Homo prometheus e marxismo prometeico

marx engels berlinPubblichiamo la prefazione “Homo prometheus e marxismo prometeico” di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli, tratto dal libro “Il prometeismo sdoppiato: Nietzsche o Marx?”.

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli.

PREFAZIONE

Homo prometheus e marxismo prometeico

Cosa hanno in comune il mito di Faust e i fumetti dell’Uomo Ragno; gli sciamani del paleolitico e Superman; il grande poeta comunista Shelley e il filosofo anticomunista Nietzsche; Marx e Pico della Mirandola; il mito di Icaro e quello di Frankenstein; Esiodo e il geniale Goethe; il Golem medioevale e il temerario capitano Achab creato da Melville; la torre di Babele biblica e il potente stregone Prospero della “Tempesta” di Shakespeare; i due splendidi film su Blade Runner e 2001: Odissea nello spazio; la saga di fantascienza dei Precursori, ideata da Greg Bear, e quella su Harry Potter?


L’Homo prometheus, la tendenza titanica.

Cosa hanno in comune i romanzi di Chrétien de Troyes, Tolkien, Terry Brook e Dan Brown, se non la ricerca affannosa del proteiforme Graal con le sue sconfinate conoscenze esoteriche? 

Il prometeismo costituisce una tendenza cultural-politica che ha come suo fondamento la valutazione positiva della carsica ma concreta trasformazione, da parte umana, dell’impossibile di ieri nel possibile del presente, e soprattutto nella realtà del futuro: ossia l’esaltazione delle grandi capacità di sviluppo dei poteri e delle conoscenze umane, soprattutto nella sfida contro i limiti interni/esterni posti al pieno dispiegarsi delle loro potenzialità di crescita.

Si tratta di una complessa e contraddittoria corrente, culturale e politica, che risale all’era paleolitica di trentamila anni fa e che ormai ha accumulato quasi tremila anni di proteiforme storia scritta in Europa, rappresentando un pezzo importante all’interno del mosaico del processo di riproduzione delle ideologie, delle concezioni del mondo e della letteratura all’interno dell’occidente, dall’800 a.C. fino ad arrivare al nostro terzo millennio: un fenomeno significativo sia per gli intellettuali che per le masse popolari, anche se in forme e con livelli di elaborazione assai diverse, che ha segnato concretamente non solo le classi sfruttatrici ma anche quelle sfruttate, partendo dal mito del serpente della Genesi biblica e da Esiodo, con la sua prima cristallizzazione del mito prometeico per arrivare via via anche ai film e ai fumetti dedicati ai supereroi contemporanei.

Stiamo quindi per esaminare un quadrante assai variegato, proteiforme e complesso che è passato dal babilonese Gilgamesh fino a Superman, da Pitagora fino ad arrivare a Spiderman, dal supereroe/semidio Ercole per giungere all’incredibile Hulk/Bruce Banner, dal plurimillenario mito di Prometeo fino ai culti dell’eroe-superuomo e dei semidei: una tendenza che, ai nostri giorni e all’inizio del terzo millennio, si materializza anche nelle avanzate ricerche scientifiche sul potenziamento genetico della nostra specie e sull’intelligenza artificiale, sull’esplorazione spaziale e la robotica. 

Eppure il prometeismo, per non parlare poi del particolare processo di sdoppiamento verificatosi praticamente fin dalle sue origini occidentali tra la sua corrente fraterno-cooperativa e quella del titanismo elitario-classista, è stato quasi sempre ignorato come componente politico-culturale dall’analisi storica, anche se di matrice marxista e/o anticapitalistica, costituendo una sorta di ingombrante ma obliterato “convitato di pietra” all’interno del dibattito politico-ideologico degli ultimi millenni: anche gran parte dei sostenitori del materialismo storico ha quasi sempre rimosso, almeno a livello teorico, il fatto elementare che proprio il marxismo costituisce una nuova e superiore forma di prometeismo, fin dalla splendida tesi di laurea scritta dal giovane Marx nel lontano 1841.

