I comunisti napoletani tra politica della svolta e grande crisi (1929-1931)

Noi non transigiamo sulla necessità del lavoro organizzativo, e sulla necessità che esso sia compiuto in modo preliminare, prima di qualsiasi altro lavoro a riprendere i più vasti contatti con le masse. Se si seguisse un’altra via, la via opposta, si ricadrebbe in tutti gli errori del demagogismo e del popolarismo socialista. […] noi non concepiamo affatto l’organizzazione come fine a se stessa, ma pensiamo che essa è la base dalla quale dobbiamo partire per ogni vasta azione fra le masse. P. Togliatti a U. Girone, 26 giugno 1923

Una delle cose che colpiscono maggiormente riguardo all’organizzazione comunista nel Napoletano durante il fascismo è la sua continuità e capacità di resistenza, nonostante la repressione si abbatta su di essa in modo altrettanto costante; un elemento che la storiografia ha a lungo sottovalutato, o addirittura ignorato. Ogni volta che un’ondata di arresti colpisce una parte dei quadri, non solo rimane in piedi il resto della struttura (protetta dalla regola dei “compartimenti stagni”, e attraverso l’attivazione del Comitato federale “di riserva”), ma anche la cellula o il gruppo colpiti difficilmente vengono smantellati del tutto, e di solito dopo qualche tempo riprendono il lavoro di agitazione e propaganda. Anche i periodi di sospensione dell’attività, all’indomani delle ondate di arresti più pesanti, si concludono sempre con una ripresa politica e organizzativa, che spesso comporta l’ingresso di nuovi militanti nel Partito, e dunque un ricambio generazionale e un turn-over di quadri che costituiscono un’ulteriore elemento di vitalità dell’organizzazione. La insopprimibilità della contraddizione di classe e una impostazione politica che usa proprio questo dato come leva per l’azione renderanno quindi possibile ai comunisti napoletani tenere viva la lotta, in collegamento con la linea e con la lotta generale del Partito1. Di questa vicenda così ricca già il volume di Nicola De Ianni su Operai e industriali a Napoli fornì ampia documentazione relativamente agli anni Venti, mostrando tra l’altro come l’organizzazione locale fosse stata in costante rapporto col Centro del Partito, attraverso funzionari quali Michelangeli, Peluso, Gnu – di ecc. Dal 1923 Napoli fu anche sede del segretariato interregionale per l’Italia meridionale. Nella fase della bolscevizzazione, diretta da Gnudi, i settori in cui era divisa l’organizzazione furono strutturati in cellule di officina e di strada. Ben presto si raggiunsero i 700 iscritti, che si ridussero a 120 dopo le “leggi eccezionali”, benché continuassero a diffondersi circa mille copie de “l’Unità”. Nel giugno 1928, con gli arresti di Ugo Girone ed Eugenio Mancini, termina una fase del comunismo napoletano, e inizia una “nuova tradizione”, non più legata a Bordiga, ma a quadri giovani, “divenuti comunisti nell’illegalità”, i quali si avvicinano al PCd’I in quanto “unica organizzazione” disposta ad agire e fanno della lotta al fascismo la principale istanza del Partito2. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento rispetto all’orientamento di Bordiga, sempre più scettico sull’utilità di un’azione all’interno del Paese, e di un’impostazione che è invece esaltata dalla “svolta” varata dal gruppo dirigente comunista nel 1929-30. Quando l’organizzazione napoletana viene rimessa in piedi, gli stessi protagonisti avvertono che ciò avviene “su basi nuove”3. La riorganizzazione avviene qualche mese dopo. Nella primavera del 1929 si hanno i primi contatti fra il gruppo di Emilio Sereni e Manlio Rossi Doria – che, studenti all’Istituto di Agraria di Portici, sono approdati al marxismo – e gli operai Franco Panico, della fabbrica meccanica “La Precisa”, e Salvatore Castaldi, tipografo, già membri della sezione comunista4. Alla fine