Riccardo Bellofiore, La crisi capitalistica, la barbarie che avanza

di Vladimiro Giacché

 

bellofbarbNota di lettura:

Riccardo Bellofiore, La crisi capitalistica, la barbarie che avanza,

Trieste, Asterios, 2012, pp. 82, euro 7.

 

Tutto quello che avreste voluto sapere sulla concezione marxista della crisi applicata alla crisi odierna e non siete mai riusciti a trovare in un solo libro. Ho immaginato questo sottotitolo per il libretto di Riccardo Bellofiore pubblicato meritoriamente da Asterios a un prezzo accessibile a tutte le tasche. Si tratta, molto semplicemente, di un testo indispensabile per chiunque voglia orientarsi nei diversi utilizzi della teoria di Marx per capire la crisi (sto parlando degli utilizzi seri, non delle boutade alla Tremonti…). È lo stesso autore, nelle prime pagine del libro, a offrirci la traccia del suo percorso: 1) una ricognizione delle diverse teorie della crisi riconducibili a Marx, 2) tentativo di integrare i diversi spunti marxiani sulla crisi all’interno di una lettura non meccanicistica della caduta del saggio di profitto, 3) schizzo storico della crisi capitalistiche dalla Grande Depressione di fine Ottocento sino agli anni Sessanta-Settanta, 4) ultimi decenni del Novecento e primo decennio del nuovo secolo. Si tratta di un itinerario caratterizzato da un estremo rigore terminologico, ma anche da grande chiarezza. Certo, si tratta di pagine che vanno lette (direi assaporate) con attenzione e con calma, ma si è ampiamente ripagati di questo sforzo. Anche perché gli strumenti concettuali che vengono esposti nella prima parte di questo volumetto si aprono poi ad una spiegazione, incalzante e convincente, della parabola economica di questi ultimi decenni: fino alla crisi esplosa nel 2007 e ben lontana dal chiudersi. Gli anni Sessanta e (primi) Settanta per Bellofiore segnano un’importante cesura: con il tentativo (poi sconfitto) di impedire una risposta alle difficoltà di valorizzazione del capitale in termini di aumento del grado di sfruttamento del lavoro, ossia (in fondo è la stessa cosa) il tentativo di rompere le compatibilità di sistema. I decenni successivi sono segnati da precarizzazione e finanziarizzazione, “le due armi gemelle” che rappresentano la risposta alla crisi sociale degli anni Sessanta e Settanta e che producono: da una parte “una ‘centralizzazione senza concentrazione’” – ossia un comando del capitale centralizzato, ma con unità produttive connesse in rete “lungo filiere transnazionali” e in grado di sfruttare l’offerta di lavoro mondiale per rompere la resistenza della classe operaia dei paesi del centro capitalistico; dall’altra quella “‘sussunzione reale del lavoro alla finanza e al debito’”, necessaria per sopperire alla carenza di domanda derivante dai bassi salari”; queste due armi “prima, hanno dato vita a una crescita reale drogata, poi hanno determinato il ritorno della instabilità e la fine di quel modello”. Cioè dove ci troviamo oggi. Ossia in una crisi che appare senza uscita e che – conclude Bellofiore – ripropone “le questioni di un diverso modo di lavorare e di un diverso modo di organizzare la riproduzione come condizioni dell’uscita da questo mulinello sempre più infernale”.

Vladimiro Giacché (recensione andata in onda su Radio Popolare)