Per favore, non chiamatele neocomuniste…

di Delfina Tromboni

 

indignateLeggo con qualche inquietudine su “Repubblica” di oggi (Le cattive ragazze del sacco di Roma di Corrado Zunino) che tra le componenti di un centro sociale bolognese, l’anarchico Fuoriluogo, ci sarebbe una “attempata” cinquantacinquenne ferrarese, Stefania Carolei…Carneade, chi era costei? Eppure, è della mia generazione, se ancora anarcheggia in quel di Bologna, dovrei ricordarmela… Zero assoluto. Forse perché io sono comunista, penso, e le mie frequentazioni anarchicheggianti risalgono alla mia pubertà… Poi l’occhio, che velocemente percorre un articolo che trovo un po’ scontato, cade su quel termine: “neocomuniste”. Eh, si! Seguendo la più consolidata tradizione disinformativa, che data almeno dagli “Album di famiglia” degli anni 70, il giornalista fa un bel calderone tra “ragazze violente”, “anarcosituazioniste”, “donne brigatiste”, “teoriche antisistema” e, per l’appunto, “neocomuniste”. Sono, naturalmente , indistintamente “studentesse”, “precarie” e “figlie di papà”: quella innominabile genìa da poutpourrì interclassista accomunata soltanto dall’essere “le donne del capo” (pardòn, oggi si scrive che “baciano in piazza i fidanzati”), a cui ci aveva abituato il senso comune post sessantottino reiterato stancamente negli anni 80 e 90 del secolo scorso… Possibile che mai nulla cambi, sotto il sole? mi chiedo. Possibile che con tutto quello che è successo prima, durante e dopo il 15 ottobre, certa stampa ancora veda soltanto le scenette da fotoromanzo in cui ruoli e situazioni si ripetono stancamente come se la storia, nel frattempo, non avesse navigato? Mi chiedo, tra l’altro, se chi ha scritto l’articolo metterebbe tra le “teoriche anti-sistema” così pericolosamente adiacenti al terrorismo anche le tre donne che hanno appena ricevuto la nomination per il Nobel per la pace… che altro non è, se non “anti-sistema”, una che teorizza addirittura lo sciopero sessuale di antica e classicissima memoria per indurre i maschi bellicosi del suo Paese a smettere di ammazzarsi l’un l’altro? Glisso, tuttavia, da questa domanda. Perché quel che mi è realmente insopportabile è che si associ il comunismo, qui in Italia, sia pur quello neo- del XXI secolo, all’azione luddista, all’attentato anarchico, alla manifestazione violenta contro discutibili “simboli” del sistema. Il Comunismo, in Italia come altrove, ha sempre condannato il luddismo (la distruzione materiale delle cose, le “macchine” nell’Ottocento, le “vetrine delle banche” in questo confuso inizio di terzo millennio) perché lo ha sempre ritenuto insensato; il comunismo non è mai stato, né in Italia né altrove, per il “bel gesto” esemplare, per l’eliminazione di un essere umano senza colpe dirette per il suo rappresentare un “simbolo” del sistema. Certo, quando la polizia di Scelba sparava sugli scioperanti e li uccideva, anche il PCI non fu tenero con quei rappresentanti delle forze dell’ordine. Ma mai rinunciò a chiederne la democratizzazione (io stessa, appena ventenne, entravo nelle caserme il 4 novembre per diffondere di nascosto volantini mentre fingevo di essere la fidanzata di uno sconosciuto soldatino comunista come me) e mai, soprattutto, smise di denunciare il ricorso alla violenza singola, di gruppo e di piazza, che – negli anni del terrorismo come oggi – nessun altro risultato sortiva che mettere in discussione la liceità delle manifestazioni operaie, studentesche, femminili.
I comunisti italiani hanno questo nei loro album di famiglia.

Per cui, per favore, le ragazze e le donne più o meno “attempate” che hanno lanciato sampietrini e menato bastonate a Roma, non chiamatele neo- comuniste…