Uomini e scimmie. Darwin: una “ferita narcisistica”…

*Docente di Filosofia nei Licei scientifici

“Come Darwin ha scoperto la legge di sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge di sviluppo della storia umana” [F. Engels, 1883].150 anni fa usciva L’Origine della specie di C. Darwin, un libro destinato a cambiare non solo un’ipotesi scientifica, ma la concezione del mondo. Al pari di Marx, che la cultura borghese dominante cerca invano di rimuovere e cancellare, anche Darwin continua ad essere sottoposto ad attacchi violenti e demolitori proprio nel paese cardine del capitalismo contemporaneo, negli USA, con riflessi anche tra qualche reazionario e maldestro imitatore italiano, che decide di metterlo al bando nelle scuole.

IL QUADRO DELLE SCIENZE NELL’800

Nel 1800, l’universo scientifico, fino ad allora rimasto unitario sotto la dittatura ed autorità della matematica e fisica classica, esplode ed i bagliori di questo big-bang illuminano la lunga notte borghese. Dai frammenti nascono decine e decine di scienze, ognuna delle quali porta un proprio corredo sperimentale e raggiunge il proprio statuto epistemologico. Il comune denominatore di queste scienze è la legge dell’evoluzione, buona a spiegare non solo le scienze della natura, ma anche le scienze umane, dalla storia delle galassie, dal verme , all’uomo, alla società. Trionfa una nuova Weltanschauung, quella della classe dominante borghese , ma dal mondo della scienza emanano luci ed ombre, inquietudini di una classe, la borghesia che, pur essendo ben stabilizzata al potere, non può riposare sugli allori di un rassicurante, astorico meccanicismo con cui dalla rivoluzione scientifica seicentesca in poi aveva spiegato l’universo attraverso le categorie del determinismo, del riduzionismo, della predicibilità, della reversibilità.

IN CRISI LA CATEGORIA DI REVERSIBILITA’

Nella melassa ottocentesca, alcune scienze neonate faranno cadere alcune gocce di amaro pessimismo che ricorderanno all’uomo che per spiegare il mondo è insufficiente la categoria della reversibilità (il tempo può essere percorso in un verso o nell’altro), ma che tutto ciò che succede in natura è irreversibile. Ora, la dimensione della “prospettiva storica” viene introdotta nella spiegazione della natura sul cui viso le dita del tempo lasciano delle tracce e ciò che succede è irreversibile (freccia del tempo). La reversibilità viene ora soppiantata dalla irreversibilità. Lord W. T. Kelvin (1824-1907) sostiene che nella natura c’è una tendenza universale alla degradazione e dissipazione dell’energia; R. Clausius (1822-1888) individua nella”entropia” un metro per misurare il disordine, la mescolanza di un sistema termodinamico. Il tempo trascorre e non è più possibile tornare indietro, l’energia è indistruttibile, ma non è perennemente disponibile, l’energia meccanica si converte in quella termica, ma questa, pur conservandosi, si degrada e non è possibile utilizzarla. Maxwell con la meccanica statistica misurava i moti disordinati delle molecole e la tendenza della natura alla dissipazione. Ora si faceva strada l’idea preoccupante che dall’ordine si potesse arrivare al disordine! Gli elementi forniti dalla termodinamica capovolgevano la teoria classica (dal poeta Esiodo che nella Teogonia diceva:”dapprima ci fu Caos e la Terra dall’ampio seno e poi venne Eros che tra gli dei è il più bello”) e tutte quelle che nel corso dei secoli, dalla Bibbia fino all’evoluzionismo , passando per G.W. Hegel avevano fornito una spiegazione ottimistica del mondo come proveniente dal disordine e diretto verso l’ordine. Ora, l’irreversibilità (ecco le gocce di amaro che avevano avvelenato la melassa ottocentesca!), come una Cassandra preannunciava una morte termica dell’universo e diventava un oscuro presagio , una profezia geologica, un’ombra sinistra che si allungava e oscurava l’orizzonte ottimistico della borghesia ottocentesca, che al suono del can-can costruiva canali e ferrovie anatoliche e transiberiane, e viveva parassitariamente staccando cedole delle azioni del canale di Suez o del canale di Panama.

