Il curioso caso di “Non una di meno” e “Se non ora quando”

donne fascismo cccpdi Roberto Vallepiano

Come il femminismo imperialista propizia e fiancheggia i colpi di stato per conto degli USA

Nelle foto riprodotte sotto potete vedere come i due movimenti femministi più noti nel nostro paese e cioè NON UNA DI MENO e Se Non Ora Quando – News, fiancheggino attivamente le più ignobili campagne golpiste al servizio dell’imperialismo USA e della borghesia compradora latinoamericana.

Nel primo delirante post “Non una di meno” attacca frontalmente il Socialismo della Pacha Mama e l’ormai deposto Presidente indigeno Evo Morales bollandolo con l’incredibile insulto di “misogino e sessista”.

Nel secondo le impeccabili signore di “Se non ora quando” pubblicano un articolo de La Stampa dal titolo “Basta con il regime! Le donne di Caracas sfidano Maduro” elogiando Maria Corina Machado, la golpista di estrema destra amica personale di George Bush, che vuole così bene alle donne venezuelane da chiedere ufficialmente agli USA di bombardare il proprio paese.

Il Femminismo Pinkwashing di oggi ormai nulla ha a che fare con i nobili processi di emancipazione femminile del novecento.

Nel mondo odierno – completamente accantonato il femminismo “sociale” novecentesco e quindi evidentemente il marxismo nel suo complesso – il femminismo dominante è indubbiamente un’ideologia di matrice occidentale intrisa di liberismo e, come vediamo, funzionale al peggiore imperialismo.

Il mio ultimo libro I Figli del Vulcano è ambientato in Centroamerica e racconta soprattutto storie di donne guerrigliere. Un libro declinato al femminile che ho voluto provocatoriamente definire all’insegna del “Femminismo Rivoluzionario”.

Ma oggi in gran parte dell’America Latina i processi rivoluzionari hanno dovuto fare i conti col femminismo coloniale ed hanno espulso la parola “femminista” dal loro gergo, prediligendo il termine “Movimento delle Donne” per descrivere le lotte al femminile.

Occorre prendere atto che oggi il femminismo, nella massima parte delle sue declinazioni attuali, tende ad un vero e proprio obiettivo strategico reazionario: laddove la guerra tra le classi disturbava l’economia capitalistica, ridistribuendo la ricchezza e generando uguaglianza e crescita della coscienza e dei diritti per tutti; la guerra tra i sessi non la disturba affatto ma ottiene l’unico effetto concreto di creare spaccature all’interno dei ceti popolari e di diminuire la solidarietà tra gli oppressi, maschi o femmine che siano.

Il femminismo imposto dal capitalismo e dalla filosofia borghese assomiglia di più a un maschilismo al rovescio: non vuole liberare, non vuole cambiare le cose, perché il capitale non prevede dialettica, rovesciamento o rivoluzione.

Se ieri il femminismo era legato esplicitamente a istanze rivoluzionarie, di classe e dunque interno al campo del socialismo; oggi è legato alle classi dominanti ed assolve ad un ruolo oggettivamente controrivoluzionario.

Se ieri il pensiero femminista era espresso da donne rivoluzionarie come Clara Zetkin, Emma Goldman e Alexandra Kollontaj oggi le autoproclamate guru del neofemminismo “intersezionale” o “cyberfemminismo post-genere”, fanno riferimento a personaggi deteriori, grotteschi e autocaricaturali come Donna Haraway, Naomi Wolf o Maria Galindo.

Le femministe vengono oggi mobilitate dall’opinione pubblica per avvallare strumentalmente i bombardamenti su Iraq, Afghanistan, Libia e Siria. Oppure per fiacheggiare gli attacchi mediatici e le sanzioni economiche all’Iran in nome della liberazione dal velo.

Dopo la prima guerra del Golfo, la femminista Naomi Wolf ha lodato commossa le soldatesse americane impegnate in Iraq per aver generato “rispetto e perfino paura” e per aver portato avanti la lotta per i diritti delle donne.

Ha omesso però di parlare delle centinaia di migliaia di iracheni: donne, uomini e bambini, che sono rimasti uccisi in quella guerra.

Le femministe occidentali non possono pensare di costruire la propria malintesa “libertà” sui corpi delle vittime dei “bombardamenti umanitari” perchè l’impero non libera, sottomette.

Le femministe vengono oggi arruolate nelle destabilizzazioni e nelle “rivoluzioni colorate” promosse dall’imperialismo USA per dare una verniciata rosa ai golpe militari come sta avvenendo in questi giorni in Bolivia.

La femminista Maria Galindo, che in Italia è ritenuta un punto di riferimento per certo movimentismo, ritiene che in Bolivia non ci sia mai stato un colpo di stato militare ma una “sollevazione popolare contro il Dittatore omofobo, misogino e razzista Evo Morales”.

Sul quotidiano Página 7, scrive:

“Fernando Camacho ed Evo Morales sono complementari. Entrambi si ergono a rappresentanti ‘unici’ del popolo”. Entrambi odiano le donne e gli omosessuali. Entrambi sono omofobi e razzisti ed entrambi usano il conflitto per trarne vantaggi”.

Una privilegiata figlia di papà, bianca e di famiglia ultraborghese che da del “razzista” all’indigeno Evo Morales mentre i pseudoantagonisti applaudono innalzandola a loro intellettuale di riferimento.

Altro esempio paradigmatico è stata la candidatura della jena Hillary Clinton alla Presidenza degli Stati Uniti, che ha dato la stura agli endorsement femministi più impensati a partire dalla Redazione de il manifesto.

In nome del potere taumaturgico della “lotta al patriarcato” ecco la giustificazione della guerra per conto del femminismo imperialista.