La morte bianca è un omicidio del capitale

morti bianchedi Davide Viganò | da ilbecco.it

I numeri sono importanti. In un’epoca in cui non ci fidiamo più dell’essere umano, delle ideologie, della fede, cosa ci rimane per spiegare e comprendere la vita? Come possiamo capire di aver un problema? Con i numeri, la statistica, tutto vero. Scientifico.

E allora guardiamo un po’ quello che ci dicono nel campo delle morti bianche. Nel 2017 abbiamo avuto 1029 morti sul posto di lavoro. Un incremento del 1,1% rispetto al 2016. Secondo le analisi dell’Osservatorio Sicurezza la fascia d’età dei lavoratori più colpita è quella che va dai 55-64 anni con un incidenza sui totali degli occupati del 61,2 (30, 8 % degli occupati) segue poi la fascia che va dai 45 ai 55 anni. Il sud è particolarmente colpito da questo fenomeno, come la provincia di Roma, e il Nord. In realtà non ci sono vere e proprie isole felici. Questo triste fenomeno coinvolge l’intera nazione. Questo è il link da cui ho tratto questi dati.

Possiamo passare ore a parlare, dati in mano, di come il 2017 sia migliore o peggiore del 2016. O di altri anni. Possiamo dare la medaglia alla zona con più morti e applaudire quella che ne ha di meno. Persino vantarci di avere un’ottima legge sulla sicurezza del lavoro. Rimane un fatto che nessuna statistica potrà spiegare o farvi toccare con mano: la morte di una persona, un essere umano, sul posto di lavoro. Quel posto in cui con fatica, sudore, un uomo offre la propria vita, libertà, tempo, per un solo motivo: aver in cambio una retribuzione che gli permetta di vivere dignitosamente. Lui e i suoi cari.

Non vi dicono i numeri nulla circa quei lavoratori morti in Emilia Romagna, pochissimo tempo dopo che la zona era stata colpita da un terremoto, perché il padrone li aveva esortati a lavorare in un capannone poco sicuro. Per produrre, far profitto. Intervistato dal telegiornale, un operaio affermò che non poteva assolutamente negare la sua presenza in quel posto pericoloso. Non lo poteva fare. Egli era uno straniero e loro subiscono, da parte di alcuni criminali, dei veri e propri ricatti. Non vi dicono i numeri e le statistiche, il dolore e l’agonia di quell’operaio romeno bruciato vivo dall’imprenditore per cui lavorava. Aveva la colpa di domandargli i soldi dello stipendio che non arrivavano da troppo tempo. Non sentiamo il respiro divenire sempre più affannoso, bloccato dall’amianto. Ci dicevano che non c’era pericolo, no? Mi pare che dicevano proprio così.

Come abbiamo cominciato questo 2018? Secondo i dati dell’Osservatorio indipendente di Bologna sono 176 le morti sul posto di lavoro. Da gennaio ad oggi. Spesso morti che passano inosservati, notizie fugaci tra la strumentalizzazione e manipolazione di avvenimenti in ambito della politica internazionale, sport, la politica e le sue polemiche. A volte qualche notizia crea un po’ di orrore e scandalo, come i sei operai arsi vivi qualche anno fa, o quando scopriamo che esiste il caporalato e che certi padroni alle loro lavoratrici chiedono prestazioni sessuali. Arriva l’indignazione e ci diamo da fare con post dal linguaggio crudo e spietato, che fa tanto vero rivoluzionario, su Facebook.

Ma cosa piangiamo? Cosa ci spinge all’indignazione? Un simbolo, un numero. Proprio perché viviamo in anni di sconfitta dell’essere umano. Non riusciamo proprio ad arrivare a immaginare, sentire, la vita degli altri. Tutto nasce e finisce con noi. Per questo una statistica può esserci di aiuto. Almeno conosco i numeri e paragonandoli cogli anni precedenti, dire: “Oh, comunque sono diminuiti i decessi!” Va bene, va bene così. Fossero anche mille morti in meno, fosse pure che le cose stanno migliorando, e per ora non mi pare ma mi piace essere smentito quando i dati saranno più sicuri, c’è una vita umana in meno su questo pianeta, non quella di un criminale che scioglie i bimbi nell’acido o di un folle che falcia le persone per strada, ma quella di un uomo, spesso un proletario, costretto dallo Stato a lavorare fino a un’età in cui le forze cominciano a venire parzialmente in meno.

