Invertire la rotta della recessione

di Oliviero Diliberto | da l’unità del 17 gennaio 2012

 

diliberto simboloL’Europa è sull’orlo dell’abisso. La Grecia sta per fallire e la crisi comincia a colpire anche i paesi considerati più al riparo dalla bufera, a partire dalla Francia. Possiamo discettare quanto vogliamo sulla bontà o meno dei giudizi delle agenzie di rating, ma è un fatto che tutti gli indici dell’economia reale e di quella finanziaria siano ormai da tempo fissi sul segno meno. È il mercato stesso che, con gli spread, sta bocciando da mesi le politiche della Bce e della Commissione Europea imposte dall’asse Merkel-Sarkozy. Perché gli investitori sanno benissimo che l’austerità spinta sino al parossismo produce solo recessione e, dunque, peggiora la sostenibilità dei debiti pubblici. L’Europa deve invertire la rotta, non correggerla. Primo. Per fermare la speculazione e scongiurare catastrofici default bisogna costringere la Banca Centrale Europea a fare da prestatore di ultima istanza e l’Unione Europea ad emettere Eurobond. Secondo. Per uscire dalla crisi bisogna spezzare il nesso austerità-recessione (come continuano a dire premi Nobel dell’economia come Stiglitz, Krugman e Spence) rilanciando politiche neokeynesiane in grado di coniugare il rigore con l’equità, la crescita e l’occupazione. Per questo vanno bocciate le proposte di revisione dei trattati che oltretutto punirebbero in modo assolutamente ingiustificato l’Italia. Terzo. Bisogna pensare a un nuovo ruolo del settore pubblico nell’economia. Lo Stato non può servire soltanto a distribuire agevolazioni alle imprese e a salvare le banche dal fallimento. L’ottusa follia neoliberista che imperversa in Europa può essere superata solo da un’azione politica convergente delle sinistre e delle socialdemocrazie in grado di «osare più democrazia», per dirla con Willy Brandt. Che non significa solo la riconsegna al popolo della sovranità sui luoghi delle decisioni (oggi in mano ai tecnocrati europei). Significa anche e soprattutto una politica in grado di redistribuire a vasti strati della società più – e non meno – diritti, stato sociale e reddito. Significa che la crisi non la devono pagare i giovani, i lavoratori e i pensionati. Significa una rottura definitiva con la subalternità all’egemonia culturale del neoliberismo che ha colpito per troppo tempo i progressisti. Una Bad Godesberg al contrario. Perché questa crisi dimostra che Marx aveva ragione. Basta leggere le posizioni, ad esempio, di Schultz per capire che nella socialdemocrazia europea si è aperto un importante processo di autocritica rispetto alla sua accettazione dell’ideologia neoliberista nei due decenni trascorsi. È l’Italia, anche su questo terreno, a segnare un ritardo preoccupante, perché il PD appare bloccato dalle contraddizioni interne di coloro che spingono in direzione di Fini e Casini. La sinistra, d’altro canto, non può più giocare di rimessa aspettando che il PD sciolga il nodo strategico delle alleanze con il terzo polo. Le vittorie di De Magistris, Zedda, Pisapia e dei referendum per i beni comuni sono state anche vittorie della sinistra contro le ipotesi di un centrosinistra neomoderato. Cosa aspettiamo a sinistra a bandire le divisioni e a formalizzare un patto di unità d’azione tra Idv, Sel e Federazione della Sinistra che renda più incisiva l’opposizione di merito alle politiche del governo Monti e che, insieme, sia in grado di incalzare il Pd sulle cose da fare? Ci unisce il giudizio negativo sulla manovra del Governo Monti, l’intransigenza nello stare dalla parte dei lavoratori e l’idea di dare un futuro al nostro paese nel segno della crescita e della giustizia sociale. Cose ben più importanti dei personalismi e della sterile difesa degli orticelli che continuano a dividerci.