LA QUESTIONE COMUNISTA

Con profonda amarezza assistiamo all’ultimo atto della cancellazione dell’anomalia italiana. Dopo la Bolognina di Occhetto, cui resistemmo in tanti, il 13 e il 14 aprile, nella scheda elettorale non ci saranno più la falce e il martello dei Comunisti Italiani e di Rifondazione. Sappiamo quello che è avvenuto: tranne le resistenze del nostro partito e delle minoranze di Rifondazione, gli altri soggetti che compongono la “cosa” di sinistra, hanno volutamente imposto la scomparsa dei simboli comunisti (al momento non è certo che ve ne siano altri). Qualcuno potrà dire che questo era già accaduto con il simbolo del Fronte Popolare (si, ma lì la scelta era dei comunisti,tra l’altro egemoni), qualcun altro potrà ricordare i recenti esperimenti con i “progressisti” e con “l’Ulivo” (si, ma lì , come nel 1948, il simbolo era quello dell’intera coalizione e, comunque, vi era un’altra scheda proporzionale in cui i simboli di entrambi i partiti comunisti erano presenti).Qualcun altro ancora potrà dire che i simboli contano fino ad un certo punto, quello che è rilevante sono i contenuti. E’ vero, però, in certi particolari momenti (ed oggi credo sia proprio così) i simboli e le questioni che si intendono rappresentare diventano una cosa sola. Si deludono le aspettative con cui il nostro elettorato ha salutato la vittoria del centro sinistra e si omettono i simboli del lavoro!Si invertono i fattori di difesa del nostro popolo consentendo il varo di un pessimo protocollo su pensioni e welfare, mentre la presenza comunista viene cancellata dal panorama elettorale, cedendo al ricatto di chi ventenni fa aveva sollecitato lo scioglimento del PCI! Poteva andare diversamente? Probabilmente sì! Senza mai pensare di avere la “verità in tasca”, se si fosse accentuata una maggiore criticità nei confronti del governo e se si fosse ipotizzata l’irrinunciabilità al simbolo, le possibilità stesse di trattativa nella “cosa” di sinistra ne avrebbero evitato la cancellazione ed avrebbero rafforzato l’obiettivo (giustamente sottolineato dal compagno Diliberto) di portare in Parlamento una pattuglia di deputati comunisti che, dopo il 13/14 aprile, mantengano la loro autonomia organizzativa ed istituzionale.

Siamo certamente di fronte ad una accelerazione e mutamento profondo, in termini di “americanizzazione” del panorama politico italiano. Però i fascisti avranno la loro visibilità elettorale, così come i democristiani, i radicali, i socialisti e, forse addirittura Mastella. Tutti tranne i comunisti e tutti, forse tranne i democristiani, non avranno deputati in parlamento. Ma certo, messi di fronte alla scelta tra l’avere una rappresentanza istituzionale certa e l’abiurare i loro simboli e la loro storia, pur tra mille contraddizioni, non hanno alfine avuto esitazioni. Noi ed i comunisti di Rifondazione abbiamo fatto un’altra scelta, si poteva forse agire diversamente ed io personalmente sarei anche stato disponibile a farlo, ma facciamo tutti parte, anche i comunisti di Rifondazione, di una comunità politica che solo se fortemente unità (per quantità e qualità) può avere una qualche possibilità di rilanciare la questione comunista in Italia. Ovviamente faremo quindi la nostra parte nella campagna elettorale, così come altrettanto ovviamente possiamo dire fin d’ora che ci opporremo, in via definitiva, a qualunque tentativo di ridurre l’autonomia organizzativa e politica dei comunisti, dalla formazione dei gruppi parlamentari a tutto il resto. Mentre affermiamo questo, c’è contraddittorietà con gli appelli, a partire da Bertinotti, nell’affrettarsi alla costruzione del partito unico della sinistra già in campagna elettorale. Saremo, ripeto ovviamente, impegnati al massimo in questa campagna elettorale, ma il nostro obiettivo sarà al contempo quello di radicare ed estendere la presenza dei comunisti. Noi, quelli di Rifondazione e tutti gli altri, in un processo costitutivo strategico per la questione comunista nel nostro Paese. Mentre in Spagna la deludente esperienza di Izquerda Unida (che oggi rischia anche di restare fuori da quel parlamento) ci dovrebbe insegnare che non è sufficiente mantenere le proprie “liturgie”ed propri simboli solo all’esterno delle sedi, se poi non ci si presenta più con la propria “faccia” di fronte al popolo, perché a quel punto si sopravvive formalmente ma si cessa realmente di esistere.

Nell’evidenziare che questa deve essere “la prima e l’ultima volta” che i comunisti non avranno più la loro “bandiera”,vorrei infine segnalare, con “ottimismo della volontà”, l’affermazione di Oliviero Diliberto su l’Unità della scorsa settimana che, alla domanda se i Comunisti Italiani volessero sciogliersi, rispondeva che, per farlo, avrebbero dovuto cambiare segretario.

La Rinascita della Sinistra”, venerdi 22 febbraio