La morte bianca è un omicidio del capitale. Un atto di terrorismo portato avanti dal padronato, chiamiamolo come si chiama senza inventare termini più digeribili  per certi liberali a cazzo di cane, il tutto per far incrementare la produzione, per il profitto e l’arricchimento di pochi su molti. Tutto qui. Certo è meglio qualche lacrima facile, qualche numero, qualche post incazzato, meglio che prender atto della pericolosità del sistema capitalista, di una guerra classista contro i ceti meno abbienti e le classi di vecchi e nuovi proletari, divisi e indeboliti anche dalla precarietà e dal nuovo mondo del lavoro.

In questi anni di crisi e disoccupazione al lavoratore è richiesto tutto il suo tempo. Con pochi diritti e tanta fatica. Tempo fa si discuteva sul fato che in Italia ci fossero gli stipendi più bassi in Europa. Per cui tanto sacrifico per quasi nulla. Un sistema del lavoro sotto il capitale terrà ad occuparsi sempre di più della merce che della salute dei suoi lavoratori. Tanto che anche essi penseranno che le leggi per la sicurezza rallentano il lavoro, frenano la libertà del padrone e il profitto, per questo meglio andare al lavoro senza protezione di sorta. Tempo fa, dalle mie parti, alcuni compagni fotografarono dei muratori che lavoravano senza casco. Mi pare che queste foto e un comunicato furono pubblicate su un giornale locale, non c’è stato nessuna reazione politica importante su un fatto simile.

Le morti bianche diventano così simboli, occasione di un pianto collettivo, di nomi da aggiungere alla nostra memoria. La legge talora punisce i responsabili, altre volte non come ci aspettiamo, qualche volta non succede nulla. Un problema forte è la scomparsa della sinistra lavoratrice e proletaria. L’inefficacia delle ultime lotte contro la precarietà, quel vuoto e distacco sociale che si è creato fra classi meno abbienti e presunta avanguardie politiche. Molti lavoratori guardano ai compagni con distacco o con rabbia, preferiscono trattare personalmente col padrone, preferiscono creder alle sue parole, poi sfogano la rabbia contro gli ultimi. Protestano per la chiusura del loro posto di lavoro, ma non solidarizzano con altri colleghi nelle stesse condizioni.

Le morti bianche vengono viste anche da alcuni lavoratori, come degli spiacevoli incidenti. E non omicidi veri e propri. Come quello ai danni dell’operaio egiziano stritolato da un camion, fatto partire con insistenza dal padrone di turno. Omicidi voluti e cercati, non casuali. Perché caricare di lavoro un uomo di 64 anni vuol dire cercare la disgrazia e questa disgrazia è voluta da chi fa le leggi e da chi – di queste leggi – approfitta per diventare sempre più ricco. Ieri era il primo maggio, questo articolo lo sto scrivendo il 30 aprile per cui non so come andranno le manifestazioni e non so nemmeno se hanno un senso. Forse no. Le ultime a cui ho partecipato, organizzate da cani sciolti, ribelli a vanvera e gruppi vari, facevano davvero pietà. Però non voglio essere del tutto disfattista.

Ci sono ottimi compagni in grado di portare per le piazze la testimonianza di una lotta giusta e doverosa per le classi sociali proletarie e le masse quasi sempre esclusi dai pensieri e azioni di questa borghesia italica spocchiosa e squallida. Che magari due parole per dei diritti civili a caso le spende, che si mette anche la mani davanti alla bocca al fin di venir bene nel selfie socialmente impegnato, ma che di fatto – come ho già scritto in precedenza LINK – detesta le masse e la classe proletaria. Da parte loro arriveranno forse delle lacrime di circostanza, ma sta a noi comunisti indicare la via obbligatoria e giusta per rendere giustizia ai morti, ai feriti, ai disabili, caduti mentre stavano lavorando, per il sostentamento delle loro famiglie: il superamento del capitalismo. Soprattutto dopo trenta e passa anni di totale e indisturbato dominio.

Fermiamo la mattanza voluta dal profitto e difendiamo le vite umane! Basta morti bianche!