A proposito dei dati ISTAT e delle dichiarazioni di Renzi

ISTAT facebookdi Giorgio Langella, Direzione nazionale PCdI

A leggere le interviste o le dichiarazioni di Renzi ci si rende conto dell’infimo livello al quale sia ridotta la politica in Italia. Domenica 30 agosto sul Corriere della Sera è comparsa un’intervista di Aldo Cazzullo al presidente del consiglio. Due pagine intere di domande e risposte dove le domande sono quanto di più innocuo possa esserci e le risposte sono un misto di propaganda e annunci. Una intervista di regime.

Renzi ci spiega che i numeri relativi all’occupazione e dati inizialmente a caso dal ministero del lavoro sono comunque buoni e dimostrano la che la ripresa c’è (che sia il famigerato “botto” che Renzi aveva previsto per settembre?).  Renzi aggiunge che “gli occupati crescono” prevedendo il dato relativo al tasso di occupazione  e a quello di disoccupazione che l’ISTAT ha diffuso oggi relativi al mese di luglio, rivedendo quelli di giugno (PIL compreso) in maniera “più vicina” alle aspettative del governo rispetto alla penultima rilevazione. Dice, oggi, Renzi (con un videomessaggio in perfetto stile berlusconiano) che settembre inizia con lo “straordinario successo” dell’Expo e con i numeri buoni diffusi dall’ISTAT: 44.000 nuovi occupati e 143.000 disoccupati in meno.

Bene, anche se sarebbe opportuno vederli tutti, i dati. Perché i dati che vengono meno diffusi ci dicono che la forza lavoro è diminuita e che, di conseguenza, ci sono 99.000 inattivi in più. Più che un “botto”, un “petardo” utile a enfatizzare un successo occupazionale frutto anche della diminuzione dei pensionamenti dovuti alla cosiddetta “legge Fornero” (e, infatti, l’aumento degli occupati a tempo pieno risulterebbe dovuta soprattutto a lavoratori che hanno più di 45 anni). Ma è la solita abitudine di leggere (e diffondere) i dati senza analisi né interpretazione e senza metterli in relazione tra loro. E non sarebbe, forse, interessante capire anche quale sia e dove vada a finire la effettiva ricchezza prodotta da questa “maggiore” occupazione e dall’aumento del PIL (che l’ISTAT ha ritoccato al rialzo rispetto alle stime fornite solo poche settimane fa)? Viene distribuita a chi lavora o contribuisce solo ad aumentare la ricchezza di pochi? E i 44.000 posti creati a luglio potranno saranno duraturi o sono soprattutto dovuti a lavori stagionali tipici dell’estate? E quanti di questi sono pagati con voucher? Infine, perché i dati mensili relativi agli occupati del 2014 forniti dall’ISTAT a gennaio 2015 sono diversi da quelli degli stessi mesi forniti adesso? Basta un semplice confronto tra i dati contenuti nell’archivio delle serie storiche pubblicato il 30 gennaio 2015 (che, per il mese di luglio 2014 riportava 22.402.000 occupati) e quello appena diffuso (che, sempre per luglio 2014, rileva 22.243.000 occupati) per avere qualche dubbio su quale sia il dato corretto. I dati contenuti nell’archivio più recente evidenziano un aumento dell’occupazione tra luglio 2014 e luglio 2015 di ben 236.000 unità. Se invece si confrontano i dati diffusi a inizio 2015 l’aumento si riduce drasticamente a 77.000 unità. Risulta difficilmente comprensibile cosa possa essere successo tra gennaio e settembre del 2015 (quando, cioè, sono stati pubblicati i dati) per ottenere una differenza numerica così evidente. Una differenza che giustifica più di qualche dubbio sull’utilizzo di numeri che si presume siano stabilizzati. Che si sia verificato un “errore” simile a quello di qualche giorno fa che raddoppiava i dati forniti dal ministero del lavoro?

Renzi, poi, afferma “le tasse le ho abbassate sul serio” e fa riferimento agli 80 euro che gli permisero di vincere le elezioni europee (grazie anche a un consistente assenteismo). Qua bisognerebbe mettersi d’accordo perché, se viene vista dalla parte del contribuente non evasore, la maggiore disponibilità di denaro che dovrebbe esserci qualora le tasse fossero veramente diminuite è soltanto un annuncio propagandistico. I dati relativi all’aumento della povertà e i soldi che si devono sborsare per tasse territoriali, per avere accesso a una sanità che dovrebbe essere sostanzialmente gratuita ma non lo è o per poter usufruire di un’istruzione che è garantita a tutti dalla Costituzione ma costa tantissimo, lo dimostrano chiaramente. Renzi continua con dichiarazioni di equidistanza tra berlusconismo e antiberlusconismo. Lui non è “contro” ma “per”, sostiene, e non prende posizione. Una posizione che, se si parlasse di fascismo e antifascismo, è generalmente espressa da chi si sente vicino a Mussolini ma non lo dice per convenienza. Non prendere posizione su queste “materie” fa venire alla memoria un vecchio detto secondo il quale chi non è da una parte del muro e non sta neppure dall’altra,  è il muro stesso. Renzi, fondamentalmente fa parte di quella schiera di “indifferenti” che Gramsci odiava a ragion veduta. Ma il giovani presidente del consiglio tocca il vertice del proprio pensiero quando spiega come vorrebbe finanziare l’annunciata cancellazione delle tasse sulla casa (via IMU e TASI per tutti, come ha recentemente promesso seguendo le orme del Berlusconi di qualche anno fa). Si capisce che il taglio delle tasse sarà fatto aumentando il debito pubblico. Geniale. Renzi fa credere di abbassare le tasse e, invece, le farà pagare, e con gli interessi, a tutti i contribuenti onesti semplicemente aumentando, appunto, il debito pubblico.

E non c’è, neppure all’orizzonte e neppure alla fine di quel tunnel che si allunga con ostinazione anno dopo anno, nessuna strategia tendente a far applicare la Costituzione nei principi fondamentali di equità, solidarietà e nei diritti universali al lavoro, alla casa, alla salute e all’istruzione in essa contenuti e che devono essere garantiti dalla Repubblica (e, quindi, dalle Istituzioni pubbliche).

Il riferimento è alla Costituzione, quella vera del ’48 e non a quell’insieme di articoli diventati illeggibili, vincolanti e contraddittori nella quale una pattuglia di personaggi nominati la sta trasformando, anche con la modifica dell’articolo 81 che introduce la norma del pareggio di bilancio e che è stata prima proposta come riforma costituzionale dall’ultimo governo Berlusconi e quindi votata a larghissima maggioranza durante l’ormai famigerato governo Monti di “unità nazionale”.

Il riferimento è alla Costituzione, quella vera del ’48, che prevede la progressività dell’imposizione fiscale a seconda della ricchezza di ognuno, e che prevede un ruolo determinante del pubblico in economia, che impedisce speculazioni di qualsiasi tipo, che obbliga le imprese private a un ruolo sociale contrastando le delocalizzazioni. E che non esclude affatto l’introduzione di una tassa patrimoniale strutturale che permetta di raggiungere una maggiore giustizia fiscale e che  impedisca la sperequazione sempre più evidente tra i pochi che hanno la maggioranza della ricchezza del paese e i tantissimi che si impoveriscono ogni giorno di più.