Tunisia. Per una rivoluzione democratica nazionale antimperialista

traduzione di Andrea Catone per l’Ernesto

Baudouin Deckers, del Partito dei Lavoratori del Belgio (PTB) intervista Hamma Hammami, portavoce del Partito Comunista Operaio della Tunisia (PCOT). Arrestato più volte sotto la dittatura di Ben Ali per la sua opposizione, è oggi una delle figure più in vista della rivoluzione tunisina

L’obiettivo della rivoluzione è democratico-nazionale: ci si può liberare della dittatura, espressione della borghesia compradora, solo riacquistando l’indipendenza economica dalle multinazionali, nazionalizzando i settori strategici.

D. Le rivoluzioni e le grandi manifestazioni nel mondo arabo fanno soffiare una ventata di ottimismo in tutto il mondo. Che significa per voi questo movimento iniziato nel vostro paese?
R. Si tratta di una grande rivoluzione, sia nei paesi arabi che in altri paesi della nostra regione. Altri popoli possono imparare qualche lezione da questa rivoluzione.
In primo luogo, il popolo tunisino fatto la rivoluzione, basandosi sulle proprie forze. In molti paesi arabi, qualcuno sosteneva di non poter fare una rivoluzione contro dittature come quella di Ben Ali, senza il sostegno della Francia, degli Stati Uniti o di altre forze straniere. Il nostro popolo ha mostrato che, contando sulle proprie forze, si può deporre un dittatore Ben Ali, forte di un apparato di sicurezza enorme.
Inoltre, il popolo tunisino ha fatto questa rivoluzione in una unità quasi totale. Per più di un mese, non abbiamo sentito una sola parola d’ordine religiosa, che avrebbe potuto dividere il popolo tunisino. Il popolo tunisino si è unito intorno alle sue aspirazioni democratiche, economiche e sociali.

D. Per voi, questa rivoluzione non è finita. Perché?
R. La rivoluzione è ancora in corso. Essa non ha ancora raggiunto davvero i suoi obiettivi democratici e sociali. Ha sconfitto un dittatore, ma non ha ancora sconfitto la dittatura. La polizia politica, il pilastro principale della dittatura, è ancora lì, e molto attiva d’altronde. Il parlamento è ancora lì. Si tratta di un parlamento fantoccio, perché occorreva l’accordo di Ben Ali perché potesse riunirsi. Il Presidente ad interim è un membro del partito di Ben Ali, molto vicino a lui. Il governo è ancora guidato dal primo ministro di Ben Ali, Mohammed Ghannouchi1 e i suoi ministri vengono dalla stessa cerchia. Gli alti funzionari, corrotti, continuano a tenere i loro posti. La Costituzione ha reso possibile la dittatura, ed è ancora immutata. La dittatura ha fatto passare innumerevoli leggi anti-democratiche e anti-sociali per proteggersi, e sono tutte ancora in vigore. Nelle mani del governo attuale, tutte queste leggi e le istituzioni possono nuovamente essere utilizzate contro il popolo. Il regime di Ben Ali è quindi ancora in vigore. Ecco perché il movimento popolare continua, nonostante le promesse del governo attuale. Esso richiede lo scioglimento del governo attuale. Rifiuta governi “rimaneggiati”, come quello che abbiamo adesso. Il partito al governo precedente, il RCD (Raggruppamento Costituzionale Democratico), che è stato fino al 18 gennaio scorso membro dell’Internazionale socialista, ndr), deve essere realmente disciolto.
No, non si può dire che la rivoluzione sia terminata. Non ha ancora sconfitto le forze reazionarie. Esse sono ancora lì, ma indebolite. Dobbiamo continuare questa rivoluzione con grande determinazione, ma anche con grande senso tattico per preservare l’unità del popolo tunisino e non cadere nelle divisioni che potrebbero avere un impatto molto negativo sul corso di questa rivoluzione, cui i popoli del mondo arabo guardano con grande speranza.

D. Alcuni presentano la rivoluzione in Tunisia come un evento spontaneo …
R. Sbagliato. Lo dicono per screditare e negare il ruolo delle forze rivoluzionarie e progressiste nell’opposizione, in questi ultimi anni. È anche un modo per dire che dobbiamo cercare una via d’uscita per questa rivoluzione con il precedente partito al governo, per dire che i politici tradizionali sono costretti a riprendere la guida di un movimento perché esso non ce l’ha. Questo movimento è stato spontaneo solo nella misura in cui non è stato organizzato a livello nazionale. Non aveva una direzione unica, un programma comune. Ma questo non significa mancanza di consapevolezza e mancanza di organizzazione.
La coscienza esiste, perché gli attori di questo movimento sono principalmente militanti di sinistra, progressisti, sindacalisti, attivisti dei diritti umani. Sono giovani laureati disoccupati che appartengono al movimento studentesco. Il nostro partito è qui, le nostre forze sono presenti. Gli islamisti, per contro, non hanno realmente partecipato. Ecco perché, in questa rivoluzione, non c’è nessuna parola d’ordine religiosa. Anche se a livello politico gli islamisti hanno sostenuto il movimento.
A livello organizzativo gli attivisti si sono rapidamente organizzati in comitati. Sin dal primo giorno di questa rivoluzione c’è stato in alcuni villaggi un vuoto di potere reale. Insieme con i democratici, quindi, abbiamo chiesto alle persone di organizzarsi. Cosa che hanno fatto nei villaggi e nelle regioni, a volte in riunioni, che si chiamano “assemblee popolari” o “assemblee di salvaguardia della rivoluzione”, a volte in comitati o in leghe, dipende. Qui a Tunisi, le persone si sono organizzate in comitati popolari o in comitati di quartiere. Hanno scelto i loro dirigenti tra i militanti più attivi durante la rivoluzione. La struttura è ancora debole e poco sviluppata. Non esiste ancora una vera e propria centralizzazione nazionale. Ma a poco a poco questi comitati si sono trasformati in comitati per discutere la situazione e il futuro, e ciò che la popolazione può fare.

D. Il “Fronte del 14 gennaio” è stato costituito poche settimane fa. Chi troviamo in esso? Qual è il suo programma o che cosa esso rivendica?
R. A livello politico, la sinistra è riuscita ad unirsi in un fronte chiamato “Fronte del 14 gennaio” in riferimento al giorno della fuga di Ben Ali. La sinistra ha un peso innegabile nel nostro paese: sia a livello politico o sindacale, che tra i giovani o nel movimento delle donne, o dei diritti umani o nel movimento culturale. Questo fronte si è raccolto intorno a parole d’ordine e rivendicazioni popolari. Vi è quindi la richiesta di scioglimento del governo, di scioglimento del partito al potere. Il Fronte richiede inoltre la formazione di un governo provvisorio, formato da elementi che nulla hanno a che fare con il regime di Ben Ali, il suo partito, la dittatura. Questo governo provvisorio avrebbe il compito essenziale di preparare le elezioni per una Assemblea Costituente, che dovrà redigere la Costituzione, le istituzioni, le leggi fondamentali di una Repubblica Popolare Democratica cui aspira il popolo tunisino.
Siamo uniti anche su una piattaforma economica e sociale, perché riteniamo che la dittatura avesse una base economica e sociale, una borghesia compradora [una borghesia che si arricchiva grazie ai suoi legami con le multinazionali straniere, ndr] che saccheggia la Tunisia in collaborazione con imprese e società francesi, italiane, spagnole, portoghesi, belghe. Noi vogliamo non solo la democrazia politica, ma anche una democrazia sociale, perché crediamo che la rivoluzione in corso sia una rivoluzione democratica e nazionale, una rivoluzione popolare che deve preparare i cambiamenti fondamentali per tutta la società tunisina in futuro.
Il Fronte del 14 gennaio ha tenuto sabato 12 febbraio il suo primo importante incontro pubblico presso il Palazzo dei Congressi di Tunisi. Con grande successo, di gran lunga superiore alle nostre aspettative. La mobilitazione ha richiesto tre o quattro giorni appena. Più di 8.000 persone si sono radunate, molti non sono riusciti a entrare. Mai vista una cosa così.

D. L’11 febbraio è stato formato un comitato molto più grande.
R. Sì, un incontro presso il Consiglio Nazionale Forense ha riunito i rappresentanti di 28 organizzazioni. Quasi tutta l’opposizione a Ben Alì, salvo due partiti che sono entrati nel governo di Ghannouchi. Oltre alle 10 organizzazioni del Fronte del 14 gennaio, la centrale sindacale unica UGTT, il partito islamista Ennadha, associazioni degli avvocati, degli scrittori, dei giornalisti, l’Unione degli Studenti Tunisini e altre ancora. Tutti sono d’accordo sulle proposte per l’istituzione di un “Consiglio nazionale per la difesa della Rivoluzione”. La piattaforma non va così lontano come il Fronte del 14 gennaio, dal momento che non richiede lo scioglimento di questo governo. Alcune forze come UGTT hanno accettato questo governo. Ma i 28 firmatari esigono che il “Consiglio nazionale” abbia il potere di prendere decisioni su tutte le leggi e le misure in preparazione di nuove elezioni, per garantire che esse siano veramente democratiche e si svolgano in totale libertà. Essi rivendicano il diritto di controllare tutte le decisioni del governo, nonché l’obbligo di sottoporre all’approvazione del Consiglio nazionale tutte le nomine ai posti direttivi. I firmatari chiamano la popolazione di tutte le regioni e le località a formare Comitati per la Salvaguardia della Rivoluzione e la UGTT mette tutte le sue strutture a loro disposizione. Questi comitati saranno rappresentati nel Consiglio nazionale.

D. Quindi si raccolgono qui le varie classi e strati della popolazione che erano e sono contrari alla dittatura. Perché questo percorso corrisponde al carattere di questa rivoluzione, che chiamate nazionale e democratica?
R. Dai tempi di Annibale questo paese non ha mai conosciuto la democrazia. Né i contadini, né i piccoli commercianti, né gli artigiani o i piccoli produttori, né i professori o gli istitutori. Tutte queste persone aspirano soprattutto alla democrazia, , insieme con i lavoratori. Dobbiamo essere coscienti. Cerchiamo di unire il popolo intorno a un unico compito: porre fine alla dittatura. Cerchiamo di evitare ogni divergenza tra le forze popolari, che potrebbe essere sfruttata dalla reazione. Abbiamo concordato con gli islamici e con le altre forze di preservare l’unità del popolo tunisino e non cadere in lotte di parte.
Ma questa rivoluzione è anche una rivoluzione nazionale. Le persone si rendono conto che l’elite borghese corrotta è di natura compradora: saccheggia il nostro paese a beneficio di società straniere. Queste cercano di produrre a buon mercato per l’esportazione di questi prodotti verso i loro mercati, non per soddisfare le esigenze della società tunisina. L’ingerenza delle potenze europee e degli Stati Uniti deriva tra l’altro dal fatto che essi vogliono proteggere a tutti i costi le loro multinazionali. Abbiamo bisogno di un piano di industrializzazione in base alle esigenze del nostro popolo. Questo è quello che vuole la gente. Il Fronte del 14 gennaio rivendica la costruzione di un’economia nazionale al servizio del popolo, i cui settori vitali e strategici siano sotto la supervisione dello Stato.

D. Lei è il portavoce di un partito comunista. Che ne è di una prospettiva socialista in Tunisia?
R. Una rivoluzione socialista non è all’ordine del giorno oggi. Sì, come marxisti crediamo che alla fine occorrerà passare al socialismo. Sarà necessario per evitare di essere catturati nella rete del capitalismo mondiale, tenuta da grandi società multinazionali statunitensi e di altri paesi. Questo è anche l’unico modo per porre fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma questo modo di pensare non è ancora ampiamente condiviso da tutti qui. Non possiamo procedere troppo velocemente.
Bisogna tenere conto dei rapporti di forza politici. La classe operaia è in ritardo rispetto al livello di coscienza e di organizzazione. Il movimento comunista è ancora piuttosto debole nel nostro paese, anche se ha fatto molti progressi. Le altre classi sono abbastanza presenti attraverso il campo liberale, il campo islamista … Quindi non bisogna fare passi falsi.
Attraverso questa rivoluzione, si possono nondimeno gettare le prime basi del socialismo a livello economico. Quindi, siamo per la nazionalizzazione delle grandi imprese a vantaggio dei lavoratori. Come detto sopra, questo è richiesto già un punto di vista del recupero della nostra indipendenza. Non abbiamo intenzione di nazionalizzare per dare profitti ad una borghesia di stato [una classe che si arricchirebbe alla testa del nuovo Stato, ndr]. La classe operaia deve essere in grado di dirigere queste imprese in modo democratico.
Ma questo non si applica a tutti i settori dell’economia. Spaventeremmo i piccoli commercianti, gli artigiani, i piccoli imprenditori di tante botteghe presenti nel nostro paese, li monteremmo contro la rivoluzione.
E, soprattutto, bisogna pensare ai contadini. I contadini qui sono molto diversificati. Non sono organizzati e accusano in generale un notevolissimo ritardo nella presa di coscienza. Alcune regioni sono più avanzate, dove ci sono lavoratori agricoli, che sono divenuti talora contadini poveri. Hanno ricevuto appezzamenti di terra, ma non li lavorano per mancanza di mezzi. Essi vedrebbero la collettivizzazione come una soluzione positiva. Ma ci sono anche regioni in cui gli agricoltori hanno chiesto per decenni la terra di cui si sono appropriati i grandi capitalisti, ma che nondimeno lavorano. Parlare di collettivizzazione ricorderebbe loro immediatamente il saccheggio della loro terra negli anni ’60. Crediamo che si possa passare gradualmente e in modo diversificato al socialismo, pur mantenendo la più grande unità del popolo e nella misura in cui la sua esperienza lo porta a vederne l’utilità e la necessità. Non vi è uno schema unico. Ma c’è un unico obiettivo, il socialismo.

* «Nous avons vaincu le dictateur, pas encore la dictature» dal sito: http://www.ptb.be/nieuws/artikel/hamma-hammami-on-a-vaincu-le-dictateur-pas-encore-la-dictature.html. Trad. A.C.

1. L’intervista è stata rilasciata prima del 27 febbraio, quando dietro la pressione popolare, il primo ministro tunisino si è dimesso.