Interrogativi sulla morte di Antonio Gramsci

*storico

Lo storico Piero Melograni, un tempo comunista poi liberale e radicale berlusconiano, ha ripetuto più volte di recente di aver maturato la convinzione che Gramsci non sia morto di morte naturale, ma sia stato assassinato(1). Il sospetto che Gramsci sia stato ucciso per volontà di Mussolini, per impedirgli il ritorno alla libertà e alla lotta, fu per la verità presente subito ai familiari ed ai compagni. La cognata Tania, che gli fu di sostegno fino agli ultimi istanti della vita, ne era convinta. Lo ha rivelato qualche anno fa Olga Gramsci, figlia di Giuliano, durante una visita in Italia: “Mia zia Tania – dichiarò infatti in quell’occasione – non credeva molto alla versione ufficiale della morte che parlava di un’emorragia cerebrale mentre riteneva più credibile la voce di un avvelenamento”.( 2) Togliatti già nel primo scritto in commemorazione di Gramsci sollevò l’interrogativo inquietante: “La morte di lui rimane avvolta in un’ombra che la rende inspiegabile. Alla lunga catena delle torture è stato aggiunto un ultimo inno–minabile misfatto? Chi conosce Mussolini e il fascismo, sa che avanzare questa ipotesi è legittimo.”(3) A un anno dalla morte, Giovanni Parodi, il compagno operaio torinese che aveva diretto l’occupazione della Fiat, si era formata la precisa convinzione che fosse stato avvelenato. Gramsci, ricordò infatti, aveva resistito strenuamente alle angherie inflittegli in carcere dall’Ovra e dalla direzione carceraria, ma aveva dovuto soccombere “all’ultima ma efficace pozione”.(4) La convinzione di Melograni dunque non rappresenterebbe nulla di nuovo, se non che egli sostiene oggi che ad uccidere Gramsci non sarebbero stati il fascismo e Mussolini, ma… Gramsci stesso o i sovietici! Evidentemente convinto come Berlusconi che Mussolini era un buon samaritano e agli avversari offriva …la villeggiatura, Melograni non prende neanche in considerazione la possibilità che possa essere stato lui a far assassinare Gramsci. “Penso – è la sua tesi – che Gramsci sia stato ucciso dai sovietici o si sia suicidato”. Gli storici seri sanno bene che il fascismo e Mussolini non esitarono in realtà a praticare il delitto per sbarazzarsi degli avversari politici. Da Matteotti a Giovanni Amendola, da Gobetti a don Minzoni, la lista è molto lunga. Quaranta giorni dopo Gramsci venne assassinato in Francia, da sicari della Cagoule su incarico dell’Ovra e per volontà di Mussolini, un altro temuto esponente dell’antifascismo attivo, Carlo Rosselli, ucciso assieme al fratello Nello. Mimmo Franzinelli ne ha ripercorso la vicenda in un bello e documentatissimo libro, intitolato appunto Il delitto Rosselli, uscito da Mondadori nel 2007 e riedito negli Oscar quest’anno. Risulta chiaramente con quale ossessiva cura la polizia fascista seguisse passo passo ogni movimento del capo di Giustizia e Libertà, circondato da numerose spie all’insaputa una dell’altra. Ricostruisce la committenza dei vertici del fascismo e la preparazione ed esecuzione del delitto, come pure il triste epilogo della giustizia nel dopoguerra, con i mandanti e responsabili italiani assolti ed impuniti. Franzinelli documenta anche l’abile opera di depistaggio che venne subito dopo il delitto dal vertice del regime: mettendo in giro l’insinuazione che Carlo, sollecitato dal fratello, stesse per piegarsi a Mussolini e per questo fosse stato ucciso dai suoi compagni di GL; o che fosse stato assassinato dagli anarchici con cui si era urtato in Spagna; o vittima perché non comunista degli immancabili agenti sovietici. Strategia della disinformazione, per creare confusione, intorbidare la verità, insinuare dubbi ed allontanare dal fascismo e da Mussolini la responsabilità dell’efferato crimine. E Franzinelli ricorda che i “depositi” di questa strategia della disinformazione sono stati spesso riesumati nel dopoguerra, per confondere volutamente anche la storia e la memoria. Anche per Gramsci fu messa subito in opera la disinformazione, con un articolo uscito pochi giorni dopo la morte sul “Messaggero”, senza firma ma scritto da Mussolini, dove si diceva appunto, excusatio non petita, che Gramsci, riparato in Italia dalla Russia perché “fedele” a Trockij, aveva potuto tranquillamente “terminare i suoi giorni in una soleggiata clinica di Roma”. (5) Melograni riprende e spinge in avanti la provocazione mussoliniana, mutando con altro effetto la clinica soleggiata in clinica lussuosa, “una delle più lussuose della capitale”; e soprattutto, mentre Mussolini cercava di accreditare la morte di Gramsci come naturale, usando l’espediente del contrasto con quanto gli sarebbe invece potuto capitare se fosse stato in Russia, Melograni salta a pié pari il fatto che Gramsci muoia nell’Italia dominata dalla dittatura del fascismo, e rovescia con un’immaginazione senza limiti la responsabilità della morte su lui stesso o sui sovietici. Contro questo argomentare fantasioso e privo di qualsiasi appiglio documentario sono già intervenuti criticamente Angelo d’Orsi su il Manifesto e Fabio Giovannini sulla Ri – nascita.( 6) La stampa berlusconiana già con Panorama (10 ottobre) ha rilanciato il preteso “scoop”, e poiché altri lanci di spazzatura disinformativa sono possibili e probabili, vale forse la pena di analizzare nel dettaglio gli argomenti del “convincimento” di Melograni, anche come caso studio di tecnica manipolativa.

