Cina-USA: lo scontro del XXI secolo*

**Direttore di Correspondances internationales

GLI STATI UNITI POTENZA UNICA : MA PER QUANTO TEMPO ANCORA?

Mai nella storia il mondo è stato dominato da una potenza come quella degli Stati Uniti d’America, una potenza che supera di gran lunga qualsiasi avversario o potenziale concorrente. Una potenza che, con la fine del contrappeso sovietico, con le possibilità senza precedenti offerte dalla tecnologia militare e dalle comunicazioni, può oggi colpire dove vuole e quando vuole. Caduto l’ex-Impero del male, l’Impero del bene rimasto solo può a propria discrezione stendere un tappeto di bombe su chi gli dia fastidio, gli risulti sgradevole, o semplicemente stia nel posto sbagliato. Esso può ugualmente asservire economicamente, strangolare o affamare i popoli. Il tutto in nome, a seconda dei casi, dei diritti dell’uomo, della democrazia contro la dittatura, della lotta contro il terrorismo o contro gli Stati canaglia. Esso può approfittare a proprio piacimento delle istituzioni internazionali quando gli servono, e al tempo stesso ignorarle quando queste gli sono d’ostacolo.
Un simile Reich (Impero, in italiano) è forse per tutto questo destinato a 1000 anni di prosperità? Nel suo ultimo saggio, il noto stratega americano Zbigniew Brzezinski esprime in proposito una convinzione opposta: “ L’egemonia mondiale americana è ormai realizzata. (…) Ma, per qualsiasi potenza, il declino è inevitabile. L’egemonia è une fase storica transitoria. A un certo punto, anche se questo è posto in lontananza, l’egemonia mondiale del l’America verrà erosa”.(1)
Questione di tempo, dunque… Si tratterebbe di prolungarne i vantaggi il più a lungo possibile, traendo profitto da questa “fase storica transitoria ”. Gli Stati Uniti non sarebbero in tal modo che di fronte a una finestra d’opportunità, conferita loro dallo statuto storico-strategico della propria egemonia: questa tuttavia sarebbe declinante sul lungo periodo (la quota degli Stati Uniti sul PIL mondiale è passata dal 50% del 1945 al 22% del 2004) e negli ultimo tempi starebbe perdendo terreno in modo netto nei confronti di tutti i suoi inseguitori.
È questa doppia circostanza che rende tanto flagrante, universale e urgente l’aggressività degli Stati Uniti, obbligati a compensare tecnologicamente, militarmente e strategicamente il lento declino in corso. Questa aggressività cerca di avvalersi di numerosi strumenti. Sottomettere gli Stati: infeudarli il più possibile, distruggerli o smembrarli se resistono, farne nuove colonie quando è indispensabile. Controllare le risorse strategiche del pianeta. Mantenere il vantaggio tecnologico e militare. Si tratta di una strada senza ostacoli? Gli insuccessi incontrati in Afghanistan, e soprattutto quelli incontrati di fronte alla resistenza irachena, annunciano al contrario ostacoli sempre più seri.
Ma questi due primi campi di battaglia presentano pure il vantaggio di mostrare la posta in gioco centrale nel rapporto di forze mondiale del XXI secolo. È lo stesso Brzezinski, in effetti, a ricordare come “la partita per la supremazia globale” si giochi “in Eurasia, il continente più grande del globo, dove vive il 75% della popolazione mondiale e in cui si concentra una gran parte della ricchezza mondiale, sia industriale che del sottosuolo. Essa possiede il 6O% del PIL mondiale e i tre quarti delle risorse energetiche conosciute”.(2)
Ora – si tratta forse di una coincidenza? – è nel cuore stesso di questo grande continente che “il ritmo della crescita economica e l’ammontare degli investimenti esteri, entrambi fra i più elevati al mondo, stanno facendo sì che fra circa vent’anni la Cina divenga una potenza mondiale della stessa forza o quasi degli Stati Uniti e dell’Europa. (…) Si assisterà dunque all’emergere di una Grande Cina, rafforzata dal ritorno di Hong Kong, di Macao e di Taiwan, se quest’ultima si sottometterà politicamente; si tratterebbe non solo dello Stato predominante nell’Estremo Oriente, ma anche di una potenza globale di prima forza”.
Più presto dunque di quanto in un primo tempo credessero, soltanto alcuni anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti intravvedono già, nell’orizzonte di circa due decenni, l’emergere di un nuovo avversario di peso equivalente, e forse anche meglio sostenuto dal punto di vista delle alleanze internazionali. Il paradosso della storia vorrebbe così che, dopo aver vinto il paese simbolo nel XX secolo del socialismo e del comunismo, gli Stati Uniti si ritrovino, nel XXI secolo, a confrontarsi di nuovo con un avversario che innalza la medesima bandiera. Certo, la Cina è cosa assai diversa dall’ex-Unione sovietica, sino al punto di mostrare l’esatto contrario in numerosi campi. Essa non ostenta, in particolare, alcuna ostilità nei confronti degli Stati Uniti, e introduce su grande scala meccanismi di economia di mercato. La Cina partecipa massicciamente al mondo globalizzato invece di cercare di starsene isolata e di (ri)costruire un blocco socialista opposto al blocco capitalista. Ma forse che tutto questo appare più rassicurante per la potenza americana? Gli Stati Uniti, di fatto, potrebbero in qualche modo mostrare soddisfazione nel vedere le loro certezze confermate nel cuore stesso di questo gigante storicamente e culturalmente così differente, e, perché no, convincersi che il tempo lavora a loro favore, conformemente a quel che la profezia della cosiddetta fine della storia prometteva loro. Tuttavia, tranne che in alcune rare espressioni di fiacca retorica, non è assolutamente così.
Il Direttore di Geopolitica al Collegio Interarmi della Difesa francese (Scuola di Guerra), Aymeric Chauprade, spiega così il senso d’inquietudine degli americani: “Si vede assai bene che la Cina rappresenta l’oggetto principale delle loro ossessioni. Ricostruendo l’insieme, si constata che la strategia globale dispiegata dagli Stati Uniti mira a fronteggiare l’emergere di questo gigante”.(3) La Cina, scrive ancora, “conta un miliardo e quattrocento milioni di individui. Questa enorme massa resta ancora al riparo dal capitalismo mondiale. Gli Stati Uniti vorrebbero abbattere le paratie della Cina come hanno fatto nel 1945 con l’Europa occidentale, mettendo in atto tutti gli strumenti del libero scambio” ; e, in riferimento agli avvenimenti d’Afghanistan e Iraq, aggiunge: «Quali sono le principali direttrici di questa strategia americana? La prima è di controllare l’approvvigionamento energetico della crescita asiatica. (…). Per gli Stati Uniti, avere il potere su questa regione significa avere in mano la pompa del carburante dell’Asia, e conseguentemente della domanda energetica della Cina. La seconda direttrice americana si fonda sulla formazione di una rete di alleanze stretta attorno alla Cina, nel medesimo modo in cui gli Stati Uniti avevano arginato la Russia sovietica durante la guerra fredda”.

