Contro l’Aventino (cioè l’antifascismo inconcludente e borghese) dei nostri tempi

immigrati nave salvagentedi Norberto Natali

Sempre sul tema ‘immigrazione’ ospitiamo questo contributo di Norberto Natali

Mentre mi accingevo a scrivere queste righe, il cuore rosso e proletario di Roma era invaso dai fascisti, come non accadeva da 74 anni.

Una di queste borgate, fu inaugurata da Mussolini alle 6.30 di mattina (nel vuoto più totale) per paura di contestazioni. In quella attigua era ambientato un famoso film con Anna Magnani “l’onorevole Angelina”, nel quale si rifletteva la grande forza del PCI già all’epoca. Qui, ai tempi del film, il segretario della sezione comunista era l’eroico Sasà Bentivegna, medaglia d’argento al valor militare della Resistenza, protagonista (oltre a molte altre) della memorabile azione partigiana di via Rasella.

Come si è arrivati ad una situazione che a me sembra mostruosa, espressione di un disastro politico (e non solo) molto grave, con ben pochi precedenti, forse solo uno? C’è chi da la colpa alla “gente”, agli italiani -quando si va a vedere nel merito, però, ci si riferisce sempre ai proletari o sottoproletari (o strati sociali a questi molto vicini)- sostenendo che questi sarebbero diventati (senza spiegare quando e perché) razzisti, xenofobi e fascisti, a volte aggiungendo che sarebbero anche vili, viziati o troppo ricchi, ecc.

Tra chi la pensa così ci sono la maggioranza dei dirigenti della sinistra e dei movimenti: secondo me, invece, la colpa di tutto ciò è proprio la loro, non dei proletari o della povera gente. In primo luogo, perché non hanno capito nulla delle raffinate tattiche e dei sottili stratagemmi adottati dalla borghesia imperialista per fronteggiare la propria crisi strutturale.

Un esempio di tutto ciò è la questione dell’immigrazione selvaggia, dalla quale si evince la totale sottomissione di questi dirigenti alle ideologie liberale e cattolica. Sarebbe di sinistra (o addirittura “rivoluzionario”) tutto ciò che acconsente acriticamente all’immigrazione selvaggia mentre sarebbe “razzista” qualsiasi posizione o proposta che possa (anche indirettamente) mettere in discussione tale dogma.

Eppure questo problema ha una peculiarità tutta italiana, mentre si presenta con caratteristiche diverse altrove, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Ancora una volta, come per altre questioni in un passato meno recente sono stati gli ex di Iniziativa Comunista a lanciare l’allarme sulle posizioni e le iniziative scellerate della sinistra di incondizionato appoggio dell’immigrazione selvaggia, denunciando come queste ci avrebbero fatto prendere una “cantonata” peggiore di quelle passate.

Ora ne paghiamo tutti le amare e dure conseguenze, perciò sarà meglio che usciamo dalle favole (tutto ciò che è immigrazione selvaggia è buono e tutto il resto è cattivo) delle ideologie liberale e cattolica, cominciando a discutere con ambizione scientifica di quesiti e problemi reali.

Per iniziare, indico sommariamente alcuni temi che andrebbero discussi ed approfonditi per smetterla di fare il gioco di fascisti e leghisti ed invertire la tendenza al loro radicamento tra le masse proletarie e lavoratrici, come tra la gioventù.

1. Il modo in cui è stata affrontata la questione da parte nostra (diciamo così) nell’ultimo quarto di secolo, non ha nulla a che vedere con la storia e le concezioni del PCI e del movimento operaio; in altri termini, è ragionevole sostenere che questi avrebbero affrontato il problema dell’immigrazione selvaggia in modo completamente diverso.

Ci sono numerosi casi che la storia ci offre per sostenere questa tesi, a cominciare dalla prima volta che fu arrestato Giacinto Menotti Serrati (fine ‘800) per aver difeso dei lavoratori francesi in sciopero i quali avevano aggredito con violenza alcuni poveri immigrati italiani, ingaggiati dai padroni per fare i crumiri. G. M. Serrati, cento anni fa, era il più popolare dirigente socialista italiano e -dopo la scissione di Livorno- aderì al PCI (di cui fu membro del Comitato Centrale) e morì nel 1925, dopo una riunione clandestina, al confine lombardo tra Italia e Svizzera.

Nel trentennale della scomparsa (1955) Pietro Secchia parlò ad una grande manifestazione operaia milanese per ricordarne la figura e volle sottolineare anche questo episodio della vita di Serrati.