Le tesi fondamentali che saranno esposte in questo libro risultano le seguenti:

1) Il prometeismo trovò la sua primitiva manifestazione concreta e pratica già nello sciamanesimo della lontana epoca paleolitica, decine di millenni or sono.

2) Il prometeismo costituisce una variegata tendenza, allo stesso tempo culturale e politica, capace di produrre anche delle ricadute significative rispetto agli orientamenti politici generali di segmenti significativi dell’intellighenzia, delle classi egemoni sul piano socioproduttivo e delle stesse masse popolari, seppur sotto forme diverse e spesso conflittuali tra loro; altresì esso è formato anche da un insieme variegato di concrete pratiche umane (autocontrollo della respirazione, magia, scienza, ecc.) rivolte a espandere enormemente i poteri umani.

3) Nelle sue articolate componenti e declinazioni (superomismo e culto degli eroi/semidei, magia e leggende sui patti faustiani con il demonio, fiducia nella perfezionabilità del genere umano espressa sia dall’umanesimo rinascimentale che dall’illuminismo, marxismo, fiducia nella scienza/tecnologia, ecc.), il prometeismo rappresenta una delle più longeve correnti politico-ideologiche sia a livello planetario (mito di Gilgamesh, 2300 a.C.) sia all’interno del mondo occidentale, nel quale esso risulta subordinato per peso specifico solo rispetto al quasi sempre egemone teocentrismo, almeno fino all’Ottobre Rosso sovietico del 1917. 

4) Il prometeismo non solo non costituisce una tendenza cultural-politica monolitica, ma anzi (oltre ad altre differenziazioni interne) si è diviso e sdoppiato in modo radicale tra un prometeismo “nero”, ossia elitario e classista, e un alternativo prometeismo “rosso”, cooperativo e fraterno, legato o vicino al processo di liberazione dell’uomo dallo sfruttamento di classe.

La prima componente parte dai miti di Gilgamesh, della guerra di Troia e da Ercole per arrivare via via fino a una parte importante dell’opera di Nietzsche, al nazismo e al transumanesimo elitario di Harari e Pierce, mentre la seconda fluisce e si sviluppa dalla Genesi biblica, con il suo “eritis sicut deus”, fino a giungere al marxismo e al transumanesimo di matrice collettivistica. Sotto il primo aspetto, analizzando il lato “nero” dello sdoppiamento in via di esame, Giorgio Galli ha sottolineato del resto che i nazisti “sono giustamente ricordati per il loro marcato antisemitismo. Lo sono meno, o non lo sono affatto per la loro sottolineatura di doti paranormali e della possibilità di acquisirle”. 

5) Come sottoprodotto dell’effetto di sdoppiamento, creatosi dopo il 9000 a.C., anche il prometeismo si è dunque espresso in forme alternative e “sdoppiate” nel corso degli ultimi tre millenni, come del resto vale per il fenomeno religioso e la scienza-tecnologia. Si tratta di un’ulteriore ricaduta a livello ideologico-culturale dell’azione di due tendenze generali alternative tra loro, operanti sul piano socioproduttivo con la comparsa storica del surplus permanente ed accumulabile (agricoltura, allevamento e protourbanizzazione neolitica): ossia la linea rossa (da Gerico all’Unione Sovietica e alla Cina Popolare) e quella “nera”, partendo da Nevali Cori fino al capitalismo di stato contemporaneo e alla sua “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite”.

6) Il movimento comunista di matrice marxista ha avuto una potente e indiscutibile matrice originaria di tipo prometeico: afflato ideale e culturale di trasformazione del mondo e dell’uomo che si è riprodotto costantemente nel corso degli ultimi centosessant’anni rappresentando costantemente il vero perno all’interno della progettualità marxista, ai tempi del giovane Marx (autunno del 1841) come all’inizio del terzo millennio.

7) Una parte consistente del movimento anticapitalistico, a volte vicino almeno ad alcune posizioni marxiste, ha invece rifiutato più o meno esplicitamente il prometeismo marxiano: basti ricordare la tecnofobia di Adorno e di una parte consistente del movimento del ’68, oppure la frazione egemone degli ecologisti anticapitalisti, l’antisviluppismo di sinistra (Latouche ecc.) e l’antispecismo.