UNA CINA MODESTA E PACIFICA, MA SEMPRE PIÙ FORTE

In contrasto con l’atteggiamento di potenza americano, pure sfumato dall’intimo timore che gli ispira la Cina emergente, l’immagine della Cina mostra i tratti di una serenità segnata da paziente modestia. Questo gigante dagli strabilianti ritmi di crescita (più del 9% annuo in venti anni) – un ritmo rafforzato dalla sua capacità di resistere alla crisi asiatica del 1997-98 che ha colpito tutti i paesi capitalisti della regione – definisce se stesso, conformemente del resto alle statistiche internazionali, come un semplice paese in via di sviluppo. La sua politica è quella dell’accumulo di conoscenze (una politica d’apertura (4)), di benessere (con l’obiettivo di raddoppiare il PIL procapite da qui al 2020) e di rafforzamento (modernizzazione industriale, tecnologica e militare). All’opposto di un Chruscev che annunciava il raggiungimento del comunismo in URSS per il 1980, la Cina attuale ritiene di essere solo nella prima tappa della costruzione del socialismo, una tappa che stima debba durare circa 100 anni!(5)
Non cercando di svolgere un ruolo di primo piano, soprattutto con un faccia a faccia con gli Stati Uniti, la Cina non è più quella che denunciava l’imperialismo come una tigre di carta (6), nonostante che la figura di Mao Zedong sia sempre assai onorata nell’insieme della sua opera politica e teorica.
La visione cinese ufficiale(7) è pacifica e ottimista: “la pace e lo sviluppo rimangono i due maggiori temi della nostra epoca. La salvaguardia della pace e la promozione dello sviluppo costituiscono un’opera che riguarda il benessere dei popoli del mondo e traduce la loro comune aspirazione, ed è al tempo stesso una corrente storica irresistibile. L’evolversi del mondo verso il multipolarismo e la mondializzazione economica ha creato opportunità e condizioni favorevoli alla pace e allo sviluppo del mondo”.(8)
Essa ripete volentieri una solenne espressione cara a tutti i suoi dirigenti dopo Mao Zedong: “la Cina non cercherà mai l’egemonia”.