L’UOMO NON E’ PIU’ IL “DIVINO CAMALEONTE”

Il sasso nello stagno era stato ormai gettato e le onde concentriche della “insecuritas” si allargavano sempre di più disorientando il “cuore di tenebra” di un borghesia che scopriva sempre di più la sua vocazione imperialistica, che i suoi intellettuali, veri e propri “commessi del consenso”, giustificavano ideologicamente come missione civilizzatrice e “fardello dell’uomo bianco”1. Fu anche la teoria evoluzionistica di Darwin a gettare un altro sasso nello “specchio delle mie brame” in cui l’uomo occidentale, come Narciso, si era riflesso fino ad allora, scoprendo che l’immagine riflessa era una scimmia. Questo Narciso non si riconobbe più perché fino ad allora aveva creduto di essere il frutto perfetto della creazione divina (così la chiesa e certi ambienti conservatori gli avevano fatto credere con le loro teorie creazioniste-fissiste). Narciso cercò di acchiappare questa nuova immagine scimmiesca affiorata nello specchio tardo ottocentesco per scagliarla lontano, ma essa era lì a tormentarlo, a deriderlo, e a ricordargli che egli non era più il “divino camaleonte” di cui parlava Pico della Mirandola ne La dignità dell’uomo, dignità derivantegli dal fatto di venire al mondo l’ultimo giorno della creazione, quando Dio aveva esaurito tutte le nature specifiche che aveva dato agli altri animali, da cui si distingue perché dotato di natura “generica”, libera e non fissa, per cui può fare di se stesso ciò che vuole. Fu allora che l’uomo occidentale provò la fitta di una di quelle quattro ferite narcisistiche di cui parla S. Freud (rivoluzione copernicana, marxismo, evoluzionismo, psicanalisi). Anche la biologia entrava a pieno titolo nell’universo scientifico separandosi da una generica scienza della vita e fornendo una nuova visione del mondo. La rivoluzione scientifica apriva le porte ad un nuovo modo di concepire la vita e il mondo.

LA TEORIA CREAZIONISTICA FISSISTICA

Imperava allora in campo scientifico Georges Cuvier (1769-1832), fondatore della “paleontologia” che studiava le piante ed animali antichi attraverso i reperti fossili. Egli era un feroce avversario della teoria evoluzionistica ed il capofila della teoria creazionistica-fissistica con cui la chiesa e gli ambienti conservatori spiegavano l’origine dell’uomo. Egli diceva che le specie sono state create fisse da Dio e, quando non ci sono più le condizioni (anche grazie a mutamenti repentini di clima), esse scompaiono e ne compaiono altre. È la teoria catastrofista dei “nettunisti” e “vulcanisti” che attribuivano a grandi catastrofi come il diluvio universale ed eruzioni vulcaniche la scomparsa di alcune specie e la comparsa di altre. Le specie, quindi, per essi sono immutabili. Il creazionismo o anche “progressismo”, spiegava la creazione divina che partiva dal verme per arrivare progressivamente all’uomo, che il creatore volle fare a sua immagine e somiglianza. Il catastrofismo collimava molto bene con la restaurazione culturale seguita alla rivoluzione francese. Si voleva con ciò ripristinare la tradizione biblica: nella progressiva comparsa dei viventi sulla terra si vedeva realizzato il “piano divino” che, in epoche diverse, progressivamente, aveva creato i vari esseri viventi, d a l verme all’uomo. Il progressismo vedeva nei resti fossili non solo la traccia del diluvio universale, ma anche un monito, un ricordo per l’uomo dell’ira divina.

I “TRASFORMISTI”

Di tutt’altro avviso erano invece i “ trasformisti”, tra cui E.G. de S. Hilaire (1772-1844), che nel 1830, contro Cuvier, avviò (perdendolo) all’Accademia delle scienze di Parigi il primo dibattito pubblico tra fissisti e trasformisti. S. Hilaire, al pari di J.-B. Lamarck, dava molto peso all’ambiente per spiegare le modificazioni degli organismi viventi. Messo fuori gioco in Francia, il trasformismo si prese la rivincita in Inghilterra con gli “uniformisti” o “ attualisti”, movimento di cui C. Lyell (1797-1875), amico di Darwin, fu il capofila. Lyell dimostrava che i mutamenti della crosta terrestre potevano essere avvenuti solo come avevano detto Buffon, Lamarck, Hutton, e cioè con le cause “attuali” (erosione dei venti, mareggiate) che attualmente agiscono sulla crosta terrestre per lenta evoluzione. R. Chambers (1802-1871) facendo un mix di lamarckismo e di intuizioni predarwiniane, aggiungeva ai fattori lamarckiani (ambiente) anche la nascita di individui “ anomali”, più facilmente propagatori di fattori che avrebbero creato specie nuove. Il suo libro Vestigia della storia naturale d e l l a Creazione (1844) fece da apripista all’Origine della specie di Darwin.