8) Il prometeismo si è altresì diversificato al suo interno, fin dalle sue origini nelle società classiste dell’Europa, in un titanismo “endogeno” e autosufficiente, per il quale il genere umano con le proprie forze risulta in grado di effettuare da sola una serie di salti di qualità rispetto alle proprie precedenti capacità e conoscenze collettive, anche se con grandi sforzi e pagando prezzi a volte tremendi, e un prometeismo invece “esogeno”: secondo quest’ultimo la nostra specie invece aveva e ha bisogno di un indispensabile supporto e di un aiuto esterno (quale il dono del fuoco all’umanità da parte del semidio Prometeo, ad esempio) per essere in grado di effettuare con successo un vero e proprio “assalto al cielo”, vincendo i propri limiti e debolezze interne.

A questo punto serve chiarire, in via preliminare, una questione centrale: si possono davvero sviluppare concretamente e realmente le capacità e le conoscenze umane, individuali e/o collettive? Detto in altri termini, il nucleo essenziale e il dna del titanismo si rivela giustificato e legittimato sul piano storico, o viceversa esso risulta solo una vuota utopia, più o meno illusoria e megalomane, priva in ogni caso di riscontri concreti nella praxis plurimillenaria del genere umano? 

La risposta a tale interrogativo è chiara: l’uomo è realmente diventato un essere prometeico proprio con la sua praxis produttiva e fin da quando l’Homo Habilis progettò, attuò e riprodusse costantemente il processo produttivo dei primi chopper ossia delle prime pietre scheggiate e lavorate attraverso altri ciottoli, attorno al 2.300.000 a.C. e quindi più di due milioni di anni or sono. 

Si era in presenza già allora di una forza di matrice titanica ancora molto debole, ma reale e che si rafforzò in seguito a partire dalla carsica domesticazione del fuoco, avvenuta attorno a 1.800.000 anni a.C.

A tal proposito l’antropologo E. O. Wilson ha sottolineato correttamente che “il fuoco dona la vita. Riscalda e nutre le persone. Crea un rifugio di luce intorno al quale si muovono i predatori notturni, che però non osano entrare. La luce del fuoco è Prometeo che illuminò l’umanità portandola più vicino agli dei”. (E. O. Wilson, “Le origini della creatività”, p. 17, ed. Cortina).

Un prometeismo paleolitico assolutamente inconsapevole e ancora fragile, certo, ma in ogni caso assolutamente tangibile. Mediante la creazione cosciente di tali primitivi mezzi di produzione, il genere umano infatti raggiunse e realizzò un decisivo salto di qualità non solo sul piano tecnologico ma anche nel campo ontologico, aggiungendo “un organo” (il chopper) autocreato e artificiale, non derivato in alcun modo dalla sua struttura genetica, “agli organi” naturali e genetici “del proprio corpo”. Si trattò di un salto di qualità epocale e fu proprio il geniale Karl Marx, nel primo libro del “Capitale”, a scoprire la natura prometeica (“nonostante la Bibbia”), “artificiale” e non-genetica, autocostruita e autoprodotta dall’uomo sociale attraverso la propria praxis sociale produttiva, seppur con modalità inconsapevole, fin dal decisivo momento dell’autosviluppo qualitativo della capacità/conoscenze tecnologiche raggiunte dall’Homo Habilis due milioni di anni orsono, per arrivare poi via via all’intelligenza artificiale e ai computer quantistici del nostro terzo millennio.