CONFRONTO E COOPERAZIONE

Ufficialmente un faccia a faccia fra Cina e Stati Uniti non è minacciato né da una parte né dall’altra. E in questo i due paesi mostrano una singolare simmetria. Per quanto riguarda le reciproche capacità di assumere decisioni strategiche, essi condividono un alto grado di stabilità e di continuità politica. Da una parte, un Partito americano di fatto unico, benché sdoppiato, che controlla tutto il sistema politico in un gioco d’alternanza e sulla base di un potente consenso, e, dall’altra, un Partito cinese, dirigente assoluto, sostenuto da otto piccoli partiti e senza opposizione legale. Da una parte e dall’altra è stata fatta da molto tempo una scelta di relazioni strette e di cooperazione qualitativa, anche se nei due paesi coesistono, in modo permanente, sensibilità diverse che oscillano attorno all’asse cooperazione/confronto.
Alla fine del 2003, Colin Powell poteva giudicare in tal modo che lo stato delle relazioni con la Cina era il migliore dal tempo del ristabilimento delle relazioni diplomatiche nel 1971 con il Presidente Richard Nixon.
Sul piano della coesione sociale, l’elemento di diversificazione fra i due paesi (9) in aumento rimanda al fatto che la crescita della povertà nell’uno aumenta mentre nell’altro conosce una spettacolare riduzione. Negli Stati Uniti infatti il numero dei poveri è salito a 35,9 milioni nel 2003, circa il 12,5% della popolazione totale, contro l’11,3% nel 2000 (10). Da parte sua la Cina ha visto il numero dei suoi poveri passare in dieci anni da 375 milioni a 224 milioni, ovvero 151 milioni in meno(11) , dimezzando il suo tasso di povertà (dal 33% al 17,8%). Da 4,5 punti sotto la media del resto del mondo, questo tasso è salito a 7 punti sopra.(12)
Sul piano etnico, nonostante le differenze reali, nei due paesi è l’unità che prevale sulle divisioni. Le minoranze nere e chicane non minacciano l’unità americana, e se il potere centrale è contestato in Cina dalle centinaia di etnie delle sue regioni occidentali montagnose e sottopopolate, la maggioranza Han rappresenta, da sola, il 93% della popolazione totale.
Per quel che riguarda un gran numero di aspetti i due paesi sono i più dissimili possibile ed addirittura opposti. Da un lato, la potenza americana dominata da una borghesia impregnata di cristianesimo conservatore o messianico, dall’altra, un’élite politica formatasi in un partito marxista-leninista, atea, in seno ad una popolazione impregnata di taoismo, buddismo e confucianesimo. Da un lato una nazione giovane di qualche secolo e campione mondiale di pensiero «a breve termine », dall’altra una civiltà vecchia secondo la rituale espressione conese di 5000 anni, e abituata a improntare il suo comportamento sui tempi lunghi. Un paese urbano da una parte, e rurale dall’altra. Un paese, gli Stati Uniti, per il quale la guerra è sempre stata in casa d’altri, mentre per i cinesi è quasi sempre stata sul proprio territorio.
In questi ultimi decenni la cooperazione fra i due paesi non ha fatto tuttavia che crescere. Questo fatto favorisce ed è alimentato dalla scelta cinese – fondamentalmente a partire dal 1995 – di partecipare attivamente al multilateralismo e di aderire al WTO(13) . La potenza commerciale della Cina è uno dei maggiori avvenimenti della nostra epoca. Nel 2004 la Cina è divenuta il 3° esportatore mondiale, mentre non raggiungeva che il decimo posto solo sette anni prima (14) . Il crescente volume degli scambi fra i due paesi, moltiplicatisi per 50 dal 1979, va nettamente a favore della Cina, cosa che suscita negli Stati Uniti una certa campagna di ostilità .(15) Nel 2003 l’interscambio commerciale con gli Stati Uniti è stato di quasi tre volte più favorevole per la Cina: esportazioni per 92,5 miliardi di dollari contro 33,8 miliardi di dollari di importazioni, ovvero un eccedenza di quasi 59 miliardi di dollari (+ 25% in un anno).
Il volume di questi scambi è tale, da permettere oggi alla Cina d’incassare un’enorme quantità di riserve in valuta americana: più di 500 miliardi di dollari (contro i 200 del 2001) (16), per un ammontare superiore a quello degli investimenti esteri ricevuti nel corso dell’ultimo decennio. Fra il 1991 e il 2001 la Cina ha in effetti attirato 370 miliardi di dollari di investimenti stranieri diretti, quasi 20 volte di più della vicina India. Fattore di accelerazione dello sviluppo (benché in modo ineguale), questi investimenti non ne condizionano la sovranità. Il 75% di essi provengono dai paesi asiatici, per il 50% dalla sola Hong Kong, e un quarto del totale potrebbe venire in realtà dalla Cina popolare stessa.
Gli Stati Uniti intervengono direttamente solo per l’8% del totale, tanto quanto l’Unione europea.(17) E l’interdipendenza non cessa di crescere.

