“NonUnaDiMeno” Tutte insieme contro la violenza maschile sulle donne

roma 261116di Marica Guazzora per Marx21.it

“Se la mia vita non vale producete senza di me”

Il 26 novembre prossimo  le donne scenderanno in piazza a Roma  per presentare il “piano delle donne femministe contro la violenza di genere”. La giornata del 27 novembre ospiterà invece tavoli tematici e workshop “per elaborare le proposte su temi che spaziano dal diritto alla salute, alla libertà di scelta, all’autodeterminazione in ambito sessuale e riproduttivo, al lavoro, al welfare, al femminismo migrante, al sessismo nei movimenti”.

La manifestazione di Roma sarà il seguito di  un percorso contro la violenza iniziato già da mesi  e in continua evoluzione con iniziative e dibattiti. Significativa la data scelta perché il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne. Unica nota stonata, e non da oggi, è il non volere in corteo bandiere di partiti e di sindacati, una scelta che non capisco e non ho mai condiviso. Si tratta di una vecchia polemica irrisolta. 

Comunque è un evento straordinario e coinvolgente, nel quale è estremamente  importante esserci e al quale hanno aderito centinaia di associazioni femministe e femminili.  Ma non sarà esaustivo. Perché ci basta forse una mobilitazione seppur grande una volta o due  all’anno per sentirci come “rassicurate” che si sta facendo tutto il possibile? Oppure occorre indagare più a fondo l’animo maschile, iniziando dall’educazione e dalla cultura? Io credo che sfilare sia importantissimo, essere in tante di più, e noi ci saremo,  ma non basta. Non basta. I femminicidi non si fermano, la violenza contro le donne non si ferma mai. Bene hanno fatto quindi le donne ad organizzare anche la giornata del 27 per i tavoli tematici.  E la lotta continuerà.

Cose di poco conto, piccole e banali,  che mi vengono in mente: ma possiamo cominciare da noi? Per esempio a pensare che si smetta in famiglia di dire al figlio o al nipote maschio “non fare questo che non sei una femminuccia?” già così dispregiativo come termine, come se essere donna fosse comunque sinonimo di inferiorità?

Possiamo pensare di educarlo esattamente come educhiamo le figlie femmine alle faccende domestiche, al lavoro di cura,  senza che si senta meno virile? Con pari diritti e doveri? E magari possiamo insegnare anche che le donne non si picchiano nemmeno con un fiore iniziando con il non menare la sorellina?

Il diritto al rispetto e alla parità di genere deve iniziare  in  casa, in famiglia, nei gesti del quotidiano, e poi continuare a scuola e nella società,  nella difesa del più debole e del diverso contro ogni forma di sessismo e di razzismo.

Certo che con esempi dall’alto come quelli che abbiamo  avuto prima con Silvio Berlusconi che sulle donne aveva detto e fatto di tutto e di più,  e avevamo messo in campo grandi mobilitazioni contro (ricordate la Mafalda che ci rappresentava tutte “Non sono una donna a sua disposizione”?).  Adesso con Matteo Renzi,  un altro omuncolo che si circonda di belle e giovani donne perché l’immagine sembra essere la sola cosa che conta,  diventa forse ancora  più complicato spiegare come non può essere una minigonna o un certo tipo di trucco a stimolare la sua virilità e soprattutto  a giustificare ogni sua violenza, a dargli l’illusione che tutto gli sia concesso perché la donna è solo una “cosa”, un  corpo da prendere, carne da usare a piacimento, vuoi con il mobbing familiare, con quei comportamenti denigratori in grado di annullare la personalità e ridurre l’autostima della donna, vuoi con le botte che sempre inducono certi giornalisti, in una sorta di copertura neanche tanto velata, a dire che sono “affari di famiglia” perché se una donna viene picchiata, torturata,  uccisa dal proprio compagno o ex è perché lui ha tanto sofferto di essere stato lasciato, povero essere incompreso!

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Si va sempre alla ricerca della ragione psicologica,  per  trovargli una scusa, quella  che lo ha portato a massacrare la moglie e magari anche  i figli. Non è quel brav’uomo improvvisamente impazzito, è molto più semplicemente un bastardo assassino. Quando non sono proprio le madri dei violentatori in branco a difendere con le unghie e con i denti  i propri figli perché in fondo lei se l’è cercata visto che “era solo una puttana che ci stava” perchè “guarda come andava in giro di notte”.

