Donne e lavoro: un “ritorno indietro”?

di Delfina Tromboni, responsabile settore di lavoro “Identità, generi, trasformazioni culturali” del Dipartimento cultura della Direzione nazionale del PdCI
 

operaia lavoroR375 15nov08Tra i commenti agli ultimi dati sulle persone in cerca di occupazione (in Italia quasi 5.000.000 ormai, di cui 3.000.000 circa hanno smesso di cercare…), ce n’è uno che mi ha lasciata alquanto perplessa. Tra i 3 milioni che un lavoro ormai hanno rinunciato a cercarlo,si legge, le donne sono in prevalenza; tra le donne,la maggior parte ha tra i 18 ed i 24 anni. Proprio tra queste ultime, poco più che ragazze, per la gran parte del Sud, si assisterebbe ad una sorta di “ritorno indietro”: non cercherebbero cioè lavoro perché orientate a restare a casa, per badare alla famiglia.
E’ vero, lo ammetto: sono una vecchia femminista, e sempre mi metto in sospetto quando l’informazione “spara” affermazioni sull’orientamento delle donne non supportate da dati convincenti. E sono anche, lo so, una vecchia comunista, che sul valore del lavoro per le classi (e per il sesso) subalterni (gramscianamente parlando) ha costruito tutta la sua lunga ed ostinata militanza. Per il concorrere di questi due fattori, che fanno indubitabilmente di me un “dinosauro” della storia e della politica, sono portata a dubitare fortemente che i numeri citati testimonino quanto ho appena citato.

Primo. Per quale ragione una ragazza tra i 18 ed i 24 anni dovrebbe fare liberamente una scelta così precoce per la “casalinghità” ? La crisi morde ovunque, l’Italia ha il record della disoccupazione e dell’inoccupazione, pari se non sbaglio a tre volte la percentuale europea. In compenso ha il record delle forme contrattuali le più diverse(46), indotte da una flessibilità malata che ha fruttato soltanto precarietà selvaggia. Manca qualsiasi forma di sostegno al reddito di chi è costretto/a a vagabondare tra un contratto a progetto ed uno a chiamata, tra un part time forzato ed un tempo che più determinato non si può. Manca di servizi sociali ed educativi, per l’infanzia soprattutto, e di servizi per gli anziani, che sono invece patrimonio indiscusso delle più antiche socialdemocrazie europee. Manca di una politica scolastica, della formazione e dei saperi che sappia indirizzare le predilezioni personali verso sentieri di lavoro,mestiere e carriera non lasciati all’autodeterminazione da far west che tutti e tutte conosciamo nel nostro Paese. Ha la classe padronale più incompetente in fatto di ricerca ed innovazione finalizzate all’affermazione del prodotto sui mercati globalizzati e , nel contempo, più avida e meno “responsabile” dal punto di vista del fisco dell’universo mondo. Ha una classe politica che per vent’anni ha pensato (e ahimè ancora presume attraverso la palese finzione dei “tecnici” al governo…) che si potessero aumentare i consumi a fronte di un contenimento esasperato dei salari e delle pensioni… Qualsiasi ginnasiale dei tempi miei avrebbe spiegato sbalordito a tali “maestri” che si tratta di un ossimoro, di una contraddizione in sé, talmente evidente e plateale da non aver bisogno di alcuna spiegazione aggiuntiva…

Quindi, per quale incomprensibile ragione una giovane ragazza dovrebbe essere in grado di scegliere liberamente, in un tale contesto, la cura della famiglia, la casalinghità, anziché il lavoro di mercato?

Secondo. mi guardo intorno, e penso che nemmeno un ragazzo ha più scelta. Per arginare la frustrazione dei tempi vuoti tra un lavoro occasionale e l’altro, anche mio figlio si è “buttato” ad un certo punto sui lavori di casa, facendoli quasi a tempo pieno, per “tamponare” il disagio di non essere ancora in grado di mantenersi da sé e per alleggerire me, che invece vengo ancora trattenuta al lavoro e lo sarò chissà fino a quando, in base a non so quale perversa logica… Cito mio figlio perché viene da una storia famigliare in cui il femminismo non è solo una teoria sociologica o filosofica: tutti ,nella mia famiglia, maschi e femmine, fanno la loro parte nel lavoro che comporta tenere su una casa. E le famiglie come la mia sono tante, più diffuse di quanto comunemente non si dica .

Chi legge e interpreta i numeri, lo sa?

Chi sostiene che le ragazze sembrano orientate ad “un ritorno indietro” ( a quando? A prima del femminismo? A prima dell’emancipazione?) lo sa? O,per lo meno, si pone qualche domanda prima di sparare sciocchezze?

O è il fatto che le ragazze in questione vivono per lo più al sud ad indurre a simili conclusioni? Perchè se così fosse, si tratterebbe anche di (inconscio?) razzismo nostrano.

Non so chi dicesse che è meglio ascoltare il contatto dei piedi nudi con la terra piuttosto che inseguire aeree teorie con la testa tra le nuvole. Un pragmatico richiamo alla realtà, la cui conoscenza dovrebbe costituire l’orientamento primario della politica.

Perchè non proviamo a pensare una politica che investa le risorse prodotte da noi tutti ( anche di chi non lavora per il mercato ma pulisce case e prepara cibo e accudisce bambini e anziani e malati in quello che soltanto alcune donne chiamano “lavoro riproduttivo”) anziché nell’acquisto di assurdi (e incostituzionali) aerei da guerra, in servizi per le persone, asili, scuole degne di questo nome, buone strutture sanitarie, servizi per le aziende, turismo eco sostenibile, commercio equo e così via?

Se provassimo, potremmo avere la controprova che ci manca:perché una simile politica indurrebbe occupazione (buona occupazione) senza sprechi, e anche le ragazze del Sud e i ragazzi inoccupati del Nord potrebbero guardare ad orizzonti diversi dalla “casalinghità” coatta. Magari per sceglierla, alla fine, ragazzi e ragazze, davvero liberamente, potendo realmente scegliere.

Non si tratta di credere nelle utopie. Si tratta, semplicemente, di cambiare politica.