USA: POTENZA, ACCERCHIAMENTO E CONTROLLO GEOSTRATEGICO

Se la volontà egemonica USA è un sentimento condiviso da tutta l’élite politico-economica americana, è tuttavia possibile distinguere in essa due poli d’influenza nell’approccio alla politica estera. Ugualmente decisi ad assumere pienamente la propria politica di potenza, i circoli dirigenti americani differiscono rispetto ai modi di garantirla e d’intenderla: uno dei poli è incline alla realpolitik, l’altro allo spirito di crociata. La realpolitik è vista più favorevolmente presso i Democratici, ma costituisce il proseguimento della politica per esempio di un Henry Kissinger. Oggi questo approccio lo si può ritrovare in particolare in Zbigniew Brzezinki e Madeleine Albright. Lo spirito di crociata è invece caratteristico principalmente della destra repubblicana detta neo- conservatrice, che influenza direttamente Georges W. Bush tramite il suo vice-presidente Dick Cheney, il ministro della difesa Donald Rumsfeld e il suo vice Paul Wolfowicz, e la responsabile per gli affari esteri Condoleezza Rice(18). Questa corrente accusa la realpolitik di aver condotto la politica estera dopo la guerra in Vietnam sulla base di un complesso sorto da quella sconfitta, e caratterizzato dal non credere a sufficienza nei valori del l’America e dal non osare il pieno utilizzo della sua potenza. Questa corrente giudica la politica della realpolitik come incoerente e immorale. La critica che riceve dai suoi concorrenti è quella di essere, per i suoi eccessi, inefficace e pericolosa, di discreditare gli USA e di isolarli sulla scena internazionale.
Brzezinski ritiene, ad esempio, che «la possibilità di mantenere a lungo termine le posizioni dell’America dipenderà dalla natura della sua leadership mondiale. Tale ruolo esige una capacità di mobilitare gli altri. (…) Il dominio posto come un fine in sé non conduce da nessuna parte. (…) L’accettazione della leadership americana da parte del resto del mondo è la condizione sine qua non per sfuggire al caos»(19) . Una differenza di metodo e non di obiettivi, come si può vedere.
Fra le numerose differenze d’approccio, nei neo- conservatori si può notare un certo qual disprezzo per l’Europa, accusata di mollezza. I sostenitori della realpolitik giudicano al contrario che l’Unione europea rappresenta la punta avanzata degli Stati Uniti per la presa di controllo del continente eurasiatico. I neo-conservatori sono esclusivamente e ferocemente pro-israeliani, i soli che essi considerano come propri eguali per il loro analogo fervore messianico. Essi denunciano i legami che i loro concorrenti intrattengono con il mondo arabo, principalmente con l’Arabia Saudita… E si presentano come i campioni delle minoranze nazionali negli Stati nemici. Paul Wolfowicz è stato infatti così presentato dal suo amico William Kristol:«Durante gli anni 90 è apparso come l’infaticabile campione delle minoranze etniche, dai musulmani bosniaci ai Kurdi iracheni» (20). Un’autentica bussola per i bombardieri USA.
Bisogna tuttavia constatare che, contrariamente al resto della sua politica estera, l’attuale politica USA nei confronti della Cina rimane improntata all’approccio della realpolitik, incline a non esagerare il pericolo cinese,(21) come in particolare mostra un recente rapporto. “Condotto dall’ex segretario alla Difesa Harold Brown e dall’ex comandante in pensione della flotta del Pacifico ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Cina Joseph Prueher, il gruppo di lavoro ha riconosciuto che la Cina ‘persegue una deliberata e concentrata corsa verso la modernizzazione militare e che le sue reali spese per la difesa possono essere due o tre volte superiori alle cifre ufficiali. Tuttavia la Cina è almeno due decenni indietro rispetto agli Stati Uniti in termini di tecnologia e di capacità militare. Se gli Stati Uniti continueranno a consacrare risorse sostanziali al miglioramento delle proprie forze militari come si spera, l’equilibrio fra Stati Uniti e Cina, sia a livello mondiale che in Asia, dovrebbe rimanere in modo decisivo in favore dell’America oltre i prossimi 20 anni”.(22) Anche qui, come si può notare, si ritrova il famoso periodo dei due decenni.
Il boccone cinese è duro da inghiottire, anche se i neo-conservatori si mascherano dietro il realismo americano. “Bisogna in primo luogo riconoscere – scrive uno dei loro portavoce – che la Cina: – ha aumentato le sue minacce di guerra contro la democratica Taiwan ; – non è stata un partner significativo nella guerra contro il terrorismo ; – non è stata utile durante la guerra d’Iraq ; – sostiene pienamente la Corea del Nord nei suoi negoziati nucleari con gli USA ; – continua ad essere il primo paese al mondo favorevole alla proliferazione delle tecnologie connesse alle armi di distruzione di massa ; – continua i propri abituali gravi abusi nell’ambito dei diritti umani, e probabilmente intende forzare verso un ulteriore confronto marittimo con gli USA nel Mar della Cina meridionale»(23). Nel medesimo spirito, Kristol e Kaplan non esitano ad esclamare: “Cosa c’è di utopico nell’operare per la caduta del partito comunista in Cina dopo aver visto dissolversi una ben più potente e stabile oligarchia in Unione sovietica?” (24)
La posizione realista americana preferisce non impegnarsi prematuramente in uno scontro diretto con la Cina, ma al contrario mettere a profitto questi prossimi vent’anni per avvantaggiarsi ulteriormente. Si tratta, insomma, di una posizione che lavora in profondità sulla realtà dei rapporti di forza, nella competizione economica e tecnologica, sul controllo degli spazi e delle materie prime. Uno scontro prematuro viene giudicato altamente rischioso, un autentico lascia o raddoppia.
Gli USA conducono inoltre una strategia di accerchiamento. Disponendo già di alleati a Est della Cina (Corea del Sud, Giappone, Taiwan), essi intendono chiudere il cerchio a Ouest approfittando della disgregazione dell’URSS (25) e prendendo piede in Afghanistan (26). Tentano inoltre di appoggiarsi al l’India, riuscendovi a volte, come ad esempio con i nazionalisti hinduisti al potere fino al 2004, e di conservare la propria influenza nel Sud-Est asiatico.
La strategia petrolifera americana ha di mira il tallone d’Achille dell’economia cinese, vale a dire lo straordinario aumento dei suoi bisogni energetici che comporta una crescente dipendenza dalle importazioni. Un quarto dell’aumento dei consumi petroliferi mondiale è in effetti di origine cinese. La Cina, non autosufficiente dal 1993, è oggi il secondo importatore mondiale di petrolio. E, mentre essa cerca di diversificare le sue zone di approvvigionamento, gli Stati Uniti cercano di prenderne il controllo (Iraq).