Se il prometeismo rappresenta dunque il perfezionismo 2.0 della nostra specie, il marxismo a sua volta ne costituisce la migliore autocoscienza collettiva e la sua teoria-guida, a partire soprattutto da un breve ma meraviglioso passo del Capitale (libro primo, cap. quinto, primo paragrafo), quasi sempre sottovalutato dagli stessi marxisti riguardo alle sue qualità e caratteristiche essenziali della nostra specie: marxisti che non tengono tuttora conto che proprio il giovane Marx, nel 1841 e ventisei anni prima della pubblicazione del primo libro del Capitale, aveva già esaltato la figura di Prometeo nella sua spettacolare tesi di laurea su Democrito ed Epicuro, mentre a loro volta spunti ed elementi di matrice prometeica (quali ad esempio le categorie teoriche di autosviluppo e autocreazione) emergono con particolare evidenza anche nei fenomenali “Manoscritti economico-filosofici” del 1844.

Nel quinto capitolo del Capitale Marx in ogni caso sottolineò che “il mezzo di lavoro è una cosa o un complesso di cose che il lavoratore inserisce tra sé e l’oggetto del lavoro, e che gli servono da conduttore della propria attività su quell’oggetto. L’operaio utilizza le proprietà meccaniche, fisiche o chimiche delle cose per farle operare come mezzi per esercitare il suo potere sulle altre cose, conformemente al suo scopo. Immediatamente – fatta astrazione dall’afferrare mezzi di sussistenza già belli e pronti, per esempio frutta, nel che gli servono come mezzi di lavoro i soli organi” (naturali e determinati geneticamente) “del suo corpo – il lavoratore non s’impadronisce dell’oggetto del lavoro, ma del mezzo di lavoro. Cosi lo stesso elemento naturale” (ad esempio la pietra, trasformata in chopper) “diventa organo della sua attività: un organo” (artificiale e non programmato geneticamente) “che egli aggiunge agli organi del proprio corpo, prolungando la propria statura naturale, nonostante la Bibbia”, ossia nonostante il divieto biblico di tale pericolosa attività, tesa oggettivamente all’espansione della “statura naturale” e delle capacità/conoscenze collettive della nostra specie.

Sempre nel capitolo già citato Marx aggiunse, giustamente e volutamente, che “strumenti e armi di pietra si trovano nelle più antiche caverne abitate da uomini”, sottolineando quindi esplicitamente il valore eccezionale, sia sul piano ontologico che della “lunga durata” temporale, di tale processo, artificiale e autoprodotto, relativo al “prolungamento della statura naturale” acquisita dall’uomo “nonostante la Bibbia”.

Homo prometheus, quindi, fin dal più remoto paleolitico; embrionale pratica e volontà collettiva di potenza, quindi, fin dal più lontano paleolitico, secondo le corrette valutazioni di Marx; una scintilla di infinito, quindi, che da milioni di anni accompagna concretamente il genere umano, formando la base reale per l’immaginario monolite nero ideato genialmente da Kubrick nel 1968.

Ma non solo: sempre all’inizio del quinto capitolo del primo libro del Capitale, Marx evidenziò che il lavoro non fa che “sciogliere” proprio l’oggetto del suo lavoro e di “tutte le cose” dal “loro nesso immediato con l’orbe terracqueo”, instaurando pertanto una lotta costante e “titanica” con la natura inorganica e organica, come nei casi che riguardano “il pesce, che viene preso e separato dal suo elemento vitale, l’acqua, il legname che viene abbattuto nella foresta vergine” ecc. (Marx).

Detto in altri termini, fin dai tempi nei quali il genere umano iniziò a produrre in modo “titanico” i primi chopper e ad utilizzare il fuoco, seppur non ancora producendolo coscientemente, senza alcuna autocoscienza esso non solo si autotrasformò con la propria autonoma pratica sociale in un essere prometeico, ma iniziò altresì oggettivamente una lotta epica con la natura esterna, inorganica e organica, oltre che con la sua stessa natura genetica e con la sua “statura”, animale e naturale.

