L’8 marzo e la lotta di classe

corteo 8 marzo 1981 580x390riceviamo da Norberto Natali e volentieri pubblichiamo

di Norberto Natali

Oggi, prima e più di ogni altra cosa, penso al significato di questa storica giornata: la vera, prima, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. 

Perché scaturisce dalla storia della lotta di classe -ricorda un’orrenda strage di donne in sciopero, bruciate vive dai capitalisti- ed è la giornata internazionale di lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione femminile. In questo senso, è contro le cause (storicamente determinate di questa epoca) di tutte le violenze sulle donne e non solo di quelle (che è naturalmente giusto e necessario combattere) di cui fa comodo parlare all’imperialismo.


Solo la lotta di classe moderna, ispirata dal marxismo e animata dalle forze del movimento operaio (soprattutto dai Partiti Comunisti) poteva individuare la duplice causa della questione femminile: l’oppressione di genere che si trascinava da millenni e il suo “perfezionamento” nella società capitalista. 

In questo sistema, infatti, le donne sono doppiamente oppresse e sfruttate: come lavoratrici (quando la borghesia ha bisogno di loro, considerandole una sorta di “rincalzo” nella produzione o nei servizi ausiliari) e come persone destinate alla riproduzione e “all’allevamento” di nuova forza lavoro.

Per questo l’8 marzo, storicamente, è in primo luogo (benchè non sia solo ciò) una giornata di lotta internazionale delle donne proletarie, avanguardia della lotta di tutte per l’emancipazione e l’uguaglianza. Non a caso, la questione femminile viene continuamente riprodotta -e non può essere risolta, se non per qualche aspetto parziale e superficiale- dal sistema borghese e potrà essere definitivamente superata solo in una società nella quale il potere politico ed economico sia stato conquistato dalle lavoratrici e dai lavoratori.

Questo, checchè ne pensino ricche signore ed attricette (le quali hanno piena ragione a ribellarsi ai soprusi) e i porci miliardari amerikani che approfittano di loro.

Anche per tutto questo “la rivoluzione è femminile”. 

Le donne sono una forza potente della società e delle speranze di un suo cambiamento e si affollano nella mia mente tantissimi nomi di limpide e stupende combattenti per la libertà delle donne e perciò di tutti. Dalle prime rivoluzionarie alle Partigiane, da quante hanno sorretto e reso forte e prestigioso il PCI a tante operaie e lavoratrici che tuttora lottano per difendere il lavoro e i diritti delle proprie famiglie, come quelli alla salute e alla casa, non meno che per la pace e la salvaguardia della natura. 

Come per la classe operaia, anche sulle donne il capitalismo scarica tutti i costi e le degenerazioni del suo potere in putrefazione. Anche in queste settimane nelle quali si parla praticamente di una sola cosa, la borghesia vuol far pagare solo ai lavoratori e alle donne il conto della propria avidità ed incapacità. Nei posti di lavoro, spesso, vengono loro negate quelle cautele eccezionali di cui, invece, godono solo i padroni e i dirigenti delle imprese. Se c’è da sospendere l’attività di un’azienda, la proprietà reclama velocemente indennizzi e risarcimenti, tutti per sé, mentre chi lavora deve consumare obbligatoriamente le proprie ferie, anziché ricevere speciali sostegni economici (come i padroni) e rispettare, almeno in parte, il diritto alle ferie per il riposo con la famiglia.

Di abusi di questo tipo, i lavoratori e le lavoratrici ne conoscono tanti e lo stesso vale per la differenza di trattamento e di speranze nella cura della salute. In questo quadro, non conoscono tregua e non rispettano nulla gli sciacalli imperialisti.

Come in certi racconti, nei quali esseri abietti approfittano di persone gravemente ferite per strappargli qualcosa di valore, i capitalisti approfittano di ogni momento, di ogni problema, per cercare di rubare ancora di più alle classi lavoratrici, alle donne. 

Concludo con un solo esempio, l’editoriale di ieri di un ideologo dell’imperialismo (già senatore del PD) apparso sul più vecchio giornale della borghesia italiana. Dopo qualche banalità, ha subito scoperto le carte: siccome c’è questa epidemia, c’è bisogno di distribuire molti soldi subito, non solo (e non tanto) per il servizio sanitario, ma soprattutto per aiutare le “imprese”, cioè i padroni.

Di seguito ha aggiunto che in questi anni, purtroppo, sono stati spesi (ma intendeva dire “sprecati”) tanti miliardi per misure come “gli 80 euro ai lavoratori più bisognosi, la quota 100, il reddito di cittadinanza”. La conclusione è automatica: se vogliamo combattere il virus, dobbiamo attingere da quelle spese (per non dire sprechi) cioè eliminarle o quasi.

Non una parola sulla costante riduzione di prestazioni, di personale, di reparti ospedalieri (nonché la chiusura di tanti ospedali in tutte le province), insomma gli enormi tagli alla sanità degli ultimi decenni: in molte regioni il personale ospedaliero è stato ridotto anche del 40%. 

Tanto meno sulle regalie alla sanità privata e gli scandali che la riguardano in continuazione.

Non una parola sullo scandalo emerso a forza in questi giorni: perfino la sequenza del COVID 19, come tanti altri meriti contro questa epidemia, va attribuita a scienziati (non a caso soprattutto donne) che sono… precari con stipendi vergognosi! 

Non una parola sull’evasione fiscale dei ricchi, la quale sottrae alle casse pubbliche (sostenute in gran parte dai beneficiari della quota 100 o degli 80 euro) somme che rappresentano almeno 10-15 volte la spesa per il reddito di cittadinanza. 

Questi capitalisti, una volta erano dipinti come squali, oggi sono solo ripugnanti sciacalli i quali -a prescindere da molte considerazioni o quesiti su questa epidemia- non si vergognano neanche oggi di lucrare su una possibile tragedia. Non a caso, il nostro ex senatore PD che vorrebbe combattere l’epidemia (ma solo con i soldi delle lavoratrici e dei lavoratori) non dice una parola, per fare solo due esempi, della vergognosa decuplicazione dei prezzi di prodotti igienici essenziali oppure dei miliardi spesi per il cosiddetto “cuneo fiscale”: quello conviene anche ai padroni!

Le donne sanno bene cosa significa dover lavorare fino a 67 anni e quanto è faticoso sostenere le conseguenze dell’epidemia. 

Si, anche questo 8 marzo -benchè si parli solo di virus- è una splendida giornata, al pari di tutte quelle degli altri anni, per nutrire la coscienza di classe e la convinzione che la rivoluzione è necessaria e che la rivoluzione è femminile.