CINA: MULTIPOLARITÀ, INTERDIPENDENZA E MODERNIZZAZIONE

La strategia cinese è sostanzialmente simmetrica a quella americana: multipolarità contro egemonismo, interdipendenza contro controllo unilaterale sulle risorse strategiche, e modernizzazione per ridurre lo scarto fra le due potenze.

L’ALLEANZA CINO-RUSSA E IL GRUPPO DI SHANGHAI

Nel corso della maggior parte della guerra fredda, il deterioramento delle relazioni sino-sovietiche aveva facilitato i giochi della potenza americana. Già il solo fatto che oggi il trattato d’alleanza sino-russo, siglato il 16 luglio 2001 da Jiang Zemin e Vladimir Putin, sia il primo accordo di tale livello fra i due paesi dopo quello firmato nel 1950 da Stalin e Mao Zedong, costituisce di per sé il simbolo di una svolta di fondo nella natura delle relazioni fra i due paesi, una svolta di portata strategica mondiale.
Il generale in pensione Pierre-Marie Gallois riassume tale portata in questi termini: «Assommando circa due miliardi di abitanti, le due potenze si alzano implicitamente contro le am-bizioni degli Stati Uniti nella zona dell’Asia e del Pacifico, e più in generale offrono di nuovo al resto del mondo un’opzione anti-liberista che può rappresentare una base intellettuale e materiale per i movimenti anti-mondializzazione » (27). I reciproci interessi oggettivi convergono in ragione della complementarietà dei bisogni. La Cina importa le risorse energetiche e militari russe e funge, in tal modo, da potente motore per lo sviluppo economico di una Russia esangue dopo la scomparsa dell’URSS.(28)
Tre anni dopo il Trattato, i due paesi hanno ulteriormente rinsaldato l’asse strategico con un accordo, firmato il 14 ottobre 2004, che mette termine in primo luogo al contenzioso sulle frontiere che, nei peggiori momenti del conflitto sino-sovietico, minacciava di scatenare una guerra vera e propria. Certamente rimangono alcuni punti di discordia, ma senza minacciare i rapporti: inquietudini russe riguardo alla pressione demografica cinese sulla propria lunga frontiera siberiana disperatamente spopolata dalla propria parte, e alcune incertezze quanto a un tratto di oleodotto che potrebbe passare o meno dalla Russia. (29)
Questa relazione privilegiata ha pure permesso di costruire uno spazio di cooperazione multilaterale in Asia centrale denominato «Organizzazione di cooperazione di Shanghai» e che raggruppa, oltre questi due paesi, il Kazakhstan, il Tagikistan, il Kirghizistan e l’Uzbekistan. (30) Gli obiettivi proclamati erano quelli della lotta anti-terrorismo, ma in seguito il loro campo si è progressivamente ampliato.

