Note sulla fase politica

trump americagreatagainPubblichiamo come contributo alla discussione

di Mimmo Porcaro | da sinistrainrete.info

1.

Nonostante sia numericamente ben possibile assicurare la continuità di gestione dell’Ue (magari peggiorandola, grazie ai liberali), i risultati elettorali (in particolare quelli francesi, italiani ed inglesi) indicano il persistere di una seria crisi di consenso. Per quel che conta, il parlamento di Strasburgo deciderà quel che vuole, ma i “fuochi” di crisi restano accesi in tutte le più grandi nazioni del continente, anche nella sempre più frammentata Germania. Purtroppo questa crisi non è gestita dalle forze neosocialiste.

Le elezioni hanno meritatamente punito Tsipras, ma hanno anche duramente colpito, o ulteriormente indebolito, le posizioni oscillanti ed incerte di Corbyn, di France Insoumise e di Podemos. Se è positiva la conferma della protesta popolare contro l’Unione, questa considerazione viene bilanciata dal fatto che tale protesta è ormai stabilmente egemonizzata dalla destra. Destra che peraltro non pare avere al momento né la volontà né la possibilità di usare la propria influenza per fini diversi da quelli di una rinegoziazione intra-Ue. Questo è il significato immediato (e negativo) delle elezioni europee.

2.

Sarebbe peraltro sbagliato leggere la situazione attuale semplicemente come scontro tra (grande) capitalismo globalista e (piccolo) capitalismo sovranista. E’ ormai iniziata da tempo l’inversione della globalizzazione, per cui si può dire che tutti i gruppi capitalistici, pur giocando ancora, in modi diversi, sull’apertura dei mercati, per tutelare i propri interessi fanno ricorso in maniera crescente alla logica territoriale. Ciò non vale solo per Trump. Vale anche per l’Unione: qui i due stati leader, da sempre gelosi della propria sovranità, disegnano un progetto di cooperazione economica che prevede la parziale chiusura del territorio dell’Unione stessa ad iniziative “straniere”, e la tutela di campioni nazional-continentali.

C’è, insomma, e inevitabilmente, una sorta di “sovranismo generalizzato” che se da un lato serve anche a prevenire le (peraltro non pericolosissime) mosse dei Salvini e delle Le Pen, dall’altro può costruire le condizioni per cui il populismo di destra, interpretando il disagio popolare ma anche congelandolo, possa momentaneamente sostituirsi alle forze (semi)globaliste nel gestire la sopravvivenza dell’Unione.

3.

Le recenti mosse della Commissione europea (che in luogo di attenuare le critiche nei confronti del nostro paese per evitare di rafforzare ulteriormente la protesta, le ha addirittura appesantite puntando l’indice sul debito invece che sul deficit) sono assai difficilmente interpretabili come il colpo di coda di un gruppo di potere uscente. Esse si inscrivono invece proprio nella ricentralizzazione dell’Unione attorno alla diarchia franco-tedesca, che prevede una conferma e una stabile definizione dei rapporti gerarchici tra le nazioni del continente. Bisogna sistemare definitivamente la “questione italiana”, misurare le velleità del governo populista, scegliere poi fra diverse soluzioni, che vanno dalla rapida punizione allo stato di sorveglianza perpetuo, tutte comunque finalizzate alla subordinazione ulteriore della struttura produttiva italiana a quella centrale e all’assorbimento dell’ultima grande risorsa del paese: il risparmio privato. L’Italia giunge a questa resa dei conti spaventosamente impreparata, indebolita da decenni di austerità e di dismissioni, percorsa da culture che oscillano tra un globalismo fuori tempo ed un nazionalismo abborracciato, governata da un ceto politico miserabile che è emissario delle lobby regionali o di quelle comunitarie, priva di una strategia, priva di una politica estera, isolata in Europa, indecisa nel mondo. E nessun cambiamento di tale situazione sembra poter venire dal governo gialloverde.

4.

