Pandemia e infodemia, i nuovi mostri

coronavirusriceviamo e volentieri pubblichiamo

di Alba Vastano

da http://www.blog-lavoroesalute.org

… mentre la nostra routine quotidiana, fatta di lavoro, di corse, di traffico, di mercati, di megastore della globalizzazione ove tutto è possibile, di visite agli amici, di attese alle fermate dei bus, di visite ai musei, di cinema, di teatro, di ristoranti e di cappuccini al bar, di ore di letture nei parchi e di gite nei week end, di manifestazioni di piazza contro il governo ladro e di riunioni di partito, si è bruscamente interrotta a causa della pandemia, la nostra nuova vita da relegati in casa è corrosa dall’infodemia. Insomma siamo sotto scacco sia fuori che dentro casa, caduti in una trappola, che è come una megavoragine che si è aperta all’improvviso, mentre camminavamo per i fatti nostri, tranquilli e certi che nulla avrebbe modificato la nostra esistenza.


Lo sgomento, in questi giorni, la fa da sovrano nella nostra vita, inaspettatamente sconvolta non da attentati, crolli, terremoti alluvioni, né dal pericolo dell’approvazione del Mes e neppure si prospetta una guerra globale, se non quella economica già in atto da tempo, né dall’ennesima caduta del governo nazionale, a cui peraltro siamo avvezzi. Ѐ sconvolta da un evento straordinario che non riguarda solo il nostro Paese, ma il mondo. Ѐ la pandemia, provocato da virus ignoto. Il nemico che l’ha scatenata si nasconde dietro un codicillo che contrae il suo nome. Ѐ il coronavirus, ma si fa chiamare con un’ austera e metallica sigla: Covid-19. E in contemporanea e improvvisamente siamo diventati tutti uguali di fronte al nemico comune che attenta alla nostra vita. Anche non volendo farlo per non dargliela vinta, ci dobbiamo riconoscere tutti fragili e impauriti a morte.

Viene in mente, di fronte alla catastrofe imprevedibile che si è abbattuta sull’intera umanità, un noto lungo sonetto di Totò ‘A livella’. Esplicativo, soprattutto nel passo ‘Ccà dintro o vvuo capì ca simmo eguale…muorto sì tu e muorto so’ pur’io. …a morte o ssaie che d’è, è na livella’, quando il netturbino si rivolge al marchese, per pareggiare i conti. L’umanità oggi sembra essere catapultata in un’altra dimensione che se non è similare a quella rappresentata dalle metafore dell’aldilà dell’inferno dantesco, poco ci manca. Questa calamità ha però ha un unico pregio che dobbiamo riconoscere, quello di renderci tutti uguali, così come di fronte alla morte, la dimensione più democratica che esista. Forse siamo già trapassati e non lo sappiamo, perché la nostra vita, quella vissuta fino a ieri, non è più la stessa. E non abbiamo armi per poterci difendere dal pericolo che incombe sulle nostre vite. Nessuno ne ha, non ne abbiamo noi, come non ne ha alcun potente, con al seguito i suoi lacchè. Quel potente che solo ieri alzava muri e affilava le armi contro i poveri, gli emarginati, gli invisibili.

Anche lui oggi, rinchiuso nelle stanze del potere, ha la nostra stessa paura che ha provato a negare, ma oggi non può più rinnegarla. Ha paura del Covid-19, nello stesso modo di come noi ne abbiamo paura. Ha la stessa paura nostra che non sappiamo come sconfiggere questo mostro invisibile che sta attentando alla nostra vita, l’unica che abbiamo e conosciamo e che vorremmo ancora poter vivere. Basterà, per sconfiggere l’invisibile mostriciattolo, vivere nel limbo delle nostre quotidiane prigioni, sarà sufficiente restare ai domiciliari? Servirà rinchiuderci h.24 nelle nostre comode case, attrezzati fino al naso di mille telecomandi per vivere una realtà filtrata dalle notizie o la realtà virtuale della rete? E questo confino a cui dobbiamo autorelegarci sarà sufficiente per poi tornare alla normalità? Ѐ la famosa domanda da un milione di dollari a cui nessuno oggi può dare risposte. Oggi è così. Di fronte a questa improvvisa catastrofe nessuno può dare informazioni attendibili, se non pressappochiste. Il rischio che si corre nell’elargire informazioni è quello di intortarsi in elaborati calcoli approssimativi sui tempi e sui modi in cui tutto questo finirà.