LO SPAZIO ASIATICO COME SPAZIO NATURALE

Se USA e Cina sono in consonanza sull’importanza strategica dell’Asia, la Cina, da parte sua, ha qui un vantaggio decisivo: l’Asia è il proprio ambiente naturale, di cui inoltre essa rappresenta il cuore.
Nei confronti dei suoi vicini – una trentina di Stati – la Cina ha moltiplicato i segnali e le iniziative di buona vicinanza. Seguendo l’analisi che ne fanno due specialisti statunitensi, la Cina ha fatto grandi concessioni al fine di favorire relazioni amichevoli con i suoi vicini. «A partire dal 1991 la Cina ha regolato i conflitti di frontiera con il Kazakhstan, il Kirghizistan, il Laos, la Russia, il Tagikistan e il Vietnam, e l’ha fatto a volte in termini svantaggiosi. Di fatto, nella maggioranza di tali accordi la Cina non ha ricevuto che la metà dei territori contestati o ancor meno; per esempio, per risolvere il lungo conflitto riguardante le montagne del Pamir che il Tagikistan ha ereditato dall’Unione sovietica, la Cina ha accettato d’ottenere solo 1.000 dei 28.000 km_ contestati. (31)
L’ampiamento delle relazioni è inoltre stato inoltre favorito da un contesto che ha visto l’attenuarsi dell’importanza di alcune vecchie alleanze opposte, che avevano permesso ad esempio alla Cina di contrastare l’influenza indiana (alleanza con il Pakistan), sovietica e vietnamita (alleanza con la Cambogia). Pur conservando la propria tradizionale relazione con il Pakistan nel sotto-continente indiano, le relazioni cinesi con l’India sono migliorate, soprattutto a partire dall’insediamento del nuovo governo indiano, grazie all’appoggio dei comunisti. Ancor di più, l’irraggiamento economico della Cina, con l’immensità e il dinamismo propri del suo mercato, costituiscono un fattore di crescita e di stabilità che facilita la costruzione di legami profondi e attraenti per l’insieme della regione.
In questo quadro, la Cina coltiva in modo particolare i propri contatti con i suoi vicini socialisti. Le relazioni con il Vietnam si sono rafforzate nettamente. La Cina è ormai il terzo partner commerciale del Vietnam. I reciproci rapporti politici si intensificano, anche sul piano della ricerca teorico, con seminari annuali fra i due partiti sui temi del socialismo. Le relazioni con la Corea del Nord, in occasione degli incontri per un suo eventuale disarmo nucleare, hanno rivelato una Cina che svolge un ruolo di prim’ordine nella mediazione con gli Stati Uniti, senza abbandonare tuttavia il proprio attaccamento alla sovranità coreana.
Le relazioni con il Giappone rimangono, al contrario e malgrado alcuni sforzi da una parte e dall’altra, improntati a una mutua diffidenza (32) , eredità della storia e della competizione più recente. Il Giappone è il principale alleato degli Stati Uniti e di Taiwan nella regione, e il suo bilancio militare è al momento il secondo al mondo.

CON IL SUD DEL MONDO

La Cina non ha affatto dimenticato la sua antica strategia mirante a tessere una solida tela di rapporti con i paesi più poveri, e un episodio più spettacolare in tal senso è probabilmente stato lo scacco della conferenza del WTO a Cancun, il 14 settembre 2003, da parte del G21 condotto da Brasile, India, Sudafrica e Cina a favore di 90 paesi poveri.
Contrariamente ai loro predecessori, gli attuali dirigenti cinesi moltiplicano i viaggi all’estero – e con ben altri solidi argomenti economici –, ad esempio in Africa, dove la Cina conta numerosi amici(33). Il peso di questo continente diventa strategico nel quadro della politica di diversificazione delle risorse energetiche cinese (Sudan, Gabon, Algeria, Angola…) e va direttamente a contrastare gli interessi strategici americani, che preferirebbero una Cina dipendente come oggi per il 60% dal Medio- Oriente.(34) Con il continente americano, riserva di caccia degli Stati Uniti, la Cina non dovrebbe, secondo logica, solleticare troppo gli interessi USA(35). Tuttavia la recente e autonoma evoluzione del sotto-continente latino-americano, che progressivamente si libera dalla tutela americana e che oscilla fra sinistra e centro sinistra, ha fatto assai naturalmente sorgere autentiche convergenze con una Cina che è apparsa come l’indispensabile contrappeso alla potenza americana.
Con il Brasile diretto da Lula le relazioni hanno effettuato un salto qualitativo. Il Brasile è al momento il principale partner commerciale della Cina in America Latina. Oltre a ciò, tutta la strategia brasiliana s’inscrive nella ricerca di costituire un concreto contrappeso agli Stati Uniti. Durante la sua visita in Cina del maggio 2004, il Presidente Lula ha pure dichiarato che «Il Brasile ha sempre aderito alla politica di una sola Cina, e sostiene la posizione cinese su Taiwan e i diritti umani»(36).
L’arrivo al potere di Chavez in Venezuela aveva già portato ad un miglioramento delle relazioni fra i due paesi. Le relazioni riguardano oggi i campi dell’energia, dell’agricoltura e delle questioni militari. Il Presidente Chavez dichiara inoltre apertamente la propria ammirazione per i progressi realizzati in Cina.
Le relazioni con Cuba – malgrado alcune scelte nel quadro socialista spesso nettamente differente da quelle della Cina – migliorano costantemente in tutti gli ambiti. Per Cuba queste relazioni economiche sono quanto di più prezioso esista. La scomparsa dell’URSS le era costata la perdita dell’80% del proprio commercio estero. La Cina è oggi il 3° partner commerciale di Cuba, dopo il Venezuela e la Spagna. Gli incontri a Cuba del novembre 2004 fra Hu Jintao e Fidel Castro hanno portato non solo ad importanti accordi economici. La stampa ha sottolineato alcune dichiarazioni di Hu Jintao, che salutava «l’eroico popolo Cubano» e lo incoraggiava « a non cedere sulla via della costruzione socialista », e questo ad alcuni chilometri dalle coste americane.
Va inoltre aggiunto che, in molti di questi paesi amici della Cina, si può trovare una significativa presenza comunista che esercita, direttamente o indirettamente, un’influenza sui relativi governi, ad esempio in Sudafrica(37) , India e in Brasile(38), e che condividono, nei confronti degli Stati Uniti, la visione strategica multipolare della Cina.

