Piccolo riassunto di cronache recenti

italia europa bandierePubblichiamo un interessante riflessione di Norberto Natali

La nascita del governo in carica (inizio giugno 2018) è stata caratterizzata da tensioni e polemiche che potevano richiamare questioni come l’indipendenza nazionale, il rispetto della volontà popolare e quindi la democrazia reale nel nostro paese. In particolare, c’è stata una pressione per impedire la nomina di un certo ministro all’economia a causa di sue precedenti opinioni sull’Unione Europea.

A ciò si sono accompagnati episodi di ingerenza di altri paesi (soprattutto la Francia e personalmente Macron) che scaricavano sull’Italia l’onere di un’incondizionata e illimitata accoglienza di tutti i migranti mentre loro rifiutavano ogni impegno e chiudevano le proprie frontiere.

Temi caldi, delicati, in passato tipici delle battaglie del PCI (specie l’unità e l’indipendenza nazionale). Cosa ha fatto la sinistra? Nei casi migliori si è disinteressata di questi problemi e si è occupata della nave Aquarius (usata da una cosiddetta ONG per andare a prendere poveri immigrati sui barconi dei mafiosi per portarli in Italia) la quale, nel frattempo, era stata fatta diventare, opportunamente, dalla stampa borghese una notizia perfino più importante di quelle suddette.

Verso la fine di giugno, il ministro competente ha presentato il cosiddetto “decreto dignità”: un timido provvedimento per smussare e migliorare leggermente l’ignobile “jobs act” di renziana memoria, certamente tra le cause (quanto meno indirette) della continua strage di lavoratori e lavoratrici nel nostro paese. Questa proposta ha suscitato una sollevazione del padronato contro il governo che non si vedeva per lo meno da dieci anni, comprendente perfino raduni e petizioni di imprenditori leghisti del nord-est.

Uno scontro duro, con accuse reciproche, durante il quale si sono sentite (per la prima volta dopo tantissimo tempo) parole e toni diversi dal passato, da parte di un’autorità governativa: il vicepresidente del Consiglio ha accusato una parte degli imprenditori di comportarsi come i padroni di un antico passato, di voler approfittare dei giovani precari, di voler guadagnare sul loro bisogno di lavoro ricattandoli, ecc.

Nel corso di questo conflitto, dov’era la sinistra italiana?

La stampa borghese ha dato la massima priorità alla vicenda del divieto per le navi private delle ONG di portare i migranti in Italia, (riuscendo a mettere in secondo piano la questione che riguardava i diritti dei lavoratori e dei giovani precari) e la sinistra ne ha subito approfittato: quasi tutto il suo “fuoco” è stato rivolto a questo. Per alcune settimane la notizia più importante è stata l’accusa di Saviano a Salvini di godere per l’annegamento di bambini migranti e la relativa querela del capo leghista e -per non sfigurare- il “leader” della sinistra italiana, l’on. Fratoianni, si è addirittura imbarcato sulla Open Arms (di una ONG spagnola) per qualche giorno, dove tra l’altro sono state laccate le unghie di una donna migrante allo scopo di consolarla e distrarla dalle sue sofferenze.

Ad agosto, c’è stata la tragedia del ponte Morandi a Genova. Anche in questo caso, sono volate parole e promesse assai rare per dei ministri: attacchi espliciti alle speculazioni e all’inaffidabilità delle grandi imprese, l’annuncio di voler estromettere i Benetton (proprietari della Società Autostrade) da qualsiasi appalto futuro per la ricostruzione, accuse alla politica delle privatizzazioni e addirittura è stata evocata la nazionalizzazione per attività economiche strategiche. Nuovamente c’è stata una risposta proporzionata, si sono ripetute le accuse di “comunismo” già lanciate per il “decreto dignità” e così via.

A questo punto, il sistema di informazione borghese ha fatto in modo che la notizia più importante diventasse la vicenda (un po’ grottesca, effettivamente) della nave Diciotti e le cronache -in questo frangente- raccontano di una sinistra che manifestava a Catania per i migranti lì trattenuti.