dell’estate viene ricostituita la sezione. Coordinata da Sereni, essa conta anche su un altro operaio della Precisa, Gennaro Rippa. Ben presto vengono costituite cellule di officina: la prima proprio alla Precisa, e la seconda alla Miani & Silve stri (con Ciro Picardi, Arturo Picariello, Giorgio Quadro)5. Nelle stesse settimane, il Centro del Partito – che ora ha costituito un Comitato per il Lazio e il Mez – zogiorno, affidandolo a Barbara Seidenfeld (Ghita), compagna di Pietro Tresso – tramite quest’ultima cerca di riprendere i contatti con le organizzazioni meridionali6. Le norme della clandestinità rendono però difficile la cosa. Intanto la sezione napoletana fa alcuni passi avanti. Il 7 novembre, durante una riunione commemorativa della Rivolu zione d’Ottobre, anche il giovane Giorgio Amendola – con tutto il valore anche simbolico di questa adesione – entra nel PCd’I7. A dicembre, grazie al viaggio a Parigi di Rossi Doria, il contatto col Centro del Partito viene ristabilito. La cosa ha effetti immediati sull’organizzazione napoletana, poiché non solo legittima il nuovo gruppo dirigente, ma gli consente anche di disporre di nuovo materiale di propaganda e soprattutto dei cliché dell’“Unità” clandestina, che così sarà stampata e diffusa tra iscritti e simpatizzanti. E tutto ciò produce diverse nuove adesioni in poche settimane8. Anche i giovani si riorganizzano. Giuseppe Persiani, appena liberato dal confino, pur non potendo rientrare nel Partito perché troppo vigilato, mette assieme un gruppo di giovani comunisti, “rimasti sbandati dal 1926”, composto da Eduardo Corona, Luigi Vittorio e altri9. L’elemento che consente di compiere il salto di qualità sta però nella “svolta” che è maturata nel PCd’I. Promossa dai giovani Longo e Secchia, essa consiste nello spostamento all’interno del Paese del centro di gravità del Partito, con l’invio di dirigenti e quadri qualificati, e nell’attuazione di una linea di massa che prevede la riattivazione di cellule di officina e “sezioni di lavoro”, l’organizzazione di comitati di lotta e la costituzione di frazioni nei sindacati fascisti, mirando a mobilitare tutta la classe operaia e non solo i simpatizzanti comunisti10. Mescolandosi alla nuova ondata di agitazioni, prevalentemente contadine, la svolta consente al PCd’I di radicarsi in vaste zone del Paese, ponendo le basi per una ripresa dell’antifascismo attivo e per l’egemonia comunista al suo interno11. Allorché i comunisti napoletani effettuano una seconda missione a Parigi, e Sereni annuncia la rinascita dell’organizzazione e la ripresa delle agitazioni, ciò appare una conferma della nuova linea12. Nel febbraio 1930, Ghita riesce a contattare la sezione napoletana13. Nel suo rapporto alla Segre teria, la Seidenfeld parla di Rossi Doria e Sereni e di un “gruppo operaio”, il quale ha già dato vita a due cellule di officina e sta per contattare i lavoratori del – l’ILVA di Bagnoli. A Napoli, “gli operai esprimono con maggiore libertà e sicurezza il loro pensiero. Dicono male del fascismo e del governo”, e si interessano soprattutto delle “questioni economiche”. “Ci sono degli elementi giovani […] che chiedono cosa fa il Partito”14. In un altro rapporto, l’emissaria del PCd’I rileva che “gli iscritti sono ancora pochi, ma si tratta di elementi volenterosi e sani”: quattro alla Precisa, cinque alla Miani & Silvestri, tre all’ILVA, più un aviere, un artigiano, un marinaio, un ferroviere simpatizzante. In una prima riunione formale si è parlato “del lavoro di organizzazione, del trotzkismo, del piano quinquennale”, ma anche dell’avvenuta espulsione di Bordiga e della necessità di “evitare parole d’ordine troppo avanzate”, come quella dello sciopero generale. Inoltre sono state distribuite 40 copie del – l’ “Unità” alla Precisa e 40 all’ILVA. “Qui si è incontrata qualche resistenza per