provennero da numerosi stati e continenti fra cui: Belgio, Svizzera, Cuba, Canada, Albania, Ungheria, Cina, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia,  Scandinavia, Sud America, Africa e paesi arabi. In rapporto al numero della popolazione del paese d’origine, il contingente più numeroso fu quello cubano, con 800 volontari.