Pertanto il processo di sviluppo generale della nostra specie, a partire dal chopper dell’Homo Habilis, va rianalizzato sul piano generale come una lotta (inconsapevole per innumerevoli millenni, ma concretissima) tra uomo sociale e limiti genetici dell’uomo, della sua stessa “statura naturale”; come un conflitto (quasi inconsapevole, per innumerevoli millenni) tra l’uomo sociale e la resistenza opposta dalla natura al suo processo di sviluppo non-genetico, a partire dalla creazione sociale di mezzi di produzione. L’intera storia del genere umano va interpretata, dunque, mediante la contraddizione generale tra il prometeismo umano e gli ostacoli al suo sviluppo, tra livello concreto di dominio umano sulla natura (ivi compresa ovviamente la natura genetica umana) e il livello di impotenza umana di fronte alle proteiformi cristallizzazioni assunte dalla materia, sia inorganica che organica. 

Ma non solo: fin dalla prima produzione sistematica e duratura di chopper, avvenuta circa 2.300.000 anni orsono, almeno in embrione la nostra specie va intesa e valutata anche come dialettica di tendenze e controtendenze, come unità e lotta tra le sue forze reali (di un determinato istante e/o periodo storico) e le sue immense potenzialità, presenti e soprattutto future: contraddizione ontologica e antropologica feconda e concretissima, alimentata e sostenuta senza sosta dal “magico” processo umano di produzione di strumenti attraverso altri strumenti, denominato di regola tecnologia e protoscienza/scienza. 

Su questa tematica incandescente servono alcune precisazioni, di carattere generale.

Se con la nuova rivoluzione tecnoscientifica in corso, imperniata su formidabili elementi prometeici quali robotica e intelligenza artificiale, genetica e attività spaziale, sta incrementando in modo accelerato la capacità generale della nostra specie di superare e trascendere sia i propri limiti genetici (come ad esempio nel lontano caso dell’uso-produzione del fuoco, forza naturale invece aliena a tutti gli altri animali) sia la “resistenza” della natura esterna, tale dote storica invece costituiva una tendenza storica ancora debolissima ai suoi inizi e al tempo del chopper, essendo inoltre collegata dialetticamente alla sua controtendenza e al suo “nemico” storico: ossia la concretissima permanenza, anche all’alba del Ventunesimo secolo, di pesanti limitazioni e ostacoli biologico-materiali al progresso umano, come nel caso della concretissima coppia invecchiamento-morte, per citare una sola barriera alla nostra dinamica di sviluppo. 

Agisce quindi una controtendenza generale che, a sua volta, costituisce da millenni il brodo di coltura e la matrice generale dell’antiprometeismo e del pessimismo, della sfiducia collettiva nella possibilità concreta del genere umano di superare via via i propri limiti e di trasformare l’impossibile di oggi nella realtà concreta di domani, o anche di un futuro meno ravvicinato.

Inoltre non si può dimenticare la pesante e concreta asimmetria mano a mano creatasi tra il gigantesco sviluppo del processo dell’oggettivazione umana, partendo dai paleolitici chopper fino ad arrivare ai supercomputer odierni e all’ancora embrionale intelligenza artificiale, e il progresso notevole ma ancora limitato invece ottenuto sinora rispetto alle capacità fisiche e cerebrali umane: anche i progressi reali acquisiti in questo campo (allungamento consistente della vita media degli uomini, lotta vittoriosa a molte malattie, occhiali e protesi fisiche ecc.) non reggono il confronto con la dinamica, iperaccellerata e formidabile del primo aspetto della contraddizione portata ora alla luce.

Proprio in questo contesto storico generale deve essere inserito e decodificato il fenomeno teorico-pratico del prometeismo nel mondo occidentale, ossia l’oggetto specifico del nostro studio.

Il contraddittorio e proteiforme titanismo culturale degli ultimi millenni costituisce infatti la riproduzione ideale e il riflesso parziale, spesso ingenuo e in ogni caso approssimativo, del processo concreto di riproduzione allargata delle capacità e conoscenze umane, della sua plurimillenaria e crescente spirale di superamento progressivo delle concrete “barriere” e dei formidabili limiti, endogeni-umani ed esogeni-naturali, che si oppongono a tale dinamica di crescita.