la distribuzione un po’ larga della stampa. I compagni, però, quando hanno visto che la distribuzione […] ha sollevato l’entusiasmo degli operai, si sono convinti della necessità e bontà del lavoro”15. Nelle settimane seguenti la riorganizzazione compie un deciso passo in avanti. Vengono costituite cellule di officina in alcuni tra i maggiori impianti, si torna a diffondere la stampa comunista, si riprende il contatto con gli operai: non solo all’ILVA (con Luigi Amoroso, Gennaro Musto, Giovanni Marino, i fratelli Di Palma), ma anche alla Centrale termoelettrica Capuano, ai Bacini e Scali Napoletani (dove nasce ‘una grande cellula’), al Porto. A queste presenze si aggiungono la cellula di Ponticelli (con Ciro Picardi, l’operaio Valentino Ventura, il muratore Guido Borrelli, il fabbro Luigi Esposito) e quella degli artigiani (con Luigi Mazzella, Alfredo De Luca, Eduardo Sellitti); i contatti coi contadini sono tenuti da Sabatino Laurenza, e legami esistono anche con intellettuali (Mario Palermo, Vincenzo La Rocca) e studenti (Amendola, Gregorio e Vito Nunziante), mentre le donne sono coordinate da Emma Mancini. Responsabile del lavoro nelle fabbriche è Rossi Doria, mentre a Sereni (coadiuvato dalla moglie Xenia) sono affidati il lavoro di stampa e propaganda e il collegamento col Centro del Partito. Una riunione con Sereni e una trentina di operai, tenutasi in primavera con la copertura di una gita al Lago d’Averno, fa il punto della situazione. Una presenza, attraverso l’operaio Ciro Busiello, esiste anche al Silurificio Italiano16. Ma chi sono questi aderenti al Partito? Alcuni di loro sono militanti di vecchia data: Picardi, segnalato come sovversivo dal 1922, è stato licenziato nel ’25 e poi nel ’27 per propaganda antifascista; Musto è iscritto al PCd’I dalla fondazione; Raffaele Di Palma dal 1926; Giovanni Marino è stato segretario della sezione comunista di Pozzuoli; Borrelli è stato coinvolto nei disordini durante il funerale del comunista Raffaele Perna, nel ’2417. Ma molti sono anche gli operai che stanno entrando “per la prima volta nel Partito e nel lavoro clandestino”18. Le cellule di officina costituiscono “l’unica concreta possibilità per il partito di mantenere un contatto con la classe operaia”. D’altra parte, il rapporto è biunivoco e lo scambio reciproco. Come ricorderà Gregorio Pedone, operaio della fabbrica d’armi di Torre Annunziata, “in fabbrica arrivavano, attraverso vie misteriose, l’Unità e qualche opuscoletto antifascista. Li leggevamo di nascosto e quella lettura ser- viva a tenerci informati”19. In questo senso, la scissione che spesso si teorizza tra attività di base “spontanea” e presenza organizzata del Partito “calata dall’alto” appare assolutamente non rispondente alla realtà, che vede piuttosto un intreccio tra le due componenti, laddove il contatto col Partito era atteso dai militanti come l’elemento che potesse dare una forza molto maggiore alla loro azione. Lo conferma l’accoglienza calorosa che gli emissari o i quadri locali ricevevano allorché riuscivano ad avvicinare i militanti “di base”, e la vera e propria “emozione” che questi ultimi raccontano di aver provato al momento dell’entrata in contatto o anche della sola notizia della persistenza dell’organizzazione, giunta a seguito di qualche arresto o della confidenza di un compagno di lavoro20. L’incontro col Partito significa anche poter disporre di un più ampio e accurato materiale di propaganda; e diventa anche l’occasione per far compiere un salto di qualità a quel lavoro di formazione ideologica, che singoli e gruppi di operai avevano magari iniziato da autodidatti. A Napoli, secondo le testimonianze di Rippa, molto interesse è suscitato – oltre che dall’attività di propaganda (con affissione di volantini, giornali murali e “francobolli propagandistici” nei pressi della