Ma voglio forse dire che la colpa è comunque delle donne, madri o vittime?  No. E’  un certo tipo di  società sempre più retrograda che ti circonda e ti soffoca con  i suoi luoghi comuni, con una subcultura che non lascia spazi per la nostra autodeterminazione. Occorre che gli spazi ce li ri-prendiamo.

La violenza va fermata. Il mostro che non vive sotto il letto ma dorme con te va denunciato,  ci sono i Centri Antiviolenza che, pur con scarsi mezzi, hanno dimostrato di poter aiutare le tante  donne che ne hanno sempre più bisogno. Perché è ormai assodato che nella maggioranza dei casi l’assassino vive in famiglia. Ma si  chiama anche obiettore di coscienza come nel caso di Catania, dove una donna è stata lasciata morire da un medico obiettore, una categoria questa, senza vergogna.

La violenza ha diverse forme, ricordano le donne del comitato “Non una di meno”, e il fenomeno è complesso e strutturale, e non può essere affrontato con politiche emergenziali e securitarie. Le donne del comitato hanno più volte ricordato le battaglie portate avanti dalle donne polacche, argentine, curde “che hanno saputo mettere in crisi la torsione antidemocratica in atto a livello globale”. La violenza, spiega infatti il comitato, è prodotta anche “da un sistema politico, economico, culturale e sociale che genera forme di sessismo, trans-omofobia e razzismo”. 

In certe situazioni del mondo le donne non sono nemmeno “cose”. Violenza sulle migranti che scappano dai territori di guerra,  “paradisi sessuali” di cui si servono anche gli italiani e che sono covo di sfruttamento  e tortura per bambine/i. La tortura che è anche quella di far sposare una bimba ad un uomo anziano che spesso significa per la bimba dolore e morte.

Il livello internazionale dello scontro è altissimo, nella pericolosità delle guerre, dove la donna è quella che più ne patisce le conseguenze, con gli stupri da sempre usati come arma. Certo la Clinton, che è una pericolosa guerrafondaia dichiarata,  non sarebbe stata meglio di Trump e la sua presidenza  probabilmente un disastro per i popoli di tutto il mondo che lottano per la propria indipendenza e  contro l’imperialismo degli Stati Uniti. In questo caso il “genere” non va esaltato perché la “prima donna” può essere peggio dell’”ultimo uomo”. 

L’Italia continuerà ad essere succube degli Stati Uniti  e teniamo d’occhio quel ridicolo  macho, tanto siamo già abituate, ma se abbiamo evitato la guerra, è già un enorme guaio in meno, il resto sarà da analizzare.

Ben vengano le tante manifestazioni #nonunadimeno nel mondo  ma perché questo titolo non rimanga solo tremendamente  simbolico occorre fatica, occorre che ce la mettiamo davvero tutta.  “Scusate il disturbo ma ci stanno ammazzando”  questo il cartello tra migliaia di altri delle donne dell’America Latina che sono idealmente “scese in sciopero” l’8 ottobre  scorso  lasciando uffici, scuole, case. Sono scese in strada per dire basta alla violenza dopo l’ennesima uccisione, quella di una ragazzina  argentina,  Lucia Péres,  16 anni, violentata, torturata e uccisa.

Anche in una società che regredisce in modo allarmante come la nostra, nella cultura e nel sociale,  bisogna pensare che se regrediscono le lotte e le conquiste  delle lavoratrici e dei lavoratori, regrediscono anche quelle per l’emancipazione della donna, per il mantenimento dei diritti conquistati sia nella lotta di classe che in quella femminista. 

Bisogna coniugare la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori legandola sia alla lotta antimperialista e anticapitalista che a  quella femminista,  magari usandone le stesse forme , facciamo  sciopero per il lavoro e contro la disoccupazione? Facciamo sciopero  contro la guerra e per l’uscita dell’Italia  dalla Nato e  facciamo sciopero contro lo  sterminio delle donne.  “Se la mia vita non vale producete senza di me”, un altro significativo slogan delle donne di Buenos Aires dalle quali imparare.