La significativa vittoria della Lega in Italia dipende da diversi fattori. Al fondo c’è la consistenza del radicamento sociale, della struttura del partito, della definizione degli interessi e del programma, consistenza assai diversa da quella del M5S, costruito per attrarre consensi attorno a questioni altamente simboliche, ma poco rilevanti sul piano dell’aggregazione efficace degli interessi popolari e della capacità di governo (casta, corruzione, ecc.). Inoltre, a ben vedere, fin dall’inizio il profilo della base di massa della Lega era sovrapponibile a quello che sarebbe poi divenuto il mondo delle vittime della globalizzazione. Oggi quindi maturano pienamente ed oltre le attese iniziali gli effetti di una presenza che è sociale prima ancora che politica. Certamente però bisogna distinguere tra il peso di questa presenza al centro – nord e il suo peso al centro – sud: più si scende e meno conta (per ora) l’antropologia, e più contano la politica e la sua traduzione mediatica. Quindi l’attuale predominanza leghista potrebbe essere meno irreversibile di quello che si tende a pensare. Quanto alla campagna elettorale, in cui emerge ormai in qualunque schieramento il peso del leader come persona e non come esponente di un apparato, Salvini ha certamente presentato una linea univoca, coerente, semplice, apparentemente fattiva. Dopo di che, ha fatto poco, ma non è questo che conta. Il suo successo si deve in gran parte alla posizione sull’immigrazione, non perché gli elettori siano divenuti tutti xenofobi o pensino che quello sia il problema principale, ma perché si è trattato di un “esempio”. L’esempio di una politica che non si limita a subire gli eventi, che si oppone (su questioni facili a decifrarsi e non complesse come l’euro) all’Ue, e che per giunta viene attaccata da forze che non riscuotono le simpatie popolari. Il M5S, nella persona Di Maio, si è invece presentato come il disturbatore del lavoro del governo. Ha sparato sull’alleato invece di sparare più forte dell’alleato contro il comune nemico. Peggio ancora, in una competizione elettorale cha ha sciaguratamente riproposto la falsa dicotomia destra/sinistra, il M5S ha assunto (anche per tentare di conquistare ulteriori voti PD) una posizione centrista (che è cosa diversa dall’essere “oltre la dicotomia”) e spesso moderata, rinfacciando inspiegabilmente a Salvini quella durezza almeno verbale nei confronti della Commissione Ue che lo stesso M5S aveva esibito fino a poco prima…. Insomma, Salvini è apparso nello stesso tempo radicale e rassicurante. Di Maio è parso moderato e attaccabrighe. La permanente campagna mainstream contro l’incompetenza e l’approssimazione del “movimento” ha fatto il resto.

5.

Come è noto le elezioni hanno lasciato in eredità una situazione instabile, momentaneamente messa in stand by in modo da consentire alla Lega di portare a casa alcuni risultati significativi (flat tax e regionalismo differenziato) e a entrambi i partner di gestire il rapporto con le Ue da posizioni relativamente meno deboli. Per formulare ipotesi sul futuro del governo e sull’incidenza della sua azione non ci si può però limitare a ragionare sugli effetti immediati delle elezioni, e si deve piuttosto ragionare a partire da un livello più profondo, quello della composizione sociale della traballante coalizione gialloverde. Sinteticamente si può dire che l’attuale governo è stato votato (con un voto di fatto confermato un anno dopo) da una eterogenea coalizione che va dal semiproletariato del sud alla piccola o media impresa del nord (e non necessariamente dalla parte più debole di quel mondo). Si tratta esattamente della coalizione che è necessaria a sostenere una politica di rilancio del paese, e quindi di uscita dall’euro e dall’Unione. Ma purtroppo questa coalizione è sotto il dominio della sua “parte superiore”, ossia del piccolo e medio capitale, come si può agevolmente vedere dalle parole d’ordine più ripetute: diminuzione delle tasse, regionalismo, rilancio della domanda privata senza progetto di ripubblicizzazione strutturale dell’economia. Si può anzi dire che le elezioni ed i loro effetti hanno sancito il riavvicinamento della Lega al complessodell’imprenditoria italiana, come mostrato dall’esito delle consultazioni regionali piemontesi, in cui la Lega si è intestata pienamente il “movimento” Si Tav, pure iniziato dal PD, e dalle reazioni al decreto “sblocca cantieri”. E’ altamente improbabile che tali frazioni di classe, prossime a raggiungere significativi risultati economici, e che i loro rappresentanti leghisti, prossimi ad aprire un vero e proprio ciclo politico, si imbarchino oggi in un’avventura per loro altamente rischiosa quale l’exit. Salvo che il gioco attuale scappi di mano a qualcuno, solo il dominio della “parte inferiore” della coalizione, e quindi una ridefinizione della coalizione stessa ex novo, potrebbe mutare questa prospettiva. Per la ricostruzione del nostro paese, per iniziare il processo di exit che ne è condizione (e in particolare per un’exitvantaggiosa per le classi subalterne) sono necessarie alleanze sociali ed internazionali, programmi di economia pubblica, forme di unità politica che non è dato vedere nell’alleanza di governo.