fabbriche, nei tram ecc.) – anche dalla lettura dagli articoli de “Lo Stato operaio”, e delle sintesi del Capitale preparate da Sereni21. Durante l’estate 1930 l’organizzazione napoletana fa un ulteriore passo avanti, espandendosi in fabbriche come la SAMSA e le Cotoniere Meridionali. Viene ricostituito il Comitato Federale, formato da tre operai (Panico, Picardi e Rippa), coadiuvati da Sereni e Rossi Doria. Ad agosto si tengono due importanti riunioni. La prima, al lago d’Averno, sempre sotto forma di gita, è un attivo del CF, allargato ai due “capi cellula” dell’ILVA e a Sereni. La seconda, il 31, a Melito, con Rossi Doria, i segretari di cellula e vari operai, vede un dibattito sulla “possibilità di aprire delle lotte”, essendovi “molta insoddisfazione tra gli operai” per le riduzioni di orari e salari22. Relazionando sullo stato dell’organizzazione, Ghita sottolinea che all’ILVA si è arrivati a 27 iscritti (che “sono tutti dei nuovi compagni […] elementi sconosciuti che possono lavorare con una certa facilità”). Un gruppo sindacale potrebbe arrivare a “diverse decine di iscritti”, per cui si è deciso di preparare una Conferenza di officina e realizzare un giornale di fabbrica. Gli iscritti dell’ILVA costituiscono ormai un “settore” dell’organizzazione; un altro è composto dai militanti della Miani & Silvestri e della Precisa. Infine, sono stati presi contatti con alcuni contadini, cui si è fornita anche della stampa23. Anche gli apparati repressivi dello Stato sono in parte consapevoli di questa presenza. Per l’Alto Com – missario Castelli, il PCd’I è “l’unico partito” in grado di “concretare una qualche attività illegale”; una presenza è accertata nel Vesuviano, nella zona di Poz – zuoli e nell’ambiente operaio in genere24. Forte delle delazioni di un informatore, a settembre, il responsabile della squadra politica della Questura, Agnesina, fa arrestare Sereni, Rossi Doria, e 22 operai, molti dei quali sono condannati al confino. Varie cellule sono individuate. Tuttavia alla retata sfuggono diversi quadri, da Rippa a Mazzella, da Amendola al giovane Eugenio Reale, che entra nel Partito proprio a seguito degli arresti25. Gli arresti dunque provocano “uno sbandamento nel lavoro; ma non la cessazione di esso”. Amendola e Rippa riprendono i contatti. Vengono coinvolti militanti poco esposti, come Reale e il dentista Wigdorcik, figlio di un emigrato russo; a Mazzella è affidato il compito di custodire il materiale di propaganda nell’officina in cui lavora, di riattivare il Soccorso Rosso e contribuire alla riorganizzazione delle cellule. Si attiva il Comitato Federale di riserva (con Amendola, Rippa, Mazzella e Reale) e Amen – dola ne assume la direzione26. Nuovi quadri, intanto, cominciano ad emergere, e non solo in ambito operaio. A novembre, all’Uni – versità, Vito Nunziante e Clemente Maglietta contestano un discorso del rettore. Ne seguono una rissa e coi militi fascisti la cacciata di questi ultimi dall’Uni – versità. A seguito di questo episodio, Nunziante e Maglietta vengono contattati da Reale e aderiscono al Partito27. Il 1931 comincia con un’azione vistosa, organizzata dal gruppo di giovani che ruotano attorno a Persiani. Luigi Vittorio, venuto a conoscenza delle agitazioni verificatesi a Milano e Torino dopo l’accordo sulle riduzioni salariali, lancia l’idea di realizzare un enorme striscione che inciti anche gli operai napoletani alla lotta. Lo striscione, con la scritta Lavoratori imitate i compagni di Milano e Torino. Scioperate!, viene esposto nella notte di Capodanno sotto il ponte della Sanità. Per questa azione, sono arrestati, oltre a Vittorio, Alfredo Pasqua ed Eduardo Corona28. Intanto il Partito si riorganizza. Nelle prime settimane dell’anno, un emissario del Centro – probabilmente Domenico Ciufoli – giunge a Napoli per riallacciare i contatti e incontra