UN’EUROPA CORTEGGIATA

L’Unione europea è ritenuta essenziale dalla Cina. Nella triade dei paesi sviluppati, essa rappresenta l’angolo più morbido, quello al tempo stesso meno minaccioso, meno contraddittorio, e potenzialmente il più distante dagli Stati Uniti.
Ma la Cina sa pure che l’unità politica europea è ancora lontana dall’essere una realtà, e che essa può contare in questo continente sia su amicizie che inimicizie. La Francia figura al primo posto fra gli amici, con una partnership d’eccezione. Si tratta di un paese che gode di una certa indipendenza, di tecnologie avanzate, soprattutto nel nucleare, di cui essa ha bisogno per allentare la propria dipendenza energetica(39). I due paesi coltivano, al più alto livello, una politica di convergenza. Il bilancio diplomatico 2004 del ministero cinese per gli affari esteri si apre, non a caso, con una foto del Presidente Jacques Chirac con il Presidente Hu Jintao. E nel momento in cui l’Unione europea ha avviato un processo di progressivo annullamento dell’embargo sulla vendita di armamenti alla Cina adottato dopo gli avvenimenti di piazza Tien An Men, la Francia ha da parte sua annunciato di essere per l’annullamento immediato(40). Certo, anche in Europa la Cina inizia a suscitare alcuni timori. Ed è quanto un altro dirigente politico francese, Jean-Pierre Chevènement, ha cercato di scongiurare sulle colonne del Figaro: «È legittimo che la Cina voglia svilupparsi, uscire dalla povertà e assumere il ruolo che le compete nel mondo. È anche nell’interesse della Francia e di un’ Europa in un mondo che vogliamo multipolare. Una Cina forte è necessaria all’equilibrio del mondo. Bisogna dunque vedere la Cina con un occhio europeo e non con un occhio americano”

* E‘ questa la prima parte dello studio che Patrick Theuret ha condotto sulla questione Cina-USA. La seconda parte verrà proposta nel prossimo numero.

Note

1 Brzezinski Zbigniew, Le vrai choix.

2 Brzezinski Zbigniew, Le Grand échiquier. L’Amérique et le reste du monde.

3 Intervista alla rivista di geopolitica in linea Cyberscopie, settembre 2002: www. cybercopie. info/page/art_entre/art11_entre.html.

4 Fra i numerosi segnali di tale apertura si notano nel corso degli ultimi 25 anni 600.000 studenti cinesi recatisi all’estero per fare i loro studi.

5 Il preambolo dello Statuto del Partito comunista cinese l’esprime così: “I più alti ideali comunisti perseguiti dai comunisti cinesi non potranno essere realizzati se non quando la società socialista sarà pienamente sviluppata e assai avanzata. Lo sviluppo e il miglioramento del sistema socialista è un processo storico di lunga durata. Sin quando i comunisti cinesi sosterranno i principi fondamentali del Marxismo-Leninismo e seguiranno la via corrispondente alle specifiche condizioni della Cina e volontariamente scelte dal popolo cinese, la causa socialista in Cina sarà coronata dalla vittoria finale. (…) La Cina si trova ora nella prima tappa del socialismo e vi rimarrà per un lungo periodo. Si tratta di una tappa storica che non può fare a meno della modernizzazione socialista in una Cina che è arretrata economicamente e culturalmente. Essa durerà più di un centinaio di anni”.

6 In una celebre intervista del gennaio 1964, il P residente Mao Zedong dichiarava: «gli Stati Uniti sono una tigre di carta; non lasciatevi impressionare, la si può attraversare da parte a parte con un buffetto. Anche l’Unione sovietica revisionista è una tigre di carta». Questa equivalenza fra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica darà in seguito vita alla «teoria dei tre mondi», che collocava queste due «super-potenze» nel «primo mondo», il Giappone, l’Europa, il Canada in quello delle «forze intermedie» e il resto nel «Terzo mondo».

7 „Understanding The Present International Strategic Situation“,Liowang, 5 agosto 2002, n°32. Articolo di Li Zhongjie della Scuola centrale del PC cinese.

8 Rapporto a XVI Congresso del Partito comunista cinese, 8 novembre 2002.

9 Le statistiche internazionali misurano le disuguaglianze sociali con il coefficiente Gini, pari a 0 in une società perfettamente egualitaria e a 1 nel caso teorico inverso. Nella realtà i paesi sono classificati da 0,2 a 0,6. I due paesi si ritrovano al centro, fra 0,40 e 0,45, con un aumento recente più rapido in Cina (+0,1 in 15 anni).

10 «Circa 36 milioni di americani vivono sotto la soglia di povertà». Le Monde, 27/08/2004.

11 Nelle zone rurali il numero dei poveri è passatodai 250 milioni del 1978 ai 29 milioni del 2003. People’s daily 17/10/2004.

12 Rapporto mondiale sullo sviluppo umano 2003. Se a livello mondiale il numero dei poveri (soglia di reddito inferiore a 1 dollaro giornaliero per abitande) si è ridotto fra il 1990 e il 1999 da 1292 milioni a 1169 milioni (-123), ossia del 23,2% dell’umanità (-6,4), escudendo la Cina questo numero è invece salito a 945 (+28) milioni.

