Quel che la destra non dice sulla depenalizzazione dell’aborto

di Delfina Tromboni, Responsabile “Identità,generi,trasformazioni culturali” Direzione nazionale PdCI

alemanno movimentoperlavitaDepenalizzare l’aborto e, in cambio, cancellare la legge 194 che lo regolamenta nelle strutture pubbliche sembra essere la parola d’ordine della manifestazione che, Sindaco Alemanno con tanto di fascia tricolore in testa, ha caratterizzato la giornata di ieri a Roma. 

Con discutibile buongusto, la massima istituzione del Comune di Roma e i movimenti per la vita, hanno voluto segnare così- lo hanno dichiarato essi stessi – la “festa della mamma”, che sembra essere diventata, ormai, in certi ambienti, politicamente più significativa di quella della Repubblica. Cosa dice in soldoni questa proposta? Che nessuno chiederà più di perseguire per legge le donne che abortiscono, purché non vogliano farlo grazie ad una legge dello stato e per di più in strutture pubbliche. Alle “mamme” che ieri si “festeggiavano”, Alemanno e i movimenti per la vita hanno mandato a dire che se non conducono a termine una gravidanza indesiderata sono assassine e che “ogni aborto è un bambino morto”, come si leggeva in uno dei loro funerei cartelli.

Tralascio di commentare il fatto che un Sindaco, che dovrebbe rappresentare tutti i suoi cittadini e quindi tutte le sue cittadine, scelga di mettersi con la fascia tricolore esattamente in apertura di corteo, a reggere lo striscione. E che il Comune di Roma abbia, a quanto detto dalle varie TV, patrocinato l’iniziativa. La destra al governo ci ha “abituati” a questo e ad altro. Mi vien da chiedere se Alemanno farebbe pagare anche a manifestazioni come questa un paio d’euro a partecipante, per pagare le spese di pulizia della piazza o se si tratta di un trattamento di favore che intende riservare alla sola CGIL… Ma lascio cadere anche questo argomento di polemica.

Quel che mi preme invece evidenziare è che la depenalizzazione nasconde trabocchetti di cui mai si parla. Fu proposta molti anni fa, se non vado errata dai radicali al tempo dei referendum e anche da una parte del femminismo degli anni ’90, e sonoramente bocciata sia dai cittadini che votarono (due volte) per riconfermare la 194, sia dalla maggior parte delle donne che facevano politica nei movimenti. Perché?

Perché senza una legge come la 194, le donne senza mezzi (povere, disoccupate, inoccupate, precarie, clandestine, migranti e così via) l’aborto lo dovrebbero pagare di tasca loro, rivolgendosi – se disposte a indebitarsi – a quelli che un tempo si chiamavano “cucchiai d’oro” (ginecologi più o meno famosi che operavano nelle loro cliniche private) oppure alle “mammane” (in genere praticone ed ostetriche che operavano sui tavoli di cucina con cucchiai di normale alluminio e similmezzi). Oppure dovrebbero ricorrere ai rimedi della nonna, infusi di prezzemolo ad alta tossicità ed altri materiali inseriti nell’utero, o ferri da calza usati come strumento per il raschiamento…

E’ dura leggere nero su bianco le “pratiche” a cui le donne ricorrevano prima della 194? 

Immaginatevi quanto era duro per le donne che lo facevano davvero.

Quelle povere, naturalmente.

Perché quelle ricche avevano accesso a riservatissime cliniche private, dove chi disprezzava l’aborto in pubblico lo praticava a suon di bigliettoni trovando sempre una “giustificazione” medica da scrivere sui documenti di degenza.

Vogliamo tornare lì?

Lo chiedo alle donne e alle ragazze che ho visto sulla piazza di Roma, al Sindaco Alemanno e alle donne della destra, agli uomini (e alle donne) che pensano che in tempi di crisi come questi occorre occuparsi d’altro…

Vogliamo tornare lì?

La depenalizzazione senza una legge equa che consenta alle donne di esercitare in condizioni di sicurezza una scelta che non può che spettare, in ultima istanza, che a loro, perché senza il corpo accogliente di una donna nessuna creatura può venire al mondo, nemmeno Gesù Cristo, ci riporterebbe esattamente lì.

Di nuovo alla donna contenitore, puro utero, che fa il paio con il lavoratore ridotto a pura merce che il liberismo vuole imporci.

Organizziamoci, perché mai come oggi l’aborto è, ancora una volta, una questione di classe.