A sua volta anche l’antiprometeismo teorico degli ultimi millenni è diventato la rappresentazione, sempre sul piano ideale, ed espressa spesso in termini religiosi, dei limiti e delle debolezze ancora formidabili che ostacolano, riducono o impediscono da molti millenni il processo di allargamento, delle doti, conoscenze e capacità di trasformazione concreta della realtà della nostra specie; la sfiducia e il pessimismo sulla potenzialità progressiva dell’uomo, ai nostri giorni declinate spesso nella tecnofobia di sinistra (Adorno, antispecismo ecc.), trovano la sua principale radice proprio in tali freni e blocchi di carattere oggettivo e nei “fallimenti del progresso” a cui si aggiunge spesso, a partire dal 1917, una matrice anticomunista più o meno dichiarata.

La dialettica plurimillenaria tra potenza umana e suoi limiti, tra potere e debolezze della nostra specie, a sua volta base materiale della tensione cultural-politica tra prometeismo e antiprometeismo, era stata individuata anche da Lenin: infatti il grande rivoluzionario russo, fin dal 1908 e nel suo saggio “Materialismo ed empiriocriticismo”, sottolineò che “dal momento che conosciamo questa legge” (alias le leggi naturali) “la quale agisce (come ha ripetuto Marx migliaia di volte) indipendentemente dalla nostra volontà e dalla nostra coscienza, noi siamo i dominatori della natura. Il dominio della natura, che si manifesta nella pratica del genere umano, è il risultato del riflesso, obiettivamente esatto, dei fenomeni e dei processi della natura nella mente dell’uomo, e dimostra che questo riflesso (nei limiti di ciò che ci indica la pratica) è una verità obiettiva, assoluta, eterna”. 

Da questo splendido – e prometeico – passo di Lenin emergono dunque anche i “limiti” della pratica, le contraddizioni e le debolezze ancora insite all’interno della praxis sociale tesa al controllo razionale della natura: e a sua volta anche Engels analizzò la dialettica plurimillenaria esistente tra la libertà/potenza sociale umana e i limiti di tale libertà/potenza notando che, nella loro fase primitiva di sviluppo, gli uomini risultavano “essenzialmente così poco liberi come gli animali stessi, ma ogni passo avanti nella civiltà era un passo verso la libertà. Alla soglia della storia umana sta la scoperta del moto meccanico in calore, la produzione del fuoco con lo strofinio; alla conclusione dell’attuale sviluppo sta la scoperta della trasformazione del calore in moto meccanico: la macchina a vapore. E malgrado le trasformazioni liberatrici che la macchina a vapore apporta nel mondo sociale e che non sono ancora completate, tuttavia è indubbio che il fuoco per sfregamento la supera in efficacia liberatrice del mondo. Poiché il fuoco dette per la prima volta agli uomini il dominio su una forza naturale e li separò definitivamente dagli animali”. 

Inoltre va sottolineato come sussista anche nel migliore dei prometeismi possibili, come in ogni fenomeno e processo umano, un rovescio della medaglia e un “lato oscuro della Luna”: proprio la pratica storica plurimillenaria del genere umano ha infatti messo alla luce una ricaduta negativa del prometeismo umano, ossia il “dono avvelenato” insito nello stesso processo di sviluppo delle capacità e delle coscienze della specie umana. 

Non ci riferiamo solo all’utilizzo guerrafondaio della scienza moderna, ad Auschwitz e Hiroshima o al disastro di Fukushima del 2012: oppure alla realtà/categoria teorica dell’“apprendista stregone”, descritta via via da Mary Shelley nel 1818, da Marx e Engels nel loro Manifesto del 1848 e da Gunther Stern mediante la sua “filosofia della discrepanza”.

Il concreto e oscuro aspetto negativo del prometeismo era infatti già emerso chiaramente fin dal lontano tempo dei nostri “cugini” – ormai estinti – Neanderthal e fin da circa 300.000 anni fa, come ha sostenuto acutamente lo studioso J. Arsuaga prendendo in esame non solo le sepolture rituali ritrovate nel sito paleolitico della Sima de los Huesos ma anche le loro pesanti ricadute, in termini sia di ontologia sociale degli ominidi che di valutazione della loro essenza e conoscenze sociali.