Amendola alla libreria Detken dove questi lavora. A Rippa chiede di riprendere il lavoro di penetrazione nei luoghi di lavoro, cosa che riesce alle Cotoniere Meridionali, alla Miani (dove il fiduciario è Giorgio Quadro), alla Cen trale Termoelettrica (responsabile Luigi Russo), alla Precisa (con Del Prete) e al Porto. Amendola, Reale e Rippa costituiscono il Comitato federale, assieme al responsabile della stampa e propaganda, Wigdorcik29. Ben presto un forte segnale di lotta giunge proprio dalle operaie delle Cotoniere Meridionali, che già nell’estate avevano cominciato a riorganizzarsi, e a fine febbraio, a seguito della decisione padronale di ridurre i salari del 20% e in presenza di una durissima disciplina interna, attuano una clamorosa rivolta30. Il Partito e la CGdL ad esso legata le dedicano un volantino e un testo che propongono alle “organizzazioni di base per un giornaletto di officina (tessile) e, in mancanza di questo, per un manifestino” 31. L’elemento che viene enfatizzato – oltre alla forza della rivolta – è il fatto che essa si sia conclusa con una vittoria, ossia con la rinuncia ai tagli da parte del padronato. L’organizzazione comunista, che pure non ha promosso l’agitazione, ha comunque una certa presenza tra le operaie, che ad aprile sfocia nella costituzione della cellula32. Allorché 34 lavoratrici vengono licenziate e arrestate, l’organizzazione – dopo una riunione col giovane Pajetta (il “funzionario Nullo”) – decide di diffondere una serie di volantini firmati “La Cellula comunista delle Cotoniere” e “Le operaie comuniste”, che suscitano “grande entusiasmo”33. Una parte dei volantini è lasciata nei pressi della fabbrica; un’altra è sparsa da Vitale all’interno dell’impianto. I testi esortano le lavoratrici a protestare e fermare il lavoro per l’arresto delle loro compagne e ad esigere la libertà di sciopero, a manifestare la loro solidarietà e a sottoscrivere in loro favore. Infine l’invito è ad organizzarsi “nelle cellule del partito comunista” e nel sindacato tessile aderente alla CGdLd’I. Un ultimo volantino è diretto agli operai fascisti, invitandoli ad “aprire gli occhi”34. Intanto è giunto a Napoli un altro emissario del Centro, Enrico Callegari, che annuncia ad Amen – dola il prossimo congresso (a Colonia) e gli consegna il materiale preparatorio. Lo stesso Amendola è delegato a rappresentare il partito napoletano, cosicché a fine marzo espatria, lasciando le consegne a Rippa, coadiuvato da Reale e Mazzella35. Anche nel circondario si registrano ulteriori passi avanti; a Ponticelli, da sempre comune “rosso”, si è consolidato un buon gruppo, che fa capo all’ex sindaco Gabriele Cirillo. Il Comitato Federale, presente l’inviato del Centro Gino Menconi, elegge quindi segretario Eugenio Reale, il cui ambulatorio, gestito assieme al collega Vincenzo Catalano, diviene il pun – to di riferimento del nucleo dirigente. Reale ha buoni collegamenti coi tranvieri, mentre a Maglietta è affidata l’organizzazione dei giovani (incarico per il quale incontra Pajetta, che gli suggerisce di lavorare “esclusivamente tra gli operai”)36. A maggio il Partito napoletano stampa il primo numero del suo Bollettino e altrettanto fa la Fede – razione giovanile. Nel Bollettino del Partito si dà conto del IV Congresso, ma anche di uno sciopero avvenuto alla Miani, dove si intende promuovere un “giornale di officina” e una conferenza di fabbrica37. Il foglio della FGC affronta invece la questione dei giovani. Questi ultimi sono influenzati dall’educazione fascista, per cui occorre fornire loro gli strumenti di una diversa formazione politica. Quella giovanile, si scrive, è “la più importante questione che il partito affronta a Napoli”38. Poco dopo, giungono le direttive della segreteria nazionale della FGCI, che esortano al “reclutamento” nelle grandi fabbriche”, ma anche