Muore accoltellata a 17 anni

di Paola Natalicchio | da Pubblico

donne violenza 3901Storia del femminicidio numero 93 dall’inizio dell’anno, nella civile Italia. Due sorelle. Carmela e Lucia Petrucci. Carmela la piccola, 17 anni. Lucia appena maggiorenne, solo un anno più grande. Frequentano la stessa classe: la terza L dello storico Liceo Classico Umberto di Palermo. Sono appena tornate da una vacanza-studio in Inghilterra, a Brighton. Due “figlie di famiglia”, come si direbbe nel loro sud. Padre impiegato della Corte dei Conti, madre impiegata in Regione. Ieri, a prenderle da scuola, va la nonna. Le lascia in macchina sotto casa, intorno alle 13, nell’appartamento a via Uditore, a pochi passi dal centro. Va via, a fare la spesa nel vicino supermercato. Loro citofonano a casa, sperando che il fratello apra al più presto. Si sono già accorte del pericolo. Ma non hanno il tempo di salire. Succede tutto in un attimo.

Samuele Caruso, 23 anni, un ex di Lucia è già in agguato. Secondo la ricostruzione della sezione omicidi della Squadra Mobile di Palermo inizia una discussione accesa tra lui e Lucia . Carmela cerca di calmarli. Il portone si apre, le ragazze scappano dentro ma lui le segue nell’androne. E tira fuori un coltello. Vuole “punire” Lucia perché la loro relazione è finita e lei non ne vuole più sapere. Dalle prime ricostruzioni, Carmela cerca di dividerli, lui la colpisce. A morte. Poi ferisce Lucia. E scappa. Intanto davanti al portone arrivano i dipendenti del supermercato che trovano le ragazze in una pozza di sangue e chiamano il 118. Lucia è cosciente e riesce a chiamare il 113, a denunciare tutto. Samuele intanto si allontana, ma è ferito a una mano e lascia dei segni di sangue. Corre verso piazza Giotto, dove c’è il capolinea degli autobus, e prende un mezzo per andare fuori città. Lascia acceso il cellulare, la polizia riesce a localizzarlo. Viene rintracciato e arrestato in poche ore alla stazione di Bagheria, a una ventina di chilometri dal luogo del delitto. Intanto Lucia, la sorella sopravvissuta, è trasportata in codice rosso all’Ospedale civile “Cervello”, reparto chirurgia. Per i medici le coltellate nella regione lombare destra non hanno toccato gli organi interni. Lucia non è in pericolo di vita. Arrivano i genitori, ignari della relazione esistita tra Lucia e Samuele. Sconvolti. Arrivano anche gli amici di classe, increduli, disperati. «Erano bravissime», dicono. «Carmela aveva la media del 9, Lucia dell’8 e mezzo in tutte le materie. Carmela sognava di fare il medico», ripetono gli amici. «Lucia aveva ricevuto messaggi anonimi sul cellulare», segnalano infine. Lasciando emergere un aspetto: quello di possibili molestie che avrebbero preceduto l’accaduto, che rendono la dinamica di questo omicidio tragicamente somigliante a quella di molti altri. Cinquantaquattro già avvenuti dall’inizio dell’anno, come ricorda l’associazione Se non ora quando, che ha lanciato proprio la settimana scorsa, con un’iniziativa nazionale contro la violenza sulle donne a Torino, l’appello “Mai più complici” contro i troppi casi di femminicidio legati sempre a episodi di violenza domestica o stalking e molestie. Contro il femminicidio è in corso anche una campagna della Convenzione nazionale contro la violenza maschile sulle donne. «È una mattanza infinita. Gli omicidi di questo tipo stanno diventando episodi diffusi e sistematici. Questa volta si è addirittura sfiorato che fossero uccise due donne in un colpo solo», denuncia Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa dell’associazione Differenza Donna e responsabile del centro antistalking di Roma.

«Il dato inquietante è proprio l’aumento di omicidi e violenze causati da ex fidanzati. Più le ragazze sono giovani, più riescono a ribellarsi e troncare relazioni soffocanti, basate sulla gelosia e sulla possessività. Quando incontrano però uomini misogeni e violenti questo sempre più si traduce in violenze che possono causare la morte», continua Baldry. «Il consiglio è di denunciare subito anche solo le prime avvisaglie di una molestia psicologica, di comportamenti persecutori. Spesso le donne non denunciano “in buona fede”. Per proteggere le persone vicine, la famiglia. Cercano di risolvere la cosa accettando di rivedere il molestatore, cercando di scenderci a patti perché sono terrorizzate dalla sua reazione e hanno paura che possa fare del male a loro o ad altri. Ma questo è un errore. Un’altra paura è quella che alla denuncia non corrisponda un’azione istantanea di protezione». Che fare allora, sul piano pratico? «Denunciare, senza paura e senza aspettare. E in ogni caso non cercare relazione o “mediazione”, perché questo rafforza lo stalker e ogni tipo di persecuzione», continua la criminologa. «Esistono strutture pubbliche in cui la donna può essere aiutata a gestire e prevenire, come i centri antiviolenza, sempre più definanziati. E senza il lavoro dei centri le tragiche storie di violenza come questa sarebbero in numero ancora maggiore».