Conversazione con Gianni Rinaldini

di Pino Salerno | da www.paneacqua.eu

 

rinaldini-w350Settimane complesse e decisive per la Cgil. Impegnata sul fronte esterno a contenere, con Cisl e Uil, le lunatiche proposte di riforma del mercato del lavoro e dell’articolo 18, avanzate dal ministro del Welfare, Fornero, appare costretta, sul fronte interno, a far quadrato attorno al conflitto innescato dalla Fiom di Landini nei confronti della Fiat. La posta in gioco è altissima: un intero gruppo dirigente sindacale è messo alla prova, di credibilità, di sostenibilità del conflitto, e di consenso sociale sulle proposte. Ne abbiamo parlato con Gianni Rinaldini, ex segretario nazionale Fiom e attualmente coordinatore di “La Cgil che vogliamo”, la minoranza interna alla Cgil.

 

“Intanto, analizziamo cosa è accaduto nelle settimane scorse”, ci dice Gianni Rinaldini, “quando il Direttivo nazionale si è riunito due volte sulla questione Fiom, rischiando una clamorosa quanto insanabile rottura. Da questa vicenda si può leggere in controluce quanto sta accadendo, non solo nella Cgil, ma nel Paese. Nel corso del primo Direttivo, era stata posta all’ordine del giorno addirittura in modo diretto, la cosiddetta sconfitta della Fiom nei confronti della Fiat, dopo il Referendum tra i lavoratori. Mentre la posizione della Fiom sosteneva che invece la partita con la Fiat è ancora aperta, e non è detto che debba concludersi con la sconfitta dei lavoratori. Insomma, furono elaborati e presentati al Direttivo due documenti. Col primo, sostenuto dalla segreteria attuale della Cgil, si stigmatizzava la sconfitta della Fiom, si esprimeva un giudizio ideologico e sostanzialmente si ponevano le basi per un commissariamento della Federazione, cosa mai accaduta nella storia sindacale italiana. Col secondo documento, sostenuto ovviamente dalla Fiom, da aree della maggioranza e da tutta la minoranza, si invitava la Cgil a riflettere su una partita, quella con la Fiat e non solo, che resta aperta alle iniziative sindacali, proprio a partire dalle conclusioni dell’accordo siglato lo scorso 28 giugno da tutti i sindacati confederali. Paradossalmente, il documento elaborato dall’attuale gruppo dirigente della Fiom rilanciava l’accordo del 28 giugno denunciandone il sostanziale tradimento da parte della Fiat”.

La questione non è di poco conto. La Fiat ha compiuto due mosse fondamentali sullo scacchiere delle relazioni industriali, dopo la vittoria nel Referendum tra i lavoratori. La prima è stata quella di lasciare la Confindustria, dopo la costituzione di Fabbrica Italia. La seconda, quella di aver pertanto avviato, sentendosene legittimata, una contrattazione aziendale, mettendo alla porta la Fiom, quale organizzazione non firmataria degli accordi sindacali. All’indomani di queste mosse strategiche, ha messo sotto scacco il Paese con la complicità di Sacconi, all’epoca ministro del Lavoro, facendosi approvare su misura il famigerato articolo 8 dell’ultima manovra finanziaria targata Tremonti. Così, ha convinto l’intera Federmeccanica, organizzazione padronale che raccoglie gli industriali metalmeccanici, a seguirne le orme, sul piano dell’applicazione dei contratti aziendali in deroga al Contratto collettivo nazionale di lavoro. La Fiat ha dunque costruito la sua egemonia in materia di relazioni industriali.