La stessa situazione si è prolungata nelle settimane successive, fin quando si è aperto un nuovo scontro (a parole) tra esponenti di governo e padronato: i primi di settembre, il vicepresidente Di Maio ha avanzato l’idea di una parziale chiusura domenicale degli esercizi commerciali, richiamando il diritto di tante lavoratrici e lavoratori al riposo nei giorni festivi, alla vita famigliare e alla cura dei figli. Come nei casi precedenti, inviperita reazione del padronato, delle holding della grande distribuzione, accuse di voler rovinare l’economia e perfino di impedire ai cittadini il diritto di fare “shopping”. Al momento non ricordo chi ha paragonato il governo italiano alla Corea del Nord.

In quello stesso periodo, La Repubblica ha lanciato il “Manifesto antirazzista” e la sinistra si è dedicata a sostenerlo (sono state superate le 20.000 firme) impegnandosi principalmente su questo tema, con iniziative in tutt’Italia e preparando due grandi appuntamenti nazionali per la fine di settembre: uno a Milano e l’altro -solo del PD- a Roma.

Nel frattempo, viene alla luce il documento economico-finanziario del governo (è del 27 settembre il famoso annuncio notturno di Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi) con la nota decisione di un deficit di bilancio del 2,4% finalizzato -secondo le autorità governative- a misure per il reddito di cittadinanza, la riforma della Fornero ed altre utili alla ripresa economica.

Questa volta, gli attacchi non vengono tanto dal padronato quanto dal potere europeo, dalle autorità UE ma anche da istituzioni e centri di potere che da essa dipendono o derivano. Il primo minaccioso commento del commissario Moscovici è immediato, appare già sulla stampa del 28 settembre e se la prende esplicitamente con la cosiddetta “manovra del popolo”.

Si profila una battaglia forse inedita, frontale: da una parte la maggioranza che reclama il diritto di fare un “bilancio del popolo” e dall’altra l’Unione Europea che minaccia dure conseguenze. Intanto, immancabile e perfino previsto, arriva l’attacco del grande capitale straniero nelle borse che provoca (copione già visto 7/8 anni fa) il rialzo dello spread che, a sua volta, genera le reazioni governative che denunciano la “grande finanza”, la speculazione e promettono di non cambiare di una virgola le decisioni prese nell’interesse anche di pensionandi e disoccupati.

È proprio in questi giorni che l’autorità giudiziaria calabrese procede alle misure cautelari di uno strano procedimento penale che coinvolge il sindaco di Riace. Personalmente, ero rimasto impressionato di come -più o meno 24 ore dopo l’insediamento del governo Conte, considerato assai improbabile fino ad una decina di giorni prima- a Berlusconi viene concesso (dopo diversi anni) il diritto di voto e dunque di candidarsi alle elezioni: una misura agognata da anni dall’ex cavaliere e che potrebbe consentire un “riequilibrio” elettorale all’interno del centrodestra.

La vicenda giudiziaria di Riace, però, me ne ricorda ancora un’altra di dieci anni fa o poco più. Allora governava una maggioranza di centrosinistra (comprendente Mastella, in posizione determinante) ma l’allora nascente PD -intrigando sottobanco con Berlusconi, come al solito- stava preparando una nuova legge elettorale (poi ritenuta incostituzionale) che avrebbe comportato l’espulsione dal parlamento di quasi tutti i partiti, tranne i più grandi, compreso quello di Mastella. Quest’ultimo, da politicante navigato, dichiarò fin dall’inizio che il giorno stesso in cui sarebbe stata approvata questa nuova legge, lui avrebbe fatto cadere il governo e provocato elezioni anticipate.