al lavoro di “disgregazione nelle organizzazioni avversarie” e all’agitazione antimilitarista fra i soldati di leva39. La FGC napoletana si mette subito al lavoro, e a metà giugno pubblica il primo numero del giornale “Falce e Martello”40. Questo, peraltro, non è l’unico foglio redatto dai comunisti napoletani. Accanto ad esso ci sono “L’Operaio Bolscevico” (dei lavoratori dei Bacini e Scali) e “La Scintilla”, “organo del gruppo sindacale clandestino della Società Meridionale di Elettricità”, mentre un altro foglio viene realizzato per i contadini e si diffondono anche “l’Unità” e “La Riscossa”41. Intanto, alla Centrale Termoelettrica i bassi salari e la minaccia di licenziamenti accrescono il malcontento dei lavoratori, cosicché in una riunione del Comitato federale cui partecipa anche Gino Men – coni, si decide di promuovere “una forte azione sindacale”. A vari operai viene inviata “La Scintilla”42, e in un articolo si annuncia la nascita di un “gruppo sindacale clandestino” nella SME, esortando ad aderirvi43. Poco dopo, la SME decide il licenziamento di 17 operai. A questo punto scatta l’azione propagandistica nell’impianto, con lancio di volantini in cui si chiede la riassunzione di tutti i licenziati. A fine giu gno vengono fermati Russo e Rippa, e nei giorni seguenti sono arrestati Reale, Catalano e altri undici militanti; lo stesso Menconi viene individuato come emissario del Partito44. Gli arrestati riescono però a pre servare l’identità di quadri come Mazzella, Wigdorcik, Maglietta, o come il prof. Bonfante e lo sca ricatore Pasquale Juliano. Gregorio Nunziante, prima di essere arrestato, riesce a trasmettere lo sche – ma dell’organizzazione a Wigdorcik e Mazzella, che se ne servono per riprendere i contatti con le cellule45. Attorno ai quadri superstiti, dunque, si riattiva il tessuto organizzativo, e a fine mese si annuncia al Centro del Partito che “il lavoro qui procede regolarmente in tutte le cellule”. Il nuovo punto di riferimento diviene la casa di Bonfante46. Di lì a poco, si costituisce un nuovo Comitato Federale, quasi tutto composto da operai: Juliano ed “Eduardo” del Porto; Bianchi, Leva e Starita dei Bacini; Forgione della Miani. Juliano ne è il coordinatore, mentre Leva è responsabile della stampa, Eduardo della cellula dei Bacini, Bianchi di quella del Porto, Starita della “cellula di Strada”, Forgione della Miani. Nuovi terreni di lavoro politico appaiono quelli dei tassisti e dei lavoratori dell’Arsenale, oltre all’attività sindacale in genere e alla “penetrazione nelle organizzazioni avversarie” 47. Una nuova fase dell’organizzazione comunista napoletana sta per aprirsi. Nel 1932 è il funzionario Giovanni Premoli a ristabilire il contatto col Partito. L’anno seguente, in occasione del processo a 150 antifascisti, la sezione avvia un lavoro di agitazione e propaganda cui seguono circa 60 arresti. Nel 1934, il lavoro organizzativo riprende, soprattutto ad opera di Rippa. Importanti lotte rivendicative, basate sulle condizioni concrete dei lavoratori, saranno promosse negli anni seguenti da Salvatore Cacciapuoti alla Cisa Viscosa e alla Somiglio-Montecatini, e il suo gruppo operaio riuscirà a coordinarsi con gli intellettuali facenti capo all’avvocato De Ambrosio, altro quadro instancabile. La direttiva entrista, la guerra di Spagna e la politica dei fronti popolari avranno le loro ricadute anche sull’organizzazione napoletana. Molto attivo sarà ancora Reale, e una nuova fase si aprirà con lo scoppio della guerra48. Quando dunque, nel 1943, i Reale, i Cacciapuoti, i Picardi torneranno a Napoli, liberati dal carcere o dal confino, non saranno certo funzionari “calati dall’alto”, ma quadri politici tra i più attivi – assieme ai Rippa, ai Mazzella, ai Quadro, ai Carlo Rossi e a molti altri – nel dirigere i comunisti napoletani negli anni precedenti.