L’ORIGINE DELLA SPECIE

La prima edizione del celebre libro (il cui titolo completo – e non è secondario – suonava On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life) esaurisce tutte le copie il giorno stesso della sua uscita (24 novembre 1859), segnando non solo la vittoria dell’evoluzionismo, ma anche l’affiorare di spettri e fantasmi dall’ampolla della scienza che – al pari dello “spettro del comunismo che si aggira per l’Europa” del Manifesto del partito comunista d i Marx ed Engels – turberanno non poco le coscienze europee della seconda metà del XIX secolo. Da quel giorno niente fu più come prima nel modo di pensare e di agire e di credere e di rapportarsi a se stessi e agli altri. Non si poteva più rimanere sugli spalti a guardare una partita che si svolgeva senza esclusione di colpi, ma bisognava scendere in campo e “compromettersi”. Un’idea di storicità e dinamismo della natura era già presente in Buffon e D. Diderot nel ‘700. Nell’800 troviamo in Lamarck l’idea di un graduale e progressivo perfezionamento degli organismi culminante nell’uomo, poiché la materia vivente si differenzia in forme sempre più eterogenee e complesse adattandosi però alle circostanze ambientali. I discendenti ereditano anche i frutti degli adattamenti all’ambiente dovuti all’uso e disuso degli organi. Nel 1831 Darwin si imbarca come naturalista sul mercantile Beagle per fare rilevamenti nautici sulle coste dell’America Latina. Arrivato alle Galapagos notò che su queste isole vulcaniche, in condizioni ambientali identiche c’era una infinita gamma di variazioni nella flora e nella fauna. Tartarughe, fringuelli, f a rfalle, pappagalletti, presentavano, nello stesso ambiente, diversissime variazioni. Perciò ripensò ai fattori lamarckiani (ambiente) che non potevano essere gli unici responsabili di queste differenziazioni, visto che l’ambiente era identico. Fondò perciò la sua teoria prima di tutto sulla “lotta per l’esistenza”, che interpretò in chiave non soltanto negativa, ma anche positiva, perché assicurava caratteri capaci di rendere le specie più adatte a sopravvivere alle mutate condizioni ambientali. Lo aveva contagiato il Saggio sulla popolazione di R. Malthus. Poiché piante ed animali si moltiplicano in ragione geometrica, mentre le risorse solo in ragione aritmetica, ovunque si scatena la “lotta per l’esistenza”. Essa porta non solo all’eliminazione di alcune specie, ma anche alla comparsa di nuove che hanno accumulato caratteri e variazioni positive. Poiché ci sono delle variazioni rispetto ai genitori, alcuni individui, grazie a queste variazioni, possono trovarsi avvantaggiati nella lotta per la sopravvivenza. Tale vantaggio li fa vivere di più ed accoppiarsi più volte e trasmettere ai discendenti tali particolarità. Tali variazioni diventano ereditarie e queste anomalie trasmesse soppiantano gli individui “normali” della stessa specie che non sono stati capaci di sopravvivere alle mutate condizioni ambientali. Producendo altri individui che continuano a variare nel tempo, le variazioni accumulate allontanano sempre di più l’individuo dalla specie di partenza (“divergenza dei caratteri”) a tal punto che crediamo di trovarci di fronte ad una specie nuova. Invece non è così.