Il giorno in cui era stabilita l’approvazione in parlamento di quella norma, all’alba furono eseguiti numerosi arresti e consegnati avvisi di garanzia: era un’inchiesta su malversazioni nella regione Campania, Mastella fu coinvolto ed arrestata perfino la moglie. La stessa procura che richiese quei provvedimenti, pochi giorni dopo, si dichiarò territorialmente incompetente per quel procedimento e passò gli atti ad altro ufficio giudiziario.

Tornando alla nostra piccola cronaca, dal giorno dell’arresto del sindaco Mimmo Lucano (2 ottobre scorso) per la stampa borghese questa divenne la notizia principale e la sinistra si buttò anima e corpo su tale questione alla quale dedicò (a parte scioglimenti e scissioni interne) gran parte del mese di ottobre.

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Si conclude così questo piccolo e parziale riassunto di alcuni recenti avvenimenti politici del nostro paese, perché costituiscono lo sfondo e -in un certo senso- la “preparazione” di un’altra fase: quella che si è aperta con la manifestazione “Roma dice basta” del 27 ottobre e con varie altre tenutesi il 10 novembre scorso e che solo in misura parziale e secondaria sono giustificate da intrighi ed espedienti elettoralistici per le prossime europee.

Normalmente sarebbe superfluo ma -considerato il livello prevalente delle polemiche in questo periodo- voglio chiarire come, da parte mia, non ci sia alcun “sostegno” a questo governo né attribuisco particolare credibilità alle sue intenzioni (o di una sua parte) di amministrare in favore “del popolo” e difendere fieramente gli interessi nazionali.

Al tempo stesso, non ho nulla da eccepire verso i giustissimi sentimenti umanitari nei confronti degli immigrati, tanto meno riguardo gli ideali antirazzisti, neanche una dissociazione dalle posizioni della sinistra che ho qui rievocato. Non critico tanto quello che HA FATTO quanto quello che NON HA FATTO, magari con il pretesto di dedicarsi alla causa degli immigrati o della lotta contro l’omofobia (che condivido entrambe). Ma perseguire queste rivendicazioni, però, non esime dai compiti storici che dovrebbero essere del movimento operaio, in particolare dei comunisti.

Non basta battersi per le famiglie arcobaleno e per la solidarietà ai migranti per essere di sinistra, se questo significa lottare ben poco per i disoccupati, per i precari, per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici (anche del commercio e quando lavorano nei festivi) per il diritto del nostro popolo di decidere democraticamente del proprio bilancio ovvero della destinazione del proprio lavoro e dei propri sacrifici; senza trascurare la lotta per la pace e la solidarietà internazionale (già, non esistono solo gli stranieri che vengono in Italia).

Chi è di sinistra deve pretendere lo scioglimento della NATO altrimenti è una persona sensibile (come dovrebbe essere ogni buon cattolico e perfino un bravo liberale) alla solidarietà personale per chi soffre, ma non è di sinistra.

Purtroppo, a sinistra ben pochi si domandano (forse non se ne rendono neanche conto) perché ci si trova in una situazione drammatica di portata storica, epocale: siamo usciti dalla coscienza politica del popolo, se così si può dire; per la prima volta -forse da un secolo e mezzo, salvo il periodo fascista- abbiamo perso la possibilità di concorrere alla direzione del paese.

Le cause di questa grave ed amara situazione, non saranno rimosse se continuiamo a mantenere questa specie di corto circuito: in questo regime un po’ liberale (per i borghesi ed i diritti civili, ossia individuali) e un po’ fascistoide (per i proletari, le condizioni del lavoro e i diritti collettivi) la sinistra impegna la propria credibilità solo nella prima parte, mentre protagonisti (in un modo o nell’altro) della seconda sono partiti geneticamente e congenitamente estranei al movimento operaio e alla nobile storia della sinistra italiana (checchè ne dicano D’Alema e Bersani).

Quel che brevemente ho riassunto qui (e non è tutta la realtà) ci restituisce una funzione di una sinistra che è un po’ come se le forze antifasciste, nel periodo della dittatura, avessero incalzato il regime per … far arrivare puntuali i treni!!