LA MANIPOLAZIONE DELLA LETTERA DI GRECO

Sul “Sole 24 ore” del 28 settembre, sotto il titolo Gramsci, fu morte voluta, Melograni elenca i suoi “motivi”. L’occasione gli viene da una lettrice che gli chiede se l’affermazione “che Gramsci sia stato ucciso dai sovietici, o si sia suicidato”, possa “connettersi alla ‘strana’ lettera consolatoria (partita da Mosca) che egli ricevette dal compagno Ruggero Grieco già nel marzo del 1928” e che il giudice istruttore aveva definita “criminale” e aveva contrariato la stessa Tania. Nella risposta Melograni non dice nulla sulla lettera di Grieco. In effetti questa è stata a lungo il principale cavallo di battaglia per accusare il Pci e Togliatti e Stalin di aver tradito a abbandonato Gramsci in carcere; ma si è sgonfiata e non è più utilizzabile – salvo da qualche attardato ignorantello – dacché le ricerche di Giuseppe Fiori hanno portato alla luce la figura doppia, di agente della provocazione poliziesca, del giudice istruttore Macis,(7) che interpretò e manipolò la lettera nel darne comunicazione a Gramsci, cercando con parziale successo di insinuare in lui il germe del sospetto sui compagni, per isolarlo e indurlo a capitolare.(8) Melograni tralascia dunque la lettera del 1928 e adduce nell’ordine i seguenti motivi, per spiegare perché secondo lui Gramsci si sarebbe suicidato o sarebbe stato ucciso dai sovietici:

1. “Le parole scritte da Togliatti su Stato Operaio nel maggio-giugno 1937” e cioè che “la morte di Gramsci rimane avvolta in un’ombra che la rende inspiegabile…”. Melograni si guarda dal dire che il sospetto e l’accusa di Togliatti si indirizzavano al fascismo e a Mussolini, e li rovescia pari pari per sostenere la sua tesi!

2. “Il documento con cui il giudice di sorveglianza De Notaristefani, il 25 ottobre 1934, notificava a Gramsci che il ministero di Grazia e giustizia gli aveva già concesso la liberazione condizionale”. Con ciò Melograni vuole far credere che Gramsci, liberato “condizionalmente”, fosse effettivamente libero. Il che, come meglio vedremo, è del tutto falso.