DARWIN E LAMARCK

Mentre Lamarck parlava di lentissima evoluzione dalla giraffa dal collo corto a quella dal collo lungo, Darwin si chiedeva come mai non ci fossero tracce di giraffe dal collo intermedio qualora fossero finite le foglie dei cespugli bassi da brucare (ambiente mutato). Così Darwin ipotizza la nascita di un “piccolo mostro” dal collo lungo sopravvissuto alle giraffe dal collo corto una volta finite le foglie dei cespugli bassi e in grado di brucare le foglie degli alberi alti e così di sopravvivere e propagare, accoppiandosi , la sua “mostruosità “ai discendenti, mentre le giraffe “normali” si estinsero e non tramandarono un bel niente. Per Lamarck l’ambiente agisce sull’intera popolazione e l’evoluzione è lenta e graduale, per Darw i n l’ambiente agisce su individui singoli selezionando anomalie, perciò l’evoluzione può conoscere anche salti ed essere discontinua. La variazione era un tema a cui erano molto interessati gli allevatori inglesi che “scrutinando” e selezionando nuovi caratteri riuscivano a creare pregiate razze di animali domestici. Darwin paragonò la mano della natura alla mano degli allevatori inglesi ed essa diventa “il grande allevatore”: “la selezione naturale “sottopone a scrutinio, giorno per giorno e ora per ora le più lievi variazioni in tutto il mondo, scartando ciò che è cattivo, conservando e sommando tutto ciò che è buono; silenziosa e impercettibile essa lavora quando e ovunque se ne offre l’opportunità. Questi lenti cambiamenti noi non li avvertiamo quando sono in atto , ma soltanto quando la mano del tempo ha segnato il lungo volgere dell’età. Darwin iniziò la stesura de L’origine della specie nel 1856 e si affrettò a pubblicarla nel 1859 perché il suo amico botanico A.R. Wallace gli inviò dalla Malesia, con preghiera di pubblicarli , alcuni appunti che confermavano la sua teoria dell’origine della specie per selezione naturale. Fattori concomitanti della selezione sono la ereditarietà dei caratteri, l’isolamento, l’ampiezza della regione. La “divergenza dei caratteri” favorisce la possibilità di sopravvivenza e di adattamento della specie, perché più posti essa specie potrà occupare nella scala biologica. L’adattamento a volte produce una “regressione” o “semplificazione di struttura” perché alcuni organi diventano superflui. La specie perciò non è fissa. I cosiddetti “fattori lamarckiani” (ambiente, abitudine, uso e non uso degli organi) interagiscono con il carattere fortuito delle variazioni. Se si diffondono discendenti da un comune progenitore in aree diverse del mondo, non è perché in passato ci fossero “ponti di terra” che congiungessero i vari continenti, né perché ci siano “cause finali”, né perché il creatore sia stato animato da “amore di simmetria”, ma solo perché ci sono stati fattori fortuiti che hanno permesso questo (esempio: un pesce ingerisce un seme in un continente, viene mangiato da un uccello di passaggio in quel momento in quella zona, esso poi depone l’escremento col seme in un altro continente ed ecco spiegata la presenza, altrimenti inspiegabile , di quella pianta in un altro continente). Darwin teorizzava la “ereditarietà dei caratteri acquisiti” con la teoria della “Pangenesi” (posta nel 1868 come appendice all’opera Le varia – zioni degli animali e delle piante allo stato domestico) . La pangenesi ipotizzava che le gemmule (piccole particelle) vengono convogliate agli organi riproduttori e costituiscono il plasma germinativo; pertanto, le parti che durante la vita dell’individuo si modificano, trasmettono ai propri discendenti i caratteri modificati.

L’ORIGINE DELL’UOMO E LA SELEZIONE SESSUALE

Incoraggiato da Huxley che nel 1863 con il libro Il posto dell’uomo nella natura affermava che l’uomo deriva da scimmie antropoidi, Darwin nel 1871 pubblicò L’origine dell’uomo e la selezione sessuale smentendo che le facoltà morali e intellettuali dell’uomo derivino da un principio spirituale e immortale (Dio), come gli ambienti conservatori dicevano Egli sostenne che l’uomo deriva dalle scimmie catarrine dapprima per l’abitudine alla stazione eretta, poi per selezione naturale degli individui bipedi e poi per selezione sessuale. Cercava di spiegare lo spinoso problema delle razze umane differenziatesi per scelte sessuali compiute dai maschi dotati di canoni estetici molto diversi. Il problema aperto a cui il darwinismo non seppe rispondere era: come nascono individui anomali che, avvantaggiati dalla lotta per la sopravvivenza, si diffondono fino a creare una specie nuova? Come può nascere la giraffa dal collo lungo? E Darwin non seppe rispondere se non con il principio lamarckiano della “ereditarietà dei caratteri acquisiti” attraverso l’uso e il disuso degli organi: gli individui selezionati dalla lotta per l’esistenza hanno acquisito la propria anomalia dopo la nascita (come diceva Lamarck) grazie ad un cambiamento delle abitudini precedenti. Darwin non conosceva ancora le scoperte in campo genetico che un oscuro abate boemo, G. Mendel (1822- 84) aveva pubblicato su un giornale di provincia in cui esponeva la discontinuità della trasmissione ereditaria e non la continuità (famosi gli esperimenti sui piselli). D a rw i n non conobbe queste teorie, altrimenti avrebbe spiegato “il piccolo mostro” non con l’ereditarietà dei caratteri acquisiti attraverso l’uso e il disuso degli organi, ma attraverso i caratteri dominanti e recessivi che compaiono e scompaiono con frequenza diversa secondo le leggi mendeliane della “indipendenza e della segregazione dei caratteri”. Darwin sosteneva la somiglianza tra uomo e animale superiore: stati simili di piacere, dolore, terrore, gelosia, curiosità, stupore, capacità di apprendere e usare strumenti. Pur riconoscendo le differenze tra animali ed uomo (es. il senso morale o coscienza), evidenziava che esse originano dal senso di socievolezza e solidarietà nel mondo animale. Questo istinto , insieme con l’approvazione o disapprovazione da parte del gruppo, è utile nella lotta per l’esistenza e nello sviluppo della società umana.