2. Nella sinistra liberalcattolica, è proibito qualsiasi accenno all’uso politico, sociale (e di altri tipi) dell’immigrazione selvaggia da parte della borghesia imperialista, se non per demonizzare ancora i proletari italiani (i quali -solo loro- farebbero la guerra tra poveri e addirittura sarebbero “i penultimi che vogliono affondare gli ultimi”).

Di conseguenza, la vera causa dell’immigrazione selvaggia sarebbe la fame nel mondo: con lo stesso diritto potrebbero anche dire che un investimento capitalista, per esempio l’apertura di un nuovo impianto, sarebbe motivato… dalla disoccupazione! Quest’ultima -e la fame nel mondo- rappresentano drammi autentici e molto estesi -e la borghesia approfitta sciacallescamente anche di essi- ma il marxismo, da oltre un secolo e mezzo, ha spiegato scientificamente come le “azioni” (nel senso di quote di capitale) della borghesia non siano finalizzate a… buone azioni!

3. Una recente vicenda giudiziaria, ci ha permesso di cogliere uno scorcio di cosa c’è di nuovo nel potere reale in Italia. Si tratta della mafia romana del “mondo di mezzo”, quella che ha reso noti i nomi di Buzzi e Carminati.

Un terrorista fascista e un esponente delle coop, di centrosinistra: il sistema di potere ai tempi del regime bipolare! La gabbia ideologica (liberale e cattolica) che opprime la sinistra italiana, ha completamente censurato il dettaglio più rappresentativo della suddetta novità, contenuto in una frase intercettata del capo: “gli immigrati rendono più della droga”.

È vietato parlare di questa intercettazione, del suo significato, dei suoi risvolti. Bisogna fingere che non sia mai esistita. Così, nel difficile tentativo di combattere il fascismo tra le masse, non possiamo neanche dire che sono proprio i fascisti a guadagnare su certi campi nomadi e su certe conseguenze degenerate dell’immigrazione selvaggia (di cui naturalmente non sono colpevoli i singoli immigrati).

Proprio quest’estate, ho scritto un piccolo articolo titolato “Antirazzisti? No, servi dei padroni” nel quale sostenevo la seguente tesi: l’immigrazione selvaggia ha bisogno della mafia e viceversa. Sono sempre pronto a discutere concretamente con chi volesse confutarla.

4. Ritengo che siano ben pochi (forse nessuno) i paesi al mondo in cui, nell’ultimo trentennio, il prezzo del consumo della forza-lavoro sia crollato così tanto come in Italia. Noi non parliamo, come fanno gli ideologi della borghesia (tra cui alcuni che si dicono “comunisti” o di sinistra) di “costo del lavoro” essenzialmente perché il “lavoro” è una risorsa e non un costo, tanto che i capitalisti amano definirsi “datori di lavoro” (che invece sarebbero gli operai). La propaganda borghese dovrebbe mettersi d’accordo con se stessa: se i “datori di lavoro” sono loro, allora come possono parlare di “costo del lavoro” riferendosi agli operai anziché a se stessi?

Noi parliamo invece di salario (sarebbe troppo poco dire che è dimezzato in questo periodo), della sua capacità d’acquisto e più precisamente di tenore di vita. Questi indici hanno subito un calo così grave, tale da trovare precedenti solo in pochi, brevi, periodi di guerra. Ciò vale soprattutto per il salario orario e trovo utile, spesso, spiegarlo con argomenti semplici e concreti che faranno certamente storcere il naso a dotti intellettuali, magari economisti come il “compagno” Bagnai (ora deputato della Lega).

Quando ero un giovane operaio metalmeccanico (senza anzianità né specializzazione) con la retribuzione netta media di un’ora di lavoro potevo acquistare più di 16 biglietti dell’autobus, oppure 12,5 gelati (i cremini) oppure 8/9 quotidiani, senza contare il trattamento pensionistico e di fine rapporto ed altri elementi del salario.

Basta che qualcuno consideri il numero medio di ore lavorate al mese e divida la propria retribuzione per esse e confronti il risultato con la quantità di merci -tra quelle suddette- che può comprare. Così potrà farsi un’idea concreta di quello che è successo.

