Le dimissioni di Fioramonti e l’istruzione in regime capitalistico

banchi scuola pavimentodi Francesco Fustaneo

La sera del 23 dicembre, ho inviato al Presidente del Consiglio la lettera formale con cui rassegno le dimissioni da Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Mi sono ovviamente messo a completa disposizione per garantire una transizione efficace al vertice del Ministero, nei tempi opportuni per assicurare continuità operativa. Per rispetto istituzionale, avevo deciso di attendere qualche altro giorno prima di rendere pubblica la decisione, ma visto che ormai la notizia è stata filtrata ai media, mi sembra giusto parlare in prima persona.

Con queste parole inizia il lungo post pubblicato nelle ultime ore sull’account facebook ufficiale del Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, per palesare agli italiani le proprie dimissIoni.


Prima di prendere questa decisione – scrive l’ormai ex Ministro – ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del Parlamento in un momento così delicato. Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note: ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza. Mi sono impegnato per rimettere l’istruzione, fondamentale per la sopravvivenza e per il futuro di ogni società, al centro del dibattito pubblico, sottolineando in ogni occasione quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università pubblica.

La verità – continua Fioramonti – però, è che sarebbe servito più coraggio da parte del Governo per garantire quella linea di galleggiamento finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito così cruciale come l’università e la ricerca. Si tratta del vero motore del Paese, che costruisce il futuro di tutti noi. Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c’è la volontà politica.

Fioramonti, nella compagine governativa in quota M5S, aveva già a metà dicembre manifestato pubblicamente le sue ritrosie:

La scuola in questo Paese avrebbe bisogno di ventiquattro miliardi. I tre miliardi che io ho individuato, non sono la sufficienza ma rappresentano la linea di galleggiamento.

La legge di bilancio evidentemente mette sul banco risorse insufficienti per l’attività del suo dicastero e da qui i motivi “ufficiali” della scelta dimissionaria. Secondo le agenzie di stampa Fioramonti con altri deputati uscenti del M5S, tra i quali Nunzio Angiola e Gianluca Rospi ,starebbe vagliando l’opportunità di formare un proprio gruppo parlamentare, reiterando comunque il proprio appoggio a Conte.

Tra i  designati a sostituire il Ministro grillino, era inizialmente circolato il nome di Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia, invece Giuseppe Conte, alla conferenza stampa di fine anno a Villa Madama  ha annunciato uno sdoppiamento del ministero: sarà  Luciana Azzolina  il nuovo ministro  dell’Istruzione, mentre Gaetano Manfredi sarà il nuovo ministro dell’Università e della Ricerca

Tra gli alleati di governo, nel Partito Democratico per ora ha prevalso la linea del no comment, mentre dalle fila grilline è già partito il “fuoco amico”, con accuse da più parti a Fioramonti di non aver restituito alle casse del movimento alcune decine di migliaia di euro.

Nel frattempo le opposizioni insorgono, in particolare con Forza Italia che ha annunciato che presenterà già nelle prossime ore, un’istanza di audizione urgente del Presidente del Consiglio Conte in Commissione.

Al di la delle beghe di palazzo, il dato inequivocabile è che anche in questa legislatura come accade ormai da anni, si è scelto di fare spending review sacrificando un settore chiave che di contro avrebbe bisogno di risorse maggiori e che invece finisce progressivamente per subire ingenti sfoltite finanziarie.

L’istruzione, in particolare quella pubblica e non è un mistero, è ormai da anni sotto attacco. Volente o nolente su questo fronte, a parte le infelici uscite di Busetti, alla prova dei fatti questo governo si colloca sulla stessa scia del precedente. La cultura e l’istruzione diventano i fanalini di coda quando si varano le manovre economiche o leggi di bilancio. Quando c’è da effettuare tagli e purtroppo la coperta, complice anche i vincoli “europei” di bilancio è sempre più corta, l’istruzione è sempre la prima vittima.

Gli attacchi, tanti oramai, arrivano da più fronti; poco importa che siano di matrice politica o che provengano dal mondo imprenditoriale o finanche da rinomati ambienti intellettuali nostrani: basti citare Luca Ricolfi che addirittura arriva nel suo libro La società signorile di massa a indicare come causa di criticità economica nel Belpaese l’istruzione di massa.

Nelle tv si sprecano ormai le invettive sul nostro sistema scolastico che indubbiamente ha grossi deficit, di cui però non vengono quasi mai analizzate le cause, ma al più generalizzate.

Gli affondi liberisti ormai la fanno da padrona e lo spartiacque in tal senso è stata forse la Legge Bassanini con la quale si è introdotta l’autonomia scolastica subordinando quello che è diventato ormai un “sistema impresa-scuola” all’efficacia e l’efficienza, con tutto quello che questo di riflesso ha generato.

Ci stiamo purtroppo irreversibilmente indirizzando verso il sistema auspicato da Milton Friedman che già nel 1955 affermava:
“Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”.