Ma c’è un’altra catastrofe che si va di ora in ora, di minuto in minuto, parallelamente all’avanzare del contagio, impadronendosi delle nostre vite iperconnesse di questi giorni. Alla pandemia si affianca inesorabile, con ritmi incalzanti e inquietanti per la nostra psiche, un altro orchetto invadente e ingerente nella nostra vita. Ѐ l’infodemia. Sembra proprio che di questo narcotico che è l’informazione h24 non possiamo fare a meno, foraggiati dai numerosi canali di informazione a cui abbiamo appeso le sinapsi dal risveglio, fino alla buonanotte, quotidianità non più scandita dall’usuale tran tran extra domestico lavorativo.

Che poi l’infodemia aveva già catturato la nostra quotidianità, forse per allenarci al peggio e, a causa della bomba esplosa con la pandemia, si è totalmente impadronita del nostro tempo. E mentre la nostra routine quotidiana, fatta di lavoro, di corse, di traffico, di mercati, di megastore della globalizzazione ove tutto è possibile, di visite agli amici, di attese alle fermate dei bus, di visite ai musei, di cinema, di teatro, di ristoranti e di cappuccini al bar, di ore di letture nei parchi e di gite nei week end, di manifestazioni di piazza contro il governo ladro e di riunioni di partito, si è bruscamente interrotta a causa della pandemia, la nostra nuova vita da relegati in casa è corrosa dall’infodemia. Insomma, siamo sotto scacco sia fuori che dentro casa, caduti in una trappola, che è come una megavoragine che si è aperta all’improvviso, mentre camminavamo per i fatti nostri, tranquilli e certi che nulla avrebbe modificato la nostra esistenza.

Che effetti può produrre, in questi duri tempi, l’infodemia, che è, ovviamente più gestibile e innocua della sua quasi omonima? Produce dipendenza sicuramente, produce credulità estrema o incredulità, sommersa da dubbi irrisolvibili. Produce isolamento nell’isolamento, Produce una sorta di anestesia mentale, per cui non si è grado di scindere la realtà reale dalla realtà virtuale. Produce obnubilamento e intorpidimento per cui non si è facilmente in grado di staccarsi dai monitor e dalla notizia flash, che passa come un lampo per lasciare lo spazio a quella che segue dopo un nano secondo. E si telefona all’amico, al fratello, alla madre con voce angosciata “ Hanno detto che….”. Per smentire l’attimo dopo “No, invece hanno detto che”. Può proseguire per giorni e nessuno saprà cosa hanno detto realmente e qual è la verità su quanto sta accadendo. Produce stato confusionale e incapacità di connettersi con gli unici umani che ci sono rimasti accanto, fra le stesse pareti, a soffrire con noi di isolamento sociale e di angosce per il futuro.

E produce sicuramente angoscia profonda e malessere dell’anima quando appaiono sullo schermo i bollettini dalle trincee di guerra, gli ospedali. O quando i conduttori di alcuni talk show delle tv mainstream più accreditate, per fornirci la visione della tragedia in atto, riescono, con particolari autorizzazioni, a far entrare fino all’interno dei reparti di rianimazione, i loro cameraman per mostrare in diretta il dolore estremo di una vita alla fine. Bypassando il diritto alla privacy del malato e rischiando di fomentare la morbosità della notizia. Appesi come siamo alla notizia dell’ultimo minuto e indotti ad ascoltare l’ultimo bollettino della conta dei morti caduti in questa infida guerra rischiamo di ammalarci della notizia stessa. Allora se esci un istante di casa, solo per capire se fuori c’è ancora l’aria e sei ancora in grado di respirarla autonomamente, viene da pensare, che in fase di inspirazione il mostriciattolo te lo sei già beccato con un solo respiro. Entri precipitosamente in casa, ti immergi nell’Amuchina, e pensi che potrebbe essere l’ultima volta.