Lo sviluppo industriale italiano, la sua finanza (arcaica e “familiare”) sono cresciuti in base a due presupposti: il costo irrisorio di manodopera disponibile e delle materie prime importate. Quest’ultimo fattore non esiste più ed inoltre -per un insieme di ragioni scientificamente spiegate (e previste con notevole anticipo) dal marxismo-leninismo- la borghesia italiana deve fronteggiare un proprio fortissimo declino, sul quale pesa anche il declino strutturale della borghesia imperialista europea, nell’ambito degli impetuosi processi che investono tutto il mondo.

Perciò ripone disperatamente le sue speranze nell’abbassamento dei salari. Tuttavia, la società italiana -condizionata dagli interessi della stessa borghesia- vede un costante processo, molto marcato, di riduzione delle nascite e quindi della popolazione. È in questo quadro che si capisce la logica del ricorso all’immigrazione selvaggia organizzata negli ultimi decenni dalla borghesia imperialista (che cerca di approfittare anche politicamente di ciò) e per sostenere il quale ha mobilitato tutti i suoi servi, di varie funzioni e colori.

Il processo di caduta tendenziale del saggio medio di profitto (insieme ad altre cause ben descritte nel terzo libro de Il Capitale) è sfociato nella crisi di sovrapproduzione generale di merci o assoluta di capitale. Per cercare di ripristinare i margini di profitto andati perduti, uno dei sistemi riguarda la modifica della composizione organica del capitale a vantaggio del capitale variabile rispetto a quello costante.

Parole molto difficili ma concretamente significa che il profitto capitalista si può rilanciare (o illudersi di farlo) avendo a disposizione tanti disoccupati -immigrati e residenti- alla disperata ricerca di un lavoro ed avviare “attività produttive” o investimenti nei quali si spende (relativamente parlando) più per pagare -pochissimo- i lavoratori che non per gli impianti, i macchinari, ecc.

Insomma, il capitale si valorizza bene a Rosarno e nel foggiano (in arcaiche attività agricole) non meno che in moderni ed avanzati investimenti tecnologici i quali, a loro volta, difendono il loro tasso di profitto grazie all’abbassamento generale del prezzo della forza-lavoro dovuto alla disponibilità di una grande quantità di immigrati selvaggiamente “importati” in un periodo storicamente breve.

Alla faccia dell’industria 4.0!

5. Quanto appena scritto, significa che la borghesia imperialista ha fatto ricorso all’immigrazione selvaggia per disporre di una grande massa di forza-lavoro “sostitutiva” di quella già esistente al fine di pagare tutti molto meno.

Ovviamente i singoli immigrati non hanno alcuna colpa di ciò essendo, in tal modo, sfruttati due volte.

Per questo non è corretto sostenere che gli immigrati sarebbero un “esercito industriale di riserva”. Se si fosse trattato solo di questo, la borghesia imperialista non avrebbe avuto bisogno di organizzare l’immigrazione selvaggia (ovvero di stampo “neoliberista”) degli ultimi anni.

Il “nostro” esercito industriale di riserva c’è già, sono i 5/6 milioni di disoccupati e gli altrettanti (più o meno) occupati saltuariamente in molteplici tipi di lavoro nero e precario. Credere che la peculiare immigrazione (selvaggia) che ha investito il nostro paese sia dovuta alla suddetta necessità significa equivocare la concezione marxista di tale fenomeno. Infatti l’esercito industriale di riserva, prima di tutto, si forma “in loco”. Esso è il risultato (attualmente) dell’andamento a fisarmonica dell’occupazione intrecciato ai cicli delle crisi capitaliste di sovrapproduzione. In breve: prima (e per una determinata serie di investimenti, ecc.) si occupano molti lavoratori, poi se ne licenziano la gran parte, poi se ne riassorbono di nuovo molti (ma non tutti) finchè, nuovamente, ne verranno licenziati tanti dei quali, solo una parte sarà, in seguito, riassunta, e così via.

In questo modo si estende progressivamente ed ineluttabilmente la quantità di senza lavoro (solo la rivoluzione socialista potrà fermare ed invertire questa tendenza) e questo è l’esercito industriale di riserva, principalmente.

Tanto che la storica sedimentazione di tale esercito, prodotto in Italia, è costituita da 120 milioni di italiani (emigrati o discendenti di essi) disseminati in quasi tutto il mondo. Molti di questi, emigrarono non perché servisse in particolare -nei paesi di destinazione- un “esercito industriale di riserva” bensì perché serviva urgentemente forza-lavoro aggiuntiva per particolari necessità di rapida ed intensa espansione delle forze produttive.

