E la chiamano democrazia…

di Giorgio Langella | da www.comunisti-italiani.it

mario monti 2012Tra poco andremo alle elezioni. Potremo scegliere i nostri rappresentanti, il governo sarà frutto della volontà popolare? Non sembra proprio, a partire dalla legge elettorale per arrivare all’ultima conferenza stampa del professor Monti, presidente del consiglio dei ministri uscente.

La legge elettorale detta “porcellum” (un nome un programma), consegna la Camera alla coalizione che “vince” (cioè che ha più voti delle altre) indipendentemente dalla percentuale di voti ottenuti e condanna il Senato ad uno stallo quasi inevitabile. Così, molto probabilmente, si arriverà ad una situazione che permetterà qualsiasi soluzione “tecnica” (ovvero molto politica) per la quale qualcuno che neppure si presenta alle elezioni potrà (o dovrà) governare. Questo qualcuno è, chiaramente, quel Mario Monti che, in conferenza stampa, ha esplicitato la sua volontà di non presentarsi alle elezioni ma di essere disponibile a (ri)diventare presidente del consiglio. Lo farà con quelle forze politiche (sic) che dimostreranno chiaramente la propria adesione incondizionata all’agenda che egli stesso ha presentato.

Una forma di democrazia alquanto bizzarra.

Ma vediamo cosa propone nella sua “agenda” il professor Monti.

Innanzitutto ci spiega la “strada per la crescita”. Si dovrebbe pensare a investimenti e piani per il lavoro, a progetti di sviluppo industriale sano, a interventi pubblici per garantire occupazione e combattere il precariato … no. Nulla di tutto questo. La “strada” di Monti vede la crescita nel “pareggio di bilancio strutturale” (inserito in Costituzione quasi di nascosto e senza informazione adeguata), nella riduzione, a partire dal 2015, “dello stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del prodotto interno lordo” (questo significa manovre finanziarie di circa 50 miliardi di euro ogni anno), nel “proseguire le operazioni di valorizzazione/dismissione del patrimonio pubblico” (cioè nella svendita della ricchezza dello Stato). Per “crescere” Monti vuole continuare la fallimentare politica di liberalizzazione (e, quindi, privatizzazione) dei beni pubblici. Una politica che non ha portato alcun beneficio alla collettività (anzi ha tagliato i servizi più elementari come sanità, istruzione, trasporti) ma grandi guadagni a quei pochi ricchi capitalisti che si sono visti regalare pezzi importanti dello Stato (la vicenda Alitalia ne è un esempio eclatante).

E per i lavoratori? Si prevede di “continuare sulla strada del decentramento della contrattazione salariale”, ovvero di cancellare definitivamente il contratto nazionale e favorire quelle situazioni nelle quali i lavoratori, divisi e ricattati, hanno poco potere contrattuale e sono destinati a cedere ed accettare condizioni capestro. Il risultato sarà che lo sviluppo industriale verrà legato a salari sempre più poveri, a un lavoro sempre più precario e insicuro, a diritti sempre più compressi. È il trionfo del “modello Marchionne” elevato a legge dello Stato, in barba allo spirito e la sostanza della Costituzione e dello Statuto dei Lavoratori. Non a caso Monti pochi giorni fa è andato a Melfi per omaggiare dirigenti e padroni della Fiat.

Per i pensionati? Niente. Solo il magnificare una (contro)riforma che ha aumentato l’età pensionabile creando disoccupazione (su questo, persino l’Unione Europea ha collegato l’aumento della disoccupazione italiana a quanto previsto da quella riforma).

Sul mercato del lavoro e l’altra (contro)riforma del suo governo, Monti dice “non si può fare marcia indietro”. In tema di lavoro, quanto approvato da un Parlamento appiattito sul governo dei “tecnici” e continuamente ricattato dalla “fiducia” richiesta, è il peggio possibile. La cancellazione dell’articolo 18 e la conferma dell’articolo 8 introdotto da Berlusconi e soci nell’ultima finanziaria da loro approvata, sono decisioni che azzerano i diritti di chi lavora e fanno diventare il lavoro una merce. Chi viene licenziato senza giusta causa non verrà reintegrato nel suo posto di lavoro ma, al massimo, potrà usufruire di una specie di “rimborso”. I contratti che verranno stipulati, secondo l’articolo 8, potranno essere fatti in deroga alle leggi in vigore. In pratica, nelle fabbriche del nostro paese, non saranno più valide Costituzione e Leggi dello Stato. I lavoratori, una volta varcati i cancelli delle fabbriche, saranno cittadini diversi, meno tutelati, più ricattabili.

E, poi, l’agenda Monti fa le solite, vecchie, promesse mai attuate. Ci parla di patrimoniale ma solo in futuro e se possibile (cioè mai), ci parla di equità ma solo se compatibile con il pareggio di bilancio (cioè mai), ci parla “di tolleranza zero per corruzione, evasione fiscale e economia sommersa” ma si esprimono solo slogan e si evita di dare indicazioni precise.

Di fronte a questa “discesa in campo” di Mario Monti e alla forma nella quale questa avviene, cresce la preoccupazione della tenuta democratica dell’Italia. È necessario che le forze sane del paese si uniscano per contrastarla. La decisione di formare l’alleanza progressista “Io ci sto”, con la presenza autorevole di Antonio Ingroia, va nella direzione giusta. Un’alleanza che fonda il proprio programma sui principi costituzionali: lavoro e legalità, difesa dello stato sociale e del territorio, ripudio della guerra. Facciamo un appello alle forze del Centrosinistra, al PD e a SEL. L’agenda Monti va nella direzione opposta. Vuole consolidare le decisioni antipopolari e nefaste che hanno aggravato la situazione dei lavoratori, dei giovani, dei pensionati. È una deriva “moderata” (strano nome per definire la destra politica e il liberismo più sfrenato) che deve essere arginata. Possiamo farlo assieme. Dobbiamo almeno tentare.