Note

1 Ho avuto modo di occuparmi di questo argomento svolgendo una ricerca per il centenario della CGIL, pubblicata in Fascismo e lavoro a Napoli. Sindacato corporativo e antifascismo popolare, a cura di G. Chianese, Roma, Ediesse, 2006, col titolo L’antifascismo operaio e popolare napoletano negli anni Trenta. Dissenso diffuso e strutture organizzate.

2 N. De Ianni, Operai e industriali a Napoli tra Grande guerra e crisi mondiale: 1915-1929, Genève, Librairie Droz, 1984, pp.362-373, 488-496, 546-554.

3 N. De Ianni, Conversando con Giorgio Amendola sul periodo napoletano (1926-1931), “Bollettino dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza”, dicembre 1980; Id., Una scuola di vita. Funzionari comunisti tra partito e società, Napoli, 1983, p. 41.

4 M. Rossi Doria, La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905- 1934, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 178-188; F. Panico, Lettera a Rippa, in Archivio dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza (AICSR), Biografie Comunisti Napoletani (BCN), b. 2, f. 3.

5 G. Rippa, Il contributo dei comunisti alla lotta antifascista, in AICSR, Piccoli Fondi, Carte Rippa, b. 27, f. 35, pp. 8-10; Rossi Doria, La gioia tranquilla…, cit., pp. 197 s.

6 N. De Ianni, Partito comunista e movimento operaio a Napoli. 1921-1943. Problemi metodologici e ipotesi di lavoro, “Italia contemporanea”, settembre 1979, n. 136, p. 23.

7 G. Cerchia, Giorgio Amendola. Un comunista nazionale. Dall’infanzia alla guerra partigiana (1907-1945), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 197 s.

8 Rossi Doria, op. cit., pp. 189-196

9 Gaetano Marino, Dalle Memorie di un comunista napoletano, in AICSR, BCM, b. 3, f. 5, Carte Marino, pp. 347 s.

10 P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. IV, Gli anni della clandestinità, Roma, l’Unità Editrice, pp. 238 s., 288.

11 Ivi, pp. 287-290; G. Amendola, Storia del Partito comunista italiano 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 189.8

12 Ivi, pp. 178-181; Spriano, op. cit., pp. 238-261.

13 De Ianni, Partito comunista e movimento operaio…, cit., p. 23; Rossi Doria, op. cit., pp. 196 s.

14 Rapporto di Ghita su viaggio a Roma e Napoli, in Fondazione Istituto Gramsci (IG), Archivio del Partito Comunista Italiano (APC), Archivio Mosca (AM), Fondo 513, I Inventario, f. 877.

15 Ghita, Rapporto sul viaggio fatto per la preparazione del 1° Maggio, ibidem.

16 G. Rippa, Il contributo dei comunisti alla lotta antifascista, in AICSR, Piccoli Fondi, Carte Rippa, b. 27, f. 35, pp. 8-11; L. Mazzella, Ricordi di lavoro del Partito comunista italiano a Napoli negli anni 1928-1943, in AICSR, BCN, b. 2, f. 3, pp. 1 s.; N. De Ianni, Gli operai dell’ILVA e i comunisti napoletani nella lotta antifascista del 1929-30, “Bollettino dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza”, maggio 1983, p. 56; Rossi Doria, op.cit., pp. 198 s.

17 R. Spadafora, Un popolo al confino. La persecuzione fascista in Campania, Napoli, Athena, 1989, vol. I, pp. 98, 201, 313, 342, 391-393; AICSR, Piccoli Fondi, Carte Picardi; M. Iaccarino, Una storia semplice. Giovanni Marino, “Bollettino Flegreo”, giugno 2005, pp. 39-46.

18 Rossi Doria, op. cit., p. 198.

19 De Ianni, Partito comunista e movimento operaio…, cit., p. 35; G. Rastelli, Intervista a Gregorio Pedone, in La Campania dal fascismo alla Repubblica, vol. I, Società e politica, a cura di P. Salvetti, Napoli, 1977, pp. 191 s.

20 Rapporto di Ghita su viaggio…, cit.; S. Cacciapuoti, Storia di un operaio napoletano, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 29-33.

21 Rossi Doria, op. cit., pp. 198 s.

22 [Ghita], Relazione sulla situazione a Napoli, in IG, APC, AM, Fondo 513, I, f. 877; Rippa, Il contributo…, cit., p. 11; Rossi Doria, op. cit., p. 199; De Ianni, Gli operai dell’ILVA…, cit.

23 [Ghita], Relazione sulla situazione a Napoli, cit.

24 Archivio centrale dello Stato (ACS), Direzione generale di Pubblica sicurezza (PS), Divisione Affari generali e riservati (AGR), 1930-31, Movimento Antifascista, b. 348.

25 Ivi, Associazioni 1912-1947, b. 224, f. 466; Rossi Doria, op. cit., pp. 208-211; Spadafora, op. cit., pp. 69 s., 200 s., 207 s., 280, 313 s., 342, 368, 391, 393, 409, 451; Rippa, Il contributo…, cit., pp. 11 s.

26 Mazzella, Ricordi di lavoro…, cit., pp. 2 s.; Rippa, Il contributo…, cit., pp. 12 s.; Rapporto del compagno Russo, in IG, AM, Fondo 513, I, f. 979; De Ianni, Gli operai dell’ILVA…, cit.; Cerchia, Giorgio Amendola…, cit., p. 211.