È il caso, per esempio, degli USA tra fine ‘800 e primi decenni del ‘900, dove c’era una bassissima densità della popolazione, i nativi “pellerossa” (fino a quel momento vissuti in una struttura di comunismo primitivo) non erano assoggettabili al lavoro operaio e gli schiavi africani non erano sufficienti e troppo concentrati in pochi stati del sud. La rapida, intensa, industrializzazione degli USA (soprattutto nel nord del paese) aveva bisogno anche di un eguale aumento della popolazione.

Altro esempio è la Germania del dopoguerra dove la necessità -nelle nuove condizioni- di un rapido ripristino dell’apparato industriale e del tessuto economico distrutti dagli eventi bellici e di una nuova, ulteriore espansione produttiva, non poteva essere assicurata solo dalla forza-lavoro disponibile in loco; servì “l’importazione” di milioni di lavoratori che garantissero manodopera alla Volkswagen, nelle acciaierie e in tante altre industrie, nonché nell’edilizia.

In seguito a fenomeni come quello appena descritto, aumentò enormemente e rapidamente la necessità di energia, in primo luogo di carbone. Di conseguenza, crebbe in pari misura la necessità di aumentare la produzione dell’industria estrattiva, per esempio nelle miniere del Belgio; e non bastavano i lavoratori disponibili. Furono mandati migliaia di italiani a fare i minatori e la necessità del loro lavoro era tale che vennero istituite pene detentive per chi non rispettava l’impegno a rimanere un numero minimo di anni: è in tale contesto che avvenne la nota strage di Marcinelle.

Salvini, come al solito, ha torto nel contrapporre (a modo suo) gli emigrati italiani -che sarebbero tutti bravi e buoni- a quelli stranieri in Italia, descritti in larga parte come “cattivi”: basti pensare che una minoranza dei nostri connazionali ha portato la mafia in molti paesi, mentre molti stranieri sono pacifici e laboriosi, vittime di guerre, dittature e ingiustizie.

Tuttavia, è inutile dire -come vuole l’ideologia liberalcattolica- che “anche noi siamo un paese di migranti”. Gli italiani -come i portoghesi, i greci, i turchi e tanti altri- che andavano all’estero fino a 30/40 anni fa erano forza-lavoro “aggiuntiva” a quella locale già largamente occupata. Essi non dovevano far abbassare drammaticamente il salario (semmai contribuire a non farlo crescere troppo) ma garantire, appunto, una rapida ed intensa espansione dell’apparato produttivo, vera causa -in quel contesto- della moltiplicazione dei profitti.

6. La borghesia imperialista, quasi trent’anni fa, ha vinto una lotteria, con la quale ha potuto rimandare di quasi vent’anni gravi crisi. Si tratta della caduta dei regimi popolari dell’Europa centro-orientale. In quei paesi, ha comprato tutto quanto gli interessava, ricavandone grandi profitti. Proprio per questo, però, il mercato tende ad essere saturo e l’occupazione è assai alta.

Si tratta di condizioni che generano una pressione al rialzo dei salari.

Così, i poveri industriali italiani (e di altri paesi) che hanno delocalizzato, rischiano di ritrovarsi ora con gli stessi problemi da cui volevano fuggire!

Nessuno è mai stato così perfido da sospettare che i governanti italiani (in larga parte marionette degli USA, della NATO e della UE) hanno provocato l’immigrazione selvaggia anche per creare, nel nostro paese, una sorta di “testa di ponte” ossia una grande massa di immigrati da trasferire in quei paesi. Al fine di scongiurare il rialzo dei salari e ripetere quanto già sperimentato da noi.

7. L’offensiva della propaganda di regime riguarda essenzialmente i flussi migratori tra le coste africane (soprattutto la Libia) e la Sicilia (e altre regioni meridionali). Nella sinistra liberalcattolica è proibito parlare troppo della illegale aggressione alla Libia di sette anni fa e non si può assolutamente ipotizzare che essa era finalizzata proprio a permettere un esodo di massa su quel tratto di mare.

Ancor di più è vietato far notare che l’anno di quella guerra ingiustificata è lo stesso in cui (come accade ogni decennio) in Italia si svolge il censimento. Quella volta registrò un lieve calo degli immigrati residenti nel nostro paese.