6.

In Italia manca la forza neosocialista che, sola, può immaginare la necessaria ricostruzione, e darle vita. Noi vogliamo favorire la nascita di una tale forza. Per farlo bisogna prima di tutto avere idee e programmi; programmi che non sono elenchi di obiettivi, ma frutto di un giudizio storico-politico sul paese e, ancor di più, di un’interlocuzione con tutte le forze più rilevanti, a partire dalla massa del lavoro ipersfruttato, per giungere alle imprese più dinamiche e alle parti più leali dell’apparato di Stato. Un’interlocuzione, questa, che può essere compiuta pienamente solo da un partito politico forte, largo e dotato di una robusta identità, ma che può essere iniziata da subito a patto di avere una consistenza minima sufficiente. E per avere questa consistenza, per raccogliere le forze necessarie, è necessario fare da subito politica, dare indicazioni, orientare giorno dopo giorno possibili militanti e aderenti. La prima indicazione riguarda la collocazione generale che dobbiamo avere. Dobbiamo costruire un progetto populista-socialista, ossia un progetto che, pur non facendo appello direttamente alla mobilitazione della “classe” (figura in cui oggi si riconosce solo una parte minoritaria dei subalterni) ma a quella di un più eterogeneo popolo, metta comunque il conflitto capitale/lavoro al centro della sua analisi e delle sue proposte programmatiche. Per attuare un simile progetto, non dobbiamo scegliere come interlocutore principale la sinistra, né attenderci qualcosa di buono dalla sua crisi. Fatti salvi pochi e piccoli gruppi che discutono seriamente del futuro, le altre forze mostrano solo di voler insistere nelle politiche che le separano dalla parte maggioritaria (e più sofferente) della popolazione italiana, confermando in tal modo la profonda motivazione di classe delle loro posizioni globaliste. Non altrimenti si spiega l’adesione suicida alla strategia del “fronte antifascista in assenza di fascismo”, unica prospettiva rimasta una volta respinta l’idea della critica radicale all’Unione. Ragion per cui, senza inutili livori, e senza delegare affatto ad altri i problemi posti dall’ambientalismo e dal femminismo e le fondamentali questioni dei diritti individuali, ogni stabile rapporto politico con qualunque forza della sinistra globalista sembra oggi inutile e dannoso. Costoro non capiranno mai, tra l’altro, che il solo modo di contrastare Salvini è quello di farlo sul suo stesso terreno, o meglio sul terreno che la sinistra radicale gli ha colpevolmente lasciato quando le forze erano (addirittura…) ancora commensurabili.

7.

Diciamoci subito, peraltro, che è molto difficile contrastare la Lega su quello che è l’aspetto profondo del suo radicamento. Anzi, è forse impossibile farlo in tempi politicamente significativi. Solo se avessimo già costruito un partito forte, un partito-comunità, potremmo erodere una base di massa che negli anni si è mostrata significativamente stabile. Dobbiamo piuttosto puntare sull’aspetto mobile della situazione ossia sulla contraddizione tra promesse e realtà che riguarda e riguarderà certamente la Lega, in particolare nel suo progetto di espansione a Sud, ma soprattutto il M5S. I nostri programmi, le nostre iniziative e i nostri obiettivi concreti devono consentirci di lavorare sul punto attualmente più critico dell’intera situazione, ossia sulle difficoltà e sui dilemmi del M5S e del suo elettorato. In particolare è assolutamente necessario contrastare un avvicinamento del M5S e del PD, e comunque la stabile riproposizione del bipolarismo destra/sinistra. Per far questo è necessario, a partire da un progetto politico autonomo, stimolare, un significativo mutamento organizzativo, politico e culturale del M5S. Si tratta di offrire una sponda alle forze più coerentemente antiunioniste e più capaci di visione internazionale, e alle tendenze che vogliono superare le concezioni meritocratiche, puerilmente decliniste ed antilavoriste, ancora intrinsecamente liberiste, che impediscono programmi coerenti. La forza neosocialista del futuro nascerà nel mezzo del bacino elettorale della Lega, del M5S e dell’astensionismo, polemizzando coi limiti attuali delle forze che coprono questo spazio elettorale, e proponendosi come alleata di ogni credibile progetto nazionale e costituzionale. Su questa base dovrà poi muoversi per incunearsi in quel che resta della sinistra.

