Risponde LAURA STOCHINO

1)Il 6-7 giugno si vota sia per le elezioni europee che per elezioni comunali e provinciali. Qual è a tuo avviso la principale posta in gioco dal punto di vista delle dinamiche nazionali?

Nell’ultimo anno il livello di scontro è aumentato nelle piazze, ma fortemente diminuito nelle istituzioni. Il movimento dell’Onda e lo spostamento a sinistra della CGIL sono segnali inequivocabili di tentativi sparsi di opposizione. Dall’altra sembra estendersi il fronte di un’italietta sempre più reazionaria e conservatrice. Il nostro paese sembra diviso in due: una minoranza che si muove a tentoni alla ricerca di un’organizzazione, un’altra che persegue il suo scopo: mettere a tacere il dissenso. Credo che in queste elezioni si giochi la possibilità di invertire questa divisione, la possibilità di riportare i lavoratori e le lavoratrici ad una coscienza di classe. Un buon risultato per la nostra lista non sarebbe soltanto il segnale atteso per la sinistra diffusa e cosciente, ma l’inizio di un coordinamento politico che avrebbe come primo scopo quello di rimettere in moto parole d’ordine e riflessioni che capovolgano questo senso comune. Esiste un’Italia che si riconosce coscientemente nella destra perché ne tutela gli interessi, ma la gran parte non sceglie e assume atteggiamenti di destra per la difficoltà di trovare alternative. L’assenza della sinistra nelle istituzioni ha ulteriormente rafforzato questa deriva. In questo senso la posta in gioco è riuscire ad avere nuovamente in Italia una vera opposizione radicata e alternativa che sostituisca agli slogan populisti e demagogici un progetto concreto di uscita a sinistra dalla crisi economica e culturale.

2).Le elezioni per il Parlamento europeo hanno evidenti risvolti sul piano della politica continentale e internazionale. Quali sono a tuo avviso, le questioni più importanti in gioco in questo ambito?

Credo che la questione principale sia la strategia che l’Europa intende adottare per uscire dalla crisi economica. Negli ultimi vent’anni l’Europa ha scelto di vivere la propria economia sulla falsa riga di quella statunitense, non limitandosi ad esserne una copia al ribasso, ma essendo in più occasioni paladina di un neoliberismo scellerato, basti pensare alla Bolkestein e al ruolo della BCE. Anche le prime contromisure di risposta alla crisi sono una riproposizione di schemi che restano nell’alveo di politiche liberiste. Di nuovo l’intervento dello Stato è pensato per essere àncora di salvezza per banchieri e industriali. Un rafforzamento di queste politiche significherebbe un’ulteriore appiattimento dell’economia continentale, un’altra occasione persa per la costruzione di un’Europa che al patto di stabilità sostituisca un patto di piena e buona occupazione.

3)Su quali punti è maggiormente caratterizzata la tua campagna elettorale nella tua circoscrizione ?

In Sardegna la campagna elettorale rischia di non essere percepita per il suo valore. Purtroppo la certezza di non riuscire ad eleggere un candidato sardo ha ingenerato una forte disaffezione nei confronti dell’Europa e del suo valore di rappresentanza. Ciononostante per noi deve essere un’ulteriore occasione per rivendicare la proposta politica di un’Europa che riparta dall’autogoverno dei territori, passando nel nostro caso dalla smilitarizzazione del territorio. La Sardegna è occupata da basi e poligoni militari, ma nonostante negli anni passati il movimento contro le basi abbia ottenuto importanti risultati, la lotta però non è terminata ed è necessario battersi per la riqualificazione delle zone dismesse e per una reale valutazione dell’impatto ambientale e sanitario. Inoltre la Sardegna è divenuta il luogo del futuro sogno berlusconiano di nuclearizzazione. Per questo la questione ambientale è da noi intesa non solo come tutela del paesaggio ma come fonte di una nuova ricchezza. In una terra fortemente colpita dalla crisi industriale bisogna puntare su una politica di rilancio economico sicuro, che veda la Sardegna come una terra di pace, di lavoro e di accoglienza. Una porta verso l’Europa e non una trincea da cui dirigere le politiche aggressive e imperialiste dei paesi occidentali.