Scuola e università, quali risorse per quale progetto

Pubblicati i dati sulla politica scolastica nel decennio 1994 – 2003. La spesa sale (di poco) in cifre assolute, ma cala in percentuale rispetto al pil, ed è la formazione professionale a fare la parte del leone rispetto all’istruzione. Meno scuole pubbliche, in aumento le private.”Spariti” 15mila insegnanti

Il Miur ha pubblicato in luglio presso l’editore Le Monnier due fascicoli, uno per la scuola, l’altro per l’università, che raccolgono e sistematizzano molti dati relativi al sistema di istruzione e formazione del nostro paese degli ultimi dieci anni. Il materiale raccolto, disponibile anche in formato elettronico presso il sito internet del Ministero, è in sé indubbiamente interessante perché raccoglie una massa di dati che difficilmente è possibile reperire. Ma il nostro interesse per la pubblicazione è dovuto però principalmente a due fattori. Primo, il periodo esaminato, 1994-2003 copre stagioni politiche diverse, in cui si sono alternati governi di centro sinistra (seconda metà degli anni novanta) e di centro destra e offre così l’occasione di esaminare sia gli elementi di persistenza che quelli di cambiamento in un arco di tempo sufficientemente lungo. Secondo, i dati degli anni 2001-2004 ci consentono anche di fare un bilancio, seppure parziale, della politica scolastica del centro destra ad un anno dalla fine della legislatura.
Il fascicolo sulla scuola è suddiviso in capitoli sulle risorse, gli studenti, istruzione e formazione, i risultati scolastici e uno conclusivo, che fa da ponte con il fascicolo sull’Università, e che non a caso è intitolato “Dopo il diploma”.

La mole di dati presentati non consente, naturalmente, una analisi ed un commento completo in questa sede, ci limiteremo pertanto ad alcune osservazioni su alcuni argomenti, sui quali occorre prestare attenzione se si vuole cambiare per davvero la politica scolastica sinora seguita.

Le risorse economiche.

La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione è aumentata in dieci anni (1994-2003) di poco più di otto milioni di euro, passando da 56,392 a 64,818. Questo dato che in apparenza parrebbe significativo, va però interpretato tenendo conto che in rapporto al pil la spesa pubblica per l’istruzione e la formazione è diminuita passando dal 5,03 al 4,98.

Se si considerano poi i dati del solo settore dell’istruzione, escludendo cioè la formazione professionale, si scopre che la spesa per questo settore è cresciuta in dieci anni di solo tre milioni di euro, passando cioè da 47,113 a 50,550 milioni di euro. In rapporto al pil la flessione è ancora più marcata perché si passa dal 4,20 % del 1994 al 3,89 del 2003. in altre parole, a fronte di un calo generalizzato della spesa per l’istruzione, i vari governi hanno teso a investire, in proporzione, più per la formazione professionale che per la scuola. La cosa certo non ci sorprende, se si pensa, in particolare, allo sforzo della ministra Moratti per finanziare e promuovere gli accordi Stato-regione sul Sistema integrato prima, e per varare all’interno della riforma della secondaria, il cosiddetto sistema di “istruzione e formazione professionale” affidato alle regioni. Si conferma dunque, ancora una volta, la nostra denuncia del disimpegno, di un vero e proprio ritrarsi dello Stato dalla scuola pubblica.

La rete scolastica
Un secondo elemento di grande rilevanza è costituito dai dati relativi alla rete scolastica, cioè alla presenza e diffusione delle scuole di ogni ordine e grado sul territorio nazionale. Le cifre riportate, che segnano una forte diminuzione del numero delle scuole che passano dalle 64.174 del 1994/95 alle 57.821 del 2003/04, vanno certamente lette alla luce dei processi di “razionalizzazione” portati avanti dai governi di centrosinistra, con la chiusura e l’accorpamento di molte sedi scolastiche. Tuttavia, su un dato, per noi preoccupante, ci sembra necessario soffermarsi: le scuole private, dopo un calo costante del loro numero per tutta la seconda metà degli anni ’90 (curiosamente di questi anni non vengono riportate cifre), prendono a crescere in maniera assai consistente passando a partire dall’anno scolastico 2000/01 da 8.710 a 12.168 nel 2003/04. Un miracolo? No, è merito della legge di parità n. 62 del 2000 dell’allora ministro Berlinguer che, come avevamo denunciato sin dall’inizio, ha costituito il volano per rilanciare un settore che stava morendo di morte naturale.

La crescita numerica delle scuole private trova riscontro nell’aumento del numero degli alunni: nella scuola dell’infanzia paritaria gli alunni a partire dal 2001/02 crescono in percentuale in misura quasi doppia rispetto a quelli della scuola statale. Negli ultimi due anni, 2002/03 e 2003/04 gli iscritti alle scuole private aumentano da 457 mila a 467 mila nella scuola dell’infanzia, da 190 a 193 mila nella primaria, da 63 a 64 mila nella scuola media e da 129 a 145 mila nelle superiori. In totale oggi il 10 % degli studenti italiani frequenta una scuola privata: un «continuo ma modesto aumento di questa quota» commentano soddisfatti gli autori del fascicolo

Gli insegnanti
A dispetto delle campagne di stampa che periodicamente si scatenano sul numero degli insegnanti, i dati dimostrano che gli insegnanti nel nostro paese sono diminuiti di 15 mila unità nell’arco di dieci anni passando da 820 mila del 1995/96 a 805 mila del 2004/2005. Queste cifre, in realtà, non danno conto delle profonde modificazioni avvenute nella composizione del corpo docente: in dieci anni i supplenti annuali sono raddoppiati, erano 53 mila nel 1995/96 sono oggi 107 mila. Ecco come hanno agito i tagli della spesa pubblica per l’istruzione anno dopo anno. Altro che sbandierare, come ha fatto la ministra Moratti, le 35 mila immissioni in ruolo come un grande risultato. La realtà è quella che questi dati confermano: una parte rilevantissima del lavoro della scuola è lavoro precario.

Qualche luce molte ombre
Qualche nota positiva, invece, è suscitata dai dati sulla presenza di alunni stranieri nelle nostre scuole, una presenza in continuo aumento (sono oggi 303.274 gli iscritti) anche nella scuola secondaria superiore, grazie soprattutto alle politiche di inclusione che le scuole e molti enti locali svolgono sul territorio.

In conclusione, il fascicolo disegna un quadro con qualche luce e molte ombre, una realtà che vede la scuola pubblica arrancare faticosamente sotto le politiche dei tagli di spesa, di aumento della precarietà del lavoro e delle controriforme di Moratti, i cui risultati positivi si possono scorgere solo nell’attenzione verso la scuola e la formazione professionale privata. A tal proposito, nella grande mole di grafici, tabelle e cifre che vengono presentati, abbiamo notato una strana assenza: mancano completamente i dati sul sostegno finanziario che lo Stato e le Regioni hanno dato in tutti questi anni alle scuole paritarie. Si tratta di centinaia di milioni euro che attraverso la legge finanziaria (è del 5 agosto scorso il decreto che aumenta circa del 40% il contributo alle famiglie che iscrivono i propri figli alle scuole paritarie), o attraverso le leggi sui buoni scuola delle regioni governate dal centro destra (ma talvolta anche dal centrosinistra) sono andate a finanziare l’iscrizione a scuole private, quasi sempre a vantaggio di famiglie di reddito elevato.

Rafforzare e rinnovare la scuola pubblica non può che partire dal cambiare questo stato di cose.