Ricetta greca anche per l’Italia?

di Nadia Schavecher

milano 170312 02Verso l’unità delle forze di sinistra: il PdCI organizza a Milano un importante incontro pubblico che dimostra che sulle questioni dirimenti del lavoro, del welfare, della redistribuzione del reddito l’unità tra le forze di sinistra e democratiche non è solo necessaria ma possibile

Nello storico Salone dell’Umanitaria di Milano, antico quartiere costruito dalla Società Umanitaria in via Solari, dove ancora si respira l’aria delle ormai quasi scomparse “case del popolo”, e dove i comunisti hanno ancora la sede avendo resistito più volte allo sfratto negli anni bui della destra padrona al Comune di Milano, i Comunisti Italiani hanno organizzato un incontro importante tra tutti i Partiti del Centrosinistra la FIOM e la CGIL riunendoli a discutere e confrontarsi sull’analisi della situazione e sul che fare:
 

Ricetta Greca anche per l’Italia? Come difendere il lavoro in tempo di crisi” questo il titolo che avvia un confronto non semplice ma cruciale in questa fase storica.