3. “Gramsci non voleva tornare in Russia poiché lì sarebbe stato processato e condannato a morte… Meglio la più tranquilla Sardegna di Mussolini: un affronto che il tiranno sovietico (cioè Stalin ovviamente, nrg) non poteva tollerare.” Parlando della Sardegna… di Mussolini, Melograni pensa forse con inconscia sovrapposizione alle ville di Berlusconi. In realtà è documentato che Gramsci voleva tornare in Russia, e aveva fatto domanda per poter espatriare e ricongiungersi con la famiglia a Mosca. In via subordinata, nel caso gli venisse impedito l’espatrio richiesto, aveva preso in considerazione la Sardegna. Ma Melograni preferisce piuttosto che documentarsi, seguire la scia della propaganda di Mussolini. E se per quest’ultimo Gramsci si era salvato venendo via dalla Russia a morire in Italia di morte naturale, per Melograni Stalin offeso della preferenza sarda lo avrebbe raggiunto ugualmente e fatto fuori anche in Italia!

4. Il “dissidio fra Gramsci e il Partito” , illuminato al meglio secondo Melograni da quanto scritto da Massimo Caprara, l’ex comunista e segretario di Togliatti anche lui convertito alle “libertà” di Berlusconi. Secondo Caprara, nel ‘47 durante la prima visita a Roma dei figli di Gramsci, Delio e Giuliano, mentre erano in macchina: “mi strinsero il braccio. E Delio mi urlò sulla faccia: Perché mio padre vi ha traditi? … Mio padre ha tradito il Comunismo. A Mosca lo dice il Partito”.(9) Quando Caprara pubblica questa sceneggiata sono passati più di cinquant’anni dal presunto fatto, Delio è morto, ma Giuliano non ancora e bolla la storiella come “una fantasticheria”, un’invenzione dell’autore.( 10) Per altro, ove non sia stata totalmente inventata e vi si rifletta qualcosa di reale, la domanda di Delio poteva unicamente riguardare il sospetto, presente nella famiglia Schucht e originato dall’azione che sappiamo del giudice istruttore, che Gramsci potesse essere stato tradito da qualcuno del Pci, non certo che Gramsci avesse tradito qualcuno, né tanto meno il Comunismo! In ogni caso è una totale mistificazione collegare la morte di Gramsci a “dissidi” col partito.

5. Da ultimo e di nuovo “la notificazione del giudice de Notaristefani”, la quale proverebbe che “Gramsci era relativamente libero dal 1934.” In sostanza l’opinione che Gramsci si sia suicidato o sia stato ucciso dai sovietici Melograni la ricava dall’atto formale della concessione della liberta condizionale, non a caso citato due volte. Melograni scambia la libertà condizionata con l’effettiva libertà. Come stavano invece le cose?