Sino alla popolazione della Sima de los Huesos, l’evoluzione era andata producendo uno spettacolare aumento del cervello. Il risultato fu un considerevole avanzamento delle capacità mentali superiori e un’espansione della coscienza. Un numero sempre maggiore di azioni era presieduto da questa facoltà. La coscienza non si limitava al presente, ma si estendeva al futuro, a ciò che sarebbe accaduto. Si prevedevano così gli eventi del mondo naturale e i componenti degli altri umani.

Fu così che accadde. Avvenne una scoperta sensazionale, la prima delle grandi scoperte del pensiero e il preludio di tutte le altre; una scoperta che noi tutti facciamo in qualche momento della nostra vita, perché non ne siamo a conoscenza sin dalla nascita. Gli ominidi compresero di essere, tutti, destinati a morire. 

Tale scoperta non fu altro che il risultato di un’analisi mentale, di logica pura, cui però nessun’altra creatura era giunta: se gli altri muoiono inevitabilmente e io non sono diverso dagli altri, anch’io un giorno morirò. Per far ciò, è necessario operare una distinzione tra me e gli altri, capacità che possiamo attribuire a Homo ergaster, ma che forse era presente anche negli australopitechi. Non sappiamo quando si pervenne a conoscere l’inevitabilità della morte, quali furono i primi esseri viventi che ne presero coscienza, ma è indubbio che fosse presente già 300.000 anni fa nella mente di quelli che abitavano nella Sierra del Atapuerca”. 

Per ironia della sorte, milioni di anni di evoluzione produssero già nel paleolitico il salto di qualità di un essere intelligente che giunse a comprendere che i giorni di una vita sono un conto alla rovescia: dunque una capacità mentale di previsione e generalizzazione di livello superiore, già in possesso dell’Homo ergaster di 300.000 anni or sono, si rivelò “un dono avvelenato”, bivalente e sdoppiato, come ha sottolineato giustamente Arsuaga.

Infine, come si vedrà meglio nel testo in via di presentazione, il titanismo è molto cambiato durante gli ultimi tre millenni, prendendo da alcuni decenni anche il volto del prometeismo cosmico: un fenomeno che non si materializza soltanto nella fantascienza ma anche e soprattutto nel difficile avvio dell’epopea umana di esplorazione dello spazio partendo dallo Sputnik del 1957 e da Yuri Gagarin.

Siamo ormai in presenza di un titanismo cosmico che tra l’altro fa riferimento a precisi criteri di definizione di matrice marxista, quali quelli introdotti dall’astronomo sovietico Nikolaj Kardašëv (1932-2019) agli inizi degli anni Sessanta e in seguito sviluppati creativamente da Michio Kaku. La “scala di Kardašëv” prevede infatti l’esistenza di livelli diversificati per le diverse specie intelligenti-tecnologiche, tra cui emergono: 

– il primo livello, con civiltà in grado di utilizzare tutta l’energia disponibile (solare, idrica ecc.) sul proprio pianeta di origine;

– il secondo gradino, espresso da culture capaci di sfruttare tutta l’energia prodotta dalla stella del proprio sistema solare (sfera di Dyson ecc.);

– il terzo livello, con civiltà che possono disporre di tutta l’energia della propria galassia;

– il quarto grado, introdotto da Michio Kaku e avente per oggetto culture in grado di sfruttare tutta l’energia dell’universo;

– infine un nuovo e superiore livello con civiltà (speriamo umane/anche umane) capaci di creare nuovi universi, possibilmente molto più favorevoli alla vita del quasi totalmente orrendo continuum spaziotemporale cui per ora apparteniamo, tanto ostile all’elemento biotico da giustificare in larga parte la definizione leopardiana di “Natura matrigna”.

Su queste importanti tematiche ci soffermeremo alla fine della nostra ricerca, ma per il momento bisogna tornare al processo di definizione del prometeismo nelle sue principali varianti, oltre che alle sue “fonti” principali di alimentazione e di sviluppo sul piano storico.