UNA RIVOLUZIONE CULTURALE E LE SUE IMPLICAZIONI POLITICHE

L’Origine della specie incideva in modo rivoluzionario sulla mentalità del tempo. Uscendo dai confini delle scienze della natura, era una eresia dal punto di vista culturale perché, introducendo una dimensione storica nella natura, spazzava via la visione teleologica e teologica di essa, l’idea di una “armonia prestabilita” (per dirla con Leibniz). Per Darwin, la storia della creazione divina del Vecchio Te s t amento era “palesemente falsa”, “tutto è governato da leggi precise” e l’apparente finalismo può essere spiegato solo con una teoria evoluzionistica di tipo causale. “Non sembra esservi più disegno nella variabilità degli esseri organici e nell’azione della selezione naturale che nella direzione in cui soffia il vento. Ogni cosa in natura è il risultato di leggi fisse”. È il caso, insieme al tempo e alle circostanze, a formare gli organismi. Darwin era l’erede della concezione materialistica della natura che, fin dalla sua prima apparizione con Democrito, Epicuro, Lucrezio, Giordano Bruno, Galileo, Spinoza, i materialisti del ‘700, Marx, Engels, aveva tanto infastidito i benpensanti che preferivano spiegarsi il mondo con un intervento divino dall’esterno. Ora Darwin fa confluire nella sua dottrina la visione storica (intesa come progresso) che era già nell’illuminismo e romanticismo tedeschi.

DARWIN SOTTO ATTACCO

In un anno ci furono altre due edizioni de L’Origine della specie” . Darwin ebbe la solidarietà dello zoologo J. Huxley, del botanico Hooker e del geologo Lyell. Una tempesta di fuoco venne invece dagli ecclesiastici e dagli scienziati più conservatori (l’anatomico Owen). Darwin non si professò ateo ma fu prudentemente agnostico verso la religione. Gli ambienti conservatori vollero colpire un’opera che demoliva la spiegazione teologica e provvidenzialistica della natura. L’origine della specie era pericolosa perché detronizzava Dio come governatore delle faccende non solo naturali, ma anche umane. Diceva il geologo reverendo W. Bukland: “il Dio della natura ha stabilito che le ineguaglianze morali e fisiche devono essere non solo inseparabili dalla nostra umanità ma coestensive a tutta la sua creazione […] l’uguaglianza di mente e di corpo o della situazione nel mondo è incompatibile sia con l’ordine della natura che con le leggi morali di Dio […] Ci può essere uguaglianza nella povertà, uguaglianza tra ricchi è impossibile. Un’uguaglianza di ricchezze e proprietà non è mai esistita e non può esistere, salvo che nella immaginazione di irragionevoli teorici trascendentali, sino a che la natura umana continuerà ad essere quella cosa imperfetta che Dio ha posto in questo mondo”. Darwin invece, asserendo l’autosufficienza della natura, negava il provvidenzialismo. Il pericolo poi si ingigantiva se, negando il provvidenzialismo, si estendeva la dottrina della evoluzione all’origine dell’uomo. Si accusava Darwin di aver tradito lo spirito scientifico inglese di Bacone e Newton, poiché la sua opera sarebbe basata su ipotesi non suffragate da fatti.