13 La Cina ha aderito al WTO l’11 dicembre 2001.

14 Come potenza commerciale, la Cina ha pure conosciuto un’importante modificazione della struttura dei propri scambi commerciali in funzione del proprio sviluppo. Nel 1980 le sue esportazioni riguardavano essenzialmente il settore agroalimentare (28%) ed energetico (27%), dal 2001 esse si sono rivolte invece verso l’industria elettrica ed elettronica (32%) e tessile (25%).

15 Daniel Sabbagh, „Les relations sino-américaines depuis la fin de la guerre froide“, in Questions internationales, n° 6 marzo-aprile 2004.

16 Financial Times, 23/11/2004

17 Françoise Lemoine, L’économie chinoise.

18 Quest’ultima è un buon esempio delle difficoltà per il pensiero neo-conservatore d’imporsi nella questione cinese. Condoleezza Rice si era impegnata sul tema della «minaccia cinese» che aveva alimentato la campagna del candidato G. W. Bush nel 2000. Pur senza rinunciare alle proprie convizioni, sul dossier cinese essa era tuttavia decisa a mettere fra parentesi il suo discorso aggressivo. „Rice the realist“, The Straits Times interactive, 26/11/2004.

19 Brzezinski Zbigniew, Le vrai choix.

20 William Kristol e Lawrence F.Kaplan, Notre route commence à Bagdad

21 Jean-Marie Brisset, dell’Istituto per le relazioni internazionali e strategiche, ritiene che l’esercito cinese possieda un nuceo duro paragonabile alla potenza dell’esercito belga e prossimo a quello spagnolo, «ma il grosso della truppa è un insieme di straccioni, il cui equipaggiamento è totalmente obsoleto e con istruzione militare anacronistica». In „La Chine est passée maître dans l’art de la diplomatie du verbe“, Cyberscopie, dicembre 2002.

22 Washington Post, “China Seen Decades Behind U.S. in Military Might”, 22 maggio 2003.

23 The Heritage Foundation ( U S A ) , 12/02/03, “Needed: A Realistic Look at China Policy”, di John J.Tkacik Jr.

24 William Kristol

25 Dal 1997 i suoi migliori alleati fra i paesi dell’ex Unione sovietica sono la Georgia, l’Uzbekistan, l’Ucraina, l’Azerbaigian, la Moldavia. Gli Stati Uniti hanno inoltre delle basi in Uzbekistan e in Turkmenistan.

26 François Lafargue, Opium Pétrole & Islamisme. La triade du crime en Afghanistan, Ellipses, 2003.

27 „A l’est du nouveau“, Géopolitique, n° 77

28 Lucia Montanaro-Jankovski, „Chine-Russie: des intérêts convergents“, Questions internationales, n°6 marzo-aprile 2004.

29 «La Chine et la Russie renforcent leurs relations économiques», Le Monde 14/10/2004

30 Quest’ultimo paese, pure alleato degli USA, non ha tuttavia partecipato con essi alle manovre militari congiunte nel 2003.

31 Evan S. Medeiros e M.Taylor Fravel, «China’s new diplomacy», Foreign Affairs, vol. 28 n° 6. Nov/Dic 2003.

32 Régine Serra, «Chine-Japon, après trente années d’entente cordiale», in Asie orientale 2003.

33 Il 16 dicembre 2003 il Forum Cina-Africa ha visto la partecipazione di 45 Stati africani.

34 Jeune-Afrique, 27 giugno 2004.

35 Che sono inquieti per la penetrazione cinese, come mostra il Documento strategico per l’America Latina detto Documento di Santa Fe IV del dicembre 2000: „La Cina rappresenta il problema più inquietante cui gli Stati Uniti devono far fronte (…) I comunisti cinesi avanzano su un ampio fronte attraverso la catena andina. Essi sondano debolezze e vuoti, e quando li trovano li riempiono traendo aggressivamente vantaggio dalla situazione… Forse il caso più impressionante è quello della loro penetrazione a Panama…. Ottenuto questo, essi avanzano nei Caraibi, stabilendo un solido legame con Fidel Castro…“; sottolineando pure i legami «sempre più stretti con il castrista Chavez».

36 Intervista al Quotidiano del popolo, 25 maggio 2004.

37 Durante la conferenza dei partiti asiatici del settembre 2004, i due unici partiti non asiatici invitati erano l’ANC e il PC sud-africani.

38 Renato Rabelo, presidente del Partito comunista del Brasile, «Enfrentar o imperialismo com amplitude, defender a soberania nacional», in A nova realidade internacional sob o primado dos Estados Unidos, Editora Anita Garibaldi, 2003.

39 Il progetto cinese consiste nel quadruplicare la produzione nucleare da oggi al 2020, in modo di passare da 9000 a 36000 MW.

40 Le Monde, 6/12/2004.

41 Jean-Pierre Chevènement, «La Chine, ’dragon’ colossal ou partenaire stratégique?», Le Figaro, 22/09/2003.