“Di fatto”, ci racconta Rinaldini, “con l’approvazione dell’articolo 8, la Fiat ha vinto la sua battaglia, ma non la guerra. Ciò apre due potenti questioni. La prima è relativa all’orario di lavoro: se lavora su 6 turni, un operaio fa 120 ore di straordinario obbligatorio, con un obbiettivo aumento dell’orario di lavoro. Perciò, invece di incentivare fiscalmente la riduzione dell’orario di lavoro, si premia lo straordinario defiscalizzandolo. Così non si crea nuova occupazione. La seconda è relativa agli investimenti promessi e al rilancio del prodotto Fiat. Nessuna delle due promesse è ancora stata mantenuta, e forse mai lo sarà, viste le ultime dichiarazioni di Marchionne”.

Ma la vicenda Fiat propone un altro enorme tema, dopo la cacciata vera e propria della Fiom dalle relazioni industriali col gruppo. Pone il tema costituzionale della democrazia in fabbrica. È qui che si sono manifestate le crepe, le fratture più profonde tra l’analisi della Fiom e di un segmento della Confederazione e quella proposta dal documento della maggioranza della Cgil. “Abbiamo avuto l’impressione che la Cgil”, secondo Rinaldini, “non abbia compreso del tutto il senso generale del livello strategico e la radicalità dei processi in atto. È messa in discussione la democrazia, non solo nelle fabbriche, ma nel Paese. E la democrazia, i diritti costituzionali, sono parte integrante del conflitto sindacale e sociale. La nostra posizione, esposta nel corso del secondo Direttivo Cgil, è solida e nasce dalla convinzione che nell’epoca della crisi, dell’individualismo e dell’etica del si salvi chi può, il ricatto occupazionale rende tutto opaco e sostituibile, perchè sostenuto dalla logica contingente della contrapposizione tra lavoro e diritti. Insomma, la tesi di Marchionne e la posizione della BCE coincidono, di fatto. Nell’epoca della globalizzazione, ci dicono, tutto dev’essere reso funzionale alle esperienze del mercato e dell’impresa, e non è tollerato alcun vincolo sociale. In quest’ottica, il ruolo del sindacato diventa marginale. Anzi, si vuole che esso sia ristretto all’azienda, come negli Stati Uniti, diventando un sindacato di mercato. E quando si espelle il sindacato dalle fabbriche, ecco che si riduce il costo del lavoro, a detrimento delle tutele e dei diritti, proprio come è accaduto alla Chrysler. Invece, si teme il sindacato che pone vincoli al mercato, a partire dal superamento della concorrenza tra lavoratori e tra lavoratori e disoccupati. La Fiom, evidentemente, è su quest’ultima linea”, conclude Rinaldini.

Nella seconda riunione del parlamentino Cgil, la tesi della Fiom ha trovato finalmente orecchie più sensibili, al termine di una discussione vera e articolata. E si è conclusa con una posizione unitaria e condivisa. “Sottolineo, in particolare, il sostegno di tutta la Cgil a due iniziative lanciate dalla Fiom: il referendum tra tutti i lavoratori della Fiat e lo sciopero dei metalmeccanici del prossimo 11 febbraio. Il referendum abrogativo è previsto dall’accordo del 1993 e prevede che basti il 20 per cento delle firme raccolte tra i lavoratori del gruppo per richiederlo e ottenerlo. Ad oggi, la Fiom ha raccolto più di 20mila firme, sugli 83mila lavoratori del gruppo. Ben al di sopra della soglia del 20 per cento. Per ovvie ragioni democratiche, presumo che il referendum debba essere indetto, con tutte le conseguenze che esso comporterà, sia che lo si vinca, sia che lo si perda. Il segretario della Fiom, Landini, ha già annunciato che su quel referendum si mette in gioco l’intero gruppo dirigente della Federazione dei metalmeccanici Cgil. E il prossimo 11 febbraio, a piazza san Giovanni a Roma, avrà luogo una grande manifestazione per la democrazia e i diritti negati, non solo nelle fabbriche. Insomma, la questione della democrazia torna ad essere punto centrale e dirimente nel conflitto sindacale. Ed è un ottimo risultato. Per la Cgil, per la ripresa del conflitto, e per il Paese”.