8.

La concreta declinazione degli obiettivi da proporre in questa fase dipende dall’imprevedibile evoluzione della situazione, e quindi, sul punto, siamo costretti a valutazioni altamente aleatorie. E’ evidente che il governo andrebbe sostenuto, ma soprattutto incalzato, nel caso di scontro aperto con la Commissione, e che una sua caduta su quel punto non sarebbe auspicabile. Il nostro nemico principale è, e resta, il partito europeista, qualunque maschera esso indossi. Domani potrebbe indossare anche quella della Lega e dello stesso M5S. Ma oggi indossa quella del PD, e la sconfitta dei gialloverdi per mano europea ridarebbe fiato a quest’ultimo lasciando peraltro ai primi l’immagine di combattenti antiunionisti, impedendo così di chiarirne le ambiguità. Tutt’altro che improbabile resta l’ipotesi di caduta del governo per tensioni interne. In tal caso è importante che la caduta apra e non blocchi i necessari processi di chiarificazione. Comunque, gli obiettivi da noi proposti devono favorire la formazione di una base sociale capace di distinguersi sia dalla Lega che dal PD, che dalla (ampia) frazione liberista del M5S. Da questo punto di vista, iniziative generali sulla remunerazione del lavoro (riguardanti non solo il lavoro salariato, ma tutte le prestazioni subalterne), sulla questione fiscale (prevedendo riduzioni del carico per i redditi inferiori, senza scambi con riduzioni palesi o nascoste della progressività), e soprattutto sulla questione del regionalismo differenziato (cogliendo l’occasione per ridiscutere il regionalismo in generale) devono essere pensate sia come modo per rompere la coalizione di governo ed invertirne in futuro i rapporti di forza, sia per favorire l’autoconsapevolezza delle classi subalterne.

9.

Insomma: pur con l’ovvio senso delle proporzioni, dobbiamo elaborare un progetto nazionale distinto da quello della Lega, e tentare di coinvolgere in esso il M5S o parte di esso. Tutto ciò ha molto a che vedere anche con la questione del linguaggio, non perché la costruzione di una identità politica sia pura e semplice questione linguistica, effetto di una scelta comunicativa che prescinde da interessi, convergenze e divergenze tra classi, ma perché pur partendo da un programma che indica un modello alternativo di economia e società, tale modello può entrare nei cuori e delle menti solo riferendosi a parole abitualmente usate, rinnovate da un nuovo contesto di significato. Ad esempio, se la Lega vuole costruire una identità nazionale sulla base dell’esclusione (del sud, dei lavoratori marginali e immigrati, delle minoranze fastidiose, del cristianesimo non reazionario ecc. ecc.), noi invece vogliamo uniretutti i lavoratori, tutto il territorio e la gran parte delle culture anche eterogenee che percorrono il paese. Inoltre, la Lega si basa su quello che il popolo è, o sente di essere: questa è la base granitica della sua forza. Storicamente il socialismo si è presentato invece come doppio rapporto con la cultura popolare: da un lato rivendicazione dell’autenticità di tale cultura, dall’altro sua radicale trasformazione, che ne esalta gli elementi cooperativi e solidali. Quest’ultima posizione è però efficace solo nelle epoche di forte mobilitazione popolare diretta: cosa che oggi non accade. Oggi è forse più utile proporre un “ritorno” a qualcosa che molti ancora percepiscono come un mondo migliore di quello attuale, in cui c’era lavoro e welfare. Mentre la Lega sembra spesso voler solo difendere quel che c’è (in particolare difendere il patrimonio dalle tasse) noi dobbiamo dare l’idea di voler ricostruire. “Unire”, “ricostruire” ed altre parole similari sono, al di là del nome che ci daremo, i termini con cui indicare un futuro che, come quasi sempre avviene nei processi rivoluzionari, si pensa ripartendo dal passato.