Due anni fa, il presidente Obama, (quando sembrava scontata la sua imminente sostituzione con la Clinton) ha ricevuto alla Casa Bianca il suo Matteo Renzi, si è pubblicamente complimentato per la sua sensibilità umanitaria a favore dei migranti che solcavano il mare verso la Sicilia ed ha promesso -dimostrando eguale “solidarietà umanitaria”- che avrebbe aiutato lo sforzo italiano inviando permanentemente nella zona navi militari USA e NATO. Al momento quel proposito è sospeso a causa dell’imprevista elezione di Trump.

Non sono uno stratega militare, tuttavia una fitta rete di barconi della mafia, navi umanitarie delle ONG (occidentali), mezzi della marina militare italiana (e delle missioni europee) e -come era nelle iniziali intenzioni- navi militari in servizio “umanitario” USA e NATO, tutte dislocate in un costante andirivieni tra Sicilia e Golfo della Sirte, mi sembra costituiscano una potente barriera capace di condizionare tutta l’area proprio al centro del Mediterraneo!

8. Mi sono dilungato troppo e me ne scuso con tutte e tutti, purtroppo il disastro in cui la sinistra ha cacciato tutto il movimento operaio italiano non può essere affrontato con poche frasi di circostanza e qualche ricettina a portata di mano.

Concludo accennando ancora ad un altro tema da discutere. “Gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”. Questa, direi, è la parola d’ordine dei più servi o dei più imbecilli ed ignoranti (e borghesi) tra i dirigenti della sinistra e dei movimenti. Non sanno quanto hanno perso i lavoratori italiani, che cosa devono accettare per campare la propria famiglia. Non sanno i sacrifici che fanno e le paure che li attanagliano. Non sanno di quanti giovani laureati si piegano a gravose e precarie mansioni per 600 euro al mese e quanti vanno in bicicletta a portare cibi a domicilio per tre euro. Ignorano pure che molte “badanti” cominciano ad essere italiane, a condizioni che prima accettavano solo povere donne sole provenienti da paesi lontanissimi.

Questi servi o imbecilli -anziché sostenere che gli “italiani” rifiutano dei lavori- dovrebbero dire, semmai che essi non vorrebbero le paghe, le umiliazioni ed i pericoli che i padroni pretendono di imporre. Con questa espressione offendono un migliaio circa di lavoratrici e lavoratori, spesso giovani, che muoiono annualmente nel posto di lavoro, nonché un certo numero (troppo alto) di disoccupati che si suicidano per la loro condizione. Per ogni lavoratore che muore così, ce ne sono decine e decine (forse centinaia) che rimangono mutilati o menomati, che si feriscono, che contraggono malattie professionali anche gravi per le stesse cause.

E per ognuno di costoro ce ne sono decine e decine (forse di più) che ogni giorno devono chinare la testa e accettare senza fiatare di svolgere mansioni e compiti che comportano quei rischi: molti, fortunatamente, riescono a cavarsela lo stesso.

Nella sinistra succube delle ideologie liberale o cattolica, molti affermano convintamente che gli immigrati sono proletari sottoposti a ricatti e sfruttamento, per i quali occorre lottare e che costituiscono un’importante forza potenziale per lo sviluppo della lotta di classe ed anche per il cambiamento della società.

Ecco, quando queste giuste affermazioni si faranno senza distinzioni tra immigrati e non, quando gli stessi concetti varranno anche per i lavoratori e giovani di origine italiana, forse vuol dire che potremo cominciare a risalire la china (assai lunga e ripida).

Un tempo si parlava di “anomalia italiana” per indicare come la grande forza del PCI -e quindi del movimento operaio- rendesse (positivamente) particolare il nostro paese. La sinistra succube della borghesia ci ha portato al punto più lontano da quello, peggio di quanto ha lasciato che il valore reale del salario si allontanasse da quello di quei tempi.

Le questioni che sollevo, possono unire tutti i proletari, le lavoratrici e i lavoratori senza alcuna distinzione di origine o nazionalità, perché i proletari stranieri sono vittime della politica dell’immigrazione selvaggia non meno di quelli di origine italiana. Essi oggi trovano condizioni molto peggiori di quelle di 25/30 anni fa ed i loro figli (nati e cresciuti in Italia) condividono con i giovani di origine italiana lo stesso presente ingiusto e il medesimo futuro angoscioso e miserabile: e contro ciò vale la pena lottare tutti insieme, per una sinistra e dei movimenti assai diversi da come sono oggi e per tornare ad una “anomalia” che sia l’opposto di quella attuale.