27 De Ianni, Una scuola di vita…, cit., pp. 93-100; G. Bucco, La manifestazione antifascista degli universitari napoletani del novembre 1930, Napoli, 1971.

28 G. Persiani, Lettera ad Antonio Cafasso, 11.6.1971, in AICSR, Fondo BCN, b. 2, f. 3; Gaetano Marino, Nota sull’esposizione della bandiera rossa sul ponte della Sanità il 1° gennaio 1931, in Archivio storico della CGIL Campana, Fondo “Lavoratori a Napoli dall’Unità d’Italia al secondo dopoguerra”, b. 164; ACS, PS, AGR, Associazioni 1912-1947, b. 224, f. 466; Spadafora, op. cit., pp. 145 s., 527.

29 Cerchia, op. cit., p. 214; ACS, PS, AGR, 1930-31, b. 429; Rapporto del compagno Russo, cit.

30 Grande sciopero tessile vittorioso a Napoli, “Battaglie Sindacali”, maggio 1931, n. 3.

31CGdL, PCd’I, Le operaie tessili di Napoli insorgono violentemente contro la riduzione dei salari e mettono in fuga militi e carabinieri a colpi di pietre, in IG, AM, Fondo 513, I, f. 979; Napoli, marzo 1931, ibidem.

32 ACS, MI, PS, AGR, 1930-31, b. 429.

33 Rapporto Claudio – agosto 1931, in IG, APC, AM, Fondo 513, I, f. 877.

34 ACS, MI, PS, AGR, 1930-31, b. 429.

35 G. Amendola, Un’isola, Milano, Rizzoli, 1980, pp. 11-13; Cerchia, op. cit., pp. 214 s.; Rapporto Claudio…, cit.; Rapporto, 31 luglio 1931, ivi, f. 979; Rapporto del compagno Russo, cit.

36 Spadafora, op. cit., p. 476; Rippa, Il contributo…, cit., p. 14; De Ianni, Una scuola…, cit., pp. 98-100; C. Maglietta, N. 4708. Dal penitenziario alla libertà, in AICSR, Fondo Maglietta, b. 1, f. 1, pp. 42 s.

37 Gli insegnamenti di uno sciopero, “Bollettino della Federazione di Napoli del Partito Comunista d’Italia”, maggio 1931, in ACS, MI, PS, AGR, 1930-31, b. 429.

38 B. Libero [C. Maglietta], Un equivoco, “Bollettino della Federazione Giovanile Comunista Napoletana”, maggio 1931, ibidem.

39 La Segreteria della FGCd’I, Al Comitato Federale del P. e al responsabile per il lavoro giovanile dell’organizzazione di Napoli, giugno 1931, ibidem.

40 Relazione del compagno Pisacane sull’azione da lui svolta nella Federazione di Napoli, agosto 1931, in IG, APC, AM, Fondo 513, I, f. 979.

41 Cfr. il Rapporto Claudio…, cit.

42 Rippa, Il contributo…, cit., p. 16; Mazzella, Ricordi di lavoro…,cit., p. 3.

43 Ai compagni della sezione Approvvigionamento e della centrale “M. Capuano”, “La Scintilla. Organo del Gruppo sindacale clandestino della Società Meridionale di Elettricità”, giugno 1931, in ACS, MI, PS, AGR: Stampa italiana sovversiva, b. 71, f. 275.

44 Rapporto del compagno Russo, cit.; Rippa, Il contributo…, cit., p. 16; ACS, MI, PS, AGR, 1930-31, b. 429.

45 Rapporto del compagno Russo, cit.; Rapporto, cit.

46 Mazzella, Ricordi…, cit., p. 4; Rapporto, cit.; Tito [G. Bonfante], Relazione sulla mia attività nella città di Napoli nel 1930-31, in IG, APC, AM, Fondo 513, I, f. 979.

47 Rapporto del compagno Russo, cit.; Rapporto Claudio…, cit.; Tito, Relazione sulla mia attività…, cit.; Relazione del compagno Pisacane…, cit.

48 A. Höbel, , cit., pp. 178, 184 s., 196 s., 202, 216-219, 266-269.