IL SOCIAL-DARWINISMO

Nella teoria di Darwin si insinua però un veleno che aprirà la strada alla fondazione morale su basi biologiche, al social- darwinismo. Egli sostiene infatti che, se aiutati a sopravvivere, i meno dotati, i deboli, gli ammalati, limiterebbero il progresso evolutivo. H. Spencer (1820-1903) forza e manipola Darwin, spiegando con le categorie naturalistiche della biologia i problemi psicologici, sociali, morali. La sua sociologia è orientata nettamente verso l’individualismo. Per lui lo sviluppo sociale deve essere guidato dalla forza spontanea (l’evoluzione) che lo guida verso il progresso. “La “legge del ritmo” regola l’andamento della società; grazie ad essa, evoluzione e dissoluzione devono alternarsi e la dissoluzione è la premessa per una evoluzione futura, perciò è da scartare l’intervento dello stato che ostacolerebbe e disturberebbe lo “sviluppo naturale” della società e brucerebbe le tappe “allo stesso modo che non si può abbreviare la via tra l’infanzia e la maturità”. Come succede in natura dove un animale o una specie si estinguono per colpa di un animale o di una specie più dotata, così avviene nella società, dove esiste una “lotta per l’esistenza” (anche tra le diverse società) e una “selezione naturale delle occupazioni”. La stratificazione delle classi sociali e la guerra hanno un carattere necessario. L a guerra può essere un “processo inevitabile” per il quale le varietà degli uomini più adatti alla vita sociale soppiantano la varietà di uomini meno adatti e, “per quanto siano inconcepibili gli orrori prodotti dall’antagonismo universale […] dobbiamo tuttavia ammettere che, senza di esso, il mondo sarebbe stato abitato da uomini di tipo debole, ricoverati nella caverna e nutriti di cibi selvatici”. Ecco cos’è il social-darwinismo: una teoria spietata ed egoistica della società, in cui l’uomo è una specie di “homo homini lupus”, e in cui è la superiorità ed inferiorità biologica, la natura lupigna e non gli uomini a produrre cultura e storia. Nella società, la natura biologica riserva a ciascun uomo fin dalla nascita un suo posto, questa natura lupigna imita i rapporti di forza tra animali superiori ed inferiori, fa un po’ di “pulizia” e guida la lotta per l’esistenza tra gli uomini ristabilendo il necessario equilibrio ecologico allorquando esso ne sia sconvolto. Il social-darwinismo è riduzionistico perché riconduce ciò che è culturalmente e storicamente determinato (modificabile) a ciò che è naturale e biologico. Le conclusioni sono chiare ed agghiaccianti: tutto va per il meglio (ottimismo sociale e storico) e anche il male è preparatorio al bene (giustificazionismo) ed è sbagliato provare a cambiare la storia, ma bisogna accettare la propria condizione che la natura biologica ci ha fissato (nel 1891 il papa Leone XIII nella “Rerum novarum” lancerà questo messaggio ai poveri per convincerli ad accettare la loro misera condizione senza ribellarsi). Le ingiustizie sociali vanno tollerate perché i più furbi, abili , forti e farabutti riescono ad emergere (e meno male che ci sono loro …) migliorando la società e movimentando il corso storico che altrimenti rimarrebbe fermo. Era questo il manifesto ideologico di una borghesia aggressiva (di cui anche Marx aveva tessuto l’elogio quando nel Manifesto diceva che “aveva fatto cose più meravigliose delle piramidi d’Egitto e delle cattedrali gotiche”), che con le unghie e con i denti reclamava il suo diritto storico ad esistere e ad appropriarsi delle risorse del globo terracqueo in nome della “libera concorrenza”, dello “stato minimo ed individuo massimo” e della “mano invisibile” di cui aveva parlato il suo cantore, A. Smith nella Origine della ricchezze della na – zioni. Ancora una volta Narciso si guardò nello stagno, ma questa volta la belva che vi vide riflessa non fu più la scimmia ma lo sciacallo… Potenza della evoluzione! Sarà questo sciacallo a soppiantare la simpatica , pacifica scimmia di Darwin nella lotta per l’esistenza e questa volta non c’erano voluti millenni, ma un secolo scarso. Questo sciacallo era la borghesia aggressiva che nel giro di qualche decennio mostrerà le peggiori performance nella prima guerra mondiale. Nonostante la inquietante deriva del socialdarwinismo, sotto l’egida del darwinismo si era combattuta una battaglia culturale che aveva cercato di smantellare gli ultimi residui antropocentrici e geocentrici contro cui già Copernico, Giordano Bruno, Galileo, attraverso i secoli, coraggiosamente, a rischio della vita e della reputazione, avevano lottato. Sarà per questo motivo che la Moratti nel 2004 con la sua riforma ha pensato bene di far scomparire l’evoluzionismo dai programmi della nuova scuola di base elementare e media della repubblica italiana! Forse qualcuno ha ancora paura della scimmietta?

Note

1 The White Man’s Burden, la celebre poesia di R. Kipling pubblicata nel 1899 a sostegno della conquista statunitense delle Filippine e di altre ex colonie spagnole.