Antonio Gramsci non cessò mai di essere strettamente controllato dalla polizia fascista. Durante il ricovero nella clinica Quisisana di Roma, due agenti e un commissario stazionavano in permanenza nell’anticamera d’ingresso, dandosi regolarmente il cambio e controllando chiunque entrava e usciva. Anche se il periodo della libertà condizionale era già scaduto da alcuni giorni, Tania poté ottenere il rilascio dall’ufficio di sorveglianza del Tribunale di Roma del libretto con la dichiarazione che riconosceva concluso il tempo della libertà condizionata e poneva fine ad “ogni misura di sicurezza”, soltanto la mattina del 25 aprile 1937. Tania, secondo la sua stessa dettagliata ricostruzione, quel giorno fece una breve visita in clinica verso le 12,30 e quindi tornò verso le ore 17. Propose “di portare il libretto a fare vedere giù, o chiamare il commissario” che stazionava come sempre nell’ingresso, ma Gramsci, che aspettava l’esito della domanda per l’espatrio, disse “che non c’era nessuna fretta, che l’avrei potuto fare un altro giorno.” A cena mangiò come al solito “una minestrina in brodo, un po’ di frutta cotta ed un pezzetto di pan di Spagna”. Uscì poi per andare in bagno e qui fu colpito dal male e cadde a terra e “fu riportato sopra una sedia portata da più persone. Aveva perduto il lato sinistro, completamente”. Parlava tuttavia ancora lucidamente, disse che si era “accasciato” ma senza battere la testa e si era trascinato alla porta per chiedere aiuto. Arrivò un medico della clinica, che però non praticò alcuna cura, anzi al contrario di quanto chiedeva Gramsci “non ha permesso fare alcuna iniezione eccitante… mentre Nino con molto impeto chiedeva l’iniezione, voleva un cordiale, anzi, diceva di fare la dose doppia.” Solo al mattino del 26 aprile, verso le 9, Gramsci poté essere visitato da un medico, il prof. Vittorio Puccinelli, il quale prescrisse “il ghiaccio in testa… un clistere di sale” e ordinò “il salasso”. Senonché i medici della clinica se la presero comoda, il dottore arrivò “per fargli il salasso solo dopo un’ora e più”; nel frattempo Gramsci aveva “vomitato più volte” e ricominciato poi ancora con degli sforzi di vomito. Quando finalmente giunse il medico per il salasso era ormai senza parola, con gli occhi chiusi, e il respiro molto affannoso. Il salasso risultò apportare un sollievo momentaneo, ma a distanza di 24 ore dall’attacco gli tornarono gli sforzi di vomiti, ed un respiro eccessivamente affannoso, alle 4,10 del 27 aprile spirò. Poco dopo arrivò anche il fratello Carlo. I due erano circondati da “una folla di agenti e di funzionari del Ministero degli Interni”. Dunque Gramsci non cessò neanche per un istante di essere di fatto prigioniero della polizia fascista, non godette non di due anni, come sembra credere Melograni, ma neanche di due ore di effettiva libertà. L’attacco gli venne, con le manifestazioni che abbiamo visto, lo stesso giorno in cui con il provvedimento del tribunale avrebbe dovuto cessare la sorveglianza disposta dal ministero dell’Interno. Gramsci ancora lucido reclamava gli si facesse un’iniezione eccitante, chiedeva un cordiale doppio. Il che, mentre esclude qualsiasi ipotesi suicida, fa capire come Gramsci si rendesse conto di cosa potesse essergli capitato e lottasse ancora strenuamente. Per contro è sintomatico l’atteggiamento negligente dei medici della clinica. Che Gramsci dunque sia stato fatto morire è possibile ed anche molto probabile, per non dire certo. Ed è sicuro che ad ucciderlo possono essere stati solo i fascisti, su disposizione di Mussolini.

POSTILLA

Aggiungo per L’ernesto a quanto già comparso sul “ Calendario del Popolo” del novembre scorso, un paio di questioni.

1) La clinica Quisisana di Roma, dove Gramsci fu ricoverato dal 24 agosto 1935, fu scelta dal Ministero dell’Interno perché garantiva la possibilità di un continuo controllo da parte della polizia, ma anche perché c’erano medici di sicura affidabilità per il fascismo. Il prof. Vittorio Puccinelli era fratello di Angelo Puccinelli, il “medico abituale” del duce, da cui, a partire dalla seconda metà del 1936, Mussolini si fece accompagnare regolarmente nei suoi spostamenti (cf. De Felice, Musso – lini il duce, II, p.264). Vittorio Puccinelli era il “medico curante” assegnato a Gramsci durante la sua permanenza in clinica, come apprendiamo da una lettera di Tania a Giulia del 6 marzo 1937 (cf. Antonio Gramsci jr, La Russia di mio nonno. L’album familiare degli Schucht, L’Unità/Fondazione Istituto Gramsci, Roma 2008). L’inerzia del primo medico intervenuto a visitare Gramsci, l’enorme ritardo della visita di Puccinelli e l’indugio nell’intervento infermieristico difficilmente possono spiegarsi con l’inefficienza di quella che era una delle più rinomate cliniche romane; ed è più ragionevole supporre che si volesse invece dar tempo al veleno di produrre i suoi effetti in maniera irreversibile. L’affermazione che Gramsci fu assassinato dal fascismo per volontà di Mussolini è più vera, anche in senso materiale, di quanto si sia mai pensato veramente.

2) Sono stato facile profeta a prevedere altra spazzatura disinformativa anticomunista sulla figura di Gramsci. E infatti è uscito nel frattempo un libro di Giancarlo Lehner, La famiglia Gramsci in Russia, presso Mondadori, che è tutto un condensato di menzogne, insinuazioni volgari e calunnie contro il PCI e Togliatti e attraverso queste viene scagliato un gesuitico attacco demolitore a Gramsci sotto spoglia di esaltazione, utilizzandolo strumentalmente contro i comunisti tutti e il comunismo, cioè contro il senso stesso di tutta la sua vita.

Spiace che a questa operazione si siano prestate la figlia e la prima moglie di Giuliano Gramsci, di cui si pubblicano “diari” che poco aggiungono alla conoscenza, ma avallano non è chiaro quanto consapevolmente sulla base di “informazioni” fornite loro ed accettate acriticamente, la squallida operazione. “Siamo stati informati, per esempio – scrive la Margarita Zacharova ex prima moglie di Giuliano e impropriamente citata non col suo cognome ma con quello di Gramsci – , del fatto che Mussolini non fosse contrario a scambiare Antonio Gramsci con prigionieri detenuti in Unione Sovietica”, mentre contrari – questo Le è stato detto – furono i comunisti (p. 264)! Il che non solo è falso, ma dice dei metodi di lavoro dell’intellettuale- deputato del Popolo delle libertà di Berlusconi e dello spregiudicato profittare della buona fede delle donne. Relativamente alla morte di Gramsci nel libro si arriva ad accreditare che possa essersi “suicidato, gettandosi da una finestra” perché depresso (così “Margarita Gramsci”, p. 263, la quale ricorda però anche onestamente che “in famiglia” si sosteneva che fosse stato “avvelenato” dai fascisti); o che ci sia stato da parte dei sovietici – che lo volevano a tutti i costi in Russia naturalmente per fargli fare una brutta fine – “un tentato sequestro di persona finito tragicamente” (lo stesso Lehner, p.17). Con il che siamo alla pura galoppante fantasia! Devono essere considerati ancora ben pericolosi – uno spettro ben vivo – Gramsci e i comunisti per meritare tanta attenzione e spese dell’editrice di Berlusconi e finanziamenti cospicui a “ricerche” e pubblicazioni di bassa polemica politica, senza alcuno spessore scientifico, come è questa.

Note

(1) Cf. “Libero”, 31 agosto 2008; “Il Sole 24 ore”, 14 e 28 settembre 2008.

(2)Olga Gramsci, “Mio nonno fu avvelenato dai fascisti”, dispaccio dell’agenzia Adn Kronos , “il Messaggero”, 21 ottobre 1999.

(3) Palmiro Togliatti, Il capo della classe operaia italiana, “Lo Stato operaio”, n.5-6, 1937.

(4) Giovanni Parodi, Gramsci con gli operai, 4 aprile 1938.

(5) Una sparizione e una morte, “Il Messaggero”, 12 maggio 1937.

(6) Bugie comuniste e gli zorro della storia, “Il Manifesto”, 5 ottobre 2008; Le fantasticherie del professore. Un finto scoop sulla fine di Gramsci, “Rinascita della sinistra”, 16 ottobre 2008 .

(7) Gramsci Togliatti Stalin, Laterza, Bari 1991.

(8) Ruggero Giacomini, Gramsci detenuto, il Pci e la Russia sovietica. Distorsioni e falsi del revisionismo storico, La Città del sole, Napoli 2003.

(9) Quando le botteghe erano oscure, Il Saggiatore, Milano 2000.

(10) L’Unità, 15 gennaio 1991.