Il caso Parma, speculazione finanziaria e terziarizzazione

Il caso Parmalat è stato significativo in questo: chi restava oggettivamente interessato a generare un buon sistema di lavoro- produttivo e di qualità erano i lavoratori, mentre la dirigenza era interessata principalmente a borsa e finanza, trasformando l’azienda in mezzo di speculazione. Dopo Parmalat, già nei primi anni 2000, dal territorio se ne andavano Zafferri Industrie Tipografiche e la più nota STAR, aziende dai bilanci in attivo. Ad esse non bastava la “normale” ricchezza generata dalla produzione industriale: ben più rapida e meno complicata da gestire era la speculazione sulla vendita dei terreni degli edifici aziendali.

L’elenco su questa scia sarebbe piuttosto lungo. Particolarmente significativo è il caso della Bormioli Rocco (industria storica a Parma insieme alla Bormioli Luigi del settore vetrario). La dirigenza dapprima usufruisce della cassa integrazione e dell’aiuto delle istituzioni, ventilando un imminente crollo, poi ottiene di trasferire tutto il complesso, logistico e produttivo, dalla città alla provincia, prospettando una “inevitabile” ristrutturazione con perdita di posti di lavoro. Subentra una cordata di banche e rientrano dalla finestra i maggiori azionisti stessi all’interno della nuova società: i titoli volano con i profitti, ma la produzione è sostanzialmente dimezzata e i lavoratori sono a spasso.

Oggi a distanza di 10 anni da quella fase i dati danno una mappatura stabile della presenza di quelle industrie (a differenza della desertificazione che si ipotizzava) e il loro profitto è in costante aumento, ma anche a Parma si parla di cri.

Settore fortemente in crescita, a Parma è quello del terziario e commercio (ormai più rappresentativo di quello del tessile), centri commerciali e logistiche di smistaggio merci proliferano a dismisura, queste merci si muovono e si devono muovere, ad ogni costo. Anche qui vige la virtualità, non esiste una ricchezza capace materialmente di creare una domanda pari alle merci in circolazione e allora si fa appello ai finanziamenti e alle vendite sottocosto. L’aumento del numero di lavoratori nel settore del terziario è esemplificativo di quanto sta accadendo: scema nell’industria il numero di lavoratori occupati e il loro inquadramento contrattuale in termini di diritti e tutele. Le strutture rimangono, ma con mano d’opera assunta ridotta o esternalizzata (significativo è il recente caso della Sidel, anch’essa passata prima dalla cassa integrazione). È così che spesso questi lavoratori si ritrovano catapultati proprio nel terziario, teatro esemplare di precarizzazione e scarnificazione dei diritti e ottimo laboratorio di riferimento per i contratti anche di altre categorie (la riforma contrattuale del governo prende molti spunti proprio dal contratto del terziario). Essere catapultati nel terziario può significare molte cose, dal lavorare in un centro commerciale (Coop, Esselunga o Conad che sia) a 600/800 euro mensili o addirittura essere inquadrati, attraverso un centro multiservizi, in una struttura (anche pubblica) a svolgere mansioni pagate la metà di quello che sarebbe stato sotto tutela di un contratto realmente inerente a quella mansione (in questo scatta un giochino perverso anche nella nostra città tra amministrazioni, cooperative e centri servizi s.r.l. o s.n.c.). In sostanza le notizie di questi giorni parlano chiaro e riassumono molto bene tutto il concetto: secondo il FMI inizia la ripresa (alla luce di tutte le “ristrutturazioni” di cui prima), ma l’OCSE, sempre in questo scenario, ipotizza un incremento del 10,5% della disoccupazione (questa è la proporzione anche per la provincia di Parma).

La ricetta che si vuole imporre è la destrutturazione dell’impianto socio-economico per i lavoratori e un lavoro somministrato a modo di elemosina. Persino l’etica è diventata un prodotto a favore dei profitti: Barilla oggi fa marchio anche dei suoi rapporti democratici con lavoratori e sindacati (che tali sono solo se si fa come dice l’azienda: questo quanto uscito dall’ultima vertenza). Le caratteristiche di Parma (come molte città di provincia) possono facilitare questa impostazione, una città piccola, dove i giornali fanno propaganda (e sono proprietà degli industriali stessi), una quotidianità che cerca una pace sociale fittizia sino all’ultima possibilità, una gran voglia di essere salotto e di mascherare la crisi che anche qui c’è: le vetrine prima o poi si incrinano,. Ad oggi prosegue la lotta dei lavoratori della SPX di Sala Baganza (PR), un’azienda di macchine di misurazione di proprietà americana (con ottimo bilancio) che la proprietà vorrebbe trasferire in Germania. I lavoratori stanno portando avanti da settimane un ottimo presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica, e dove non hanno risposto le istituzioni ha risposto tutto il paese e la provincia con una fantastica giornata di festa musica e dibattiti. Anche a Parma prima o poi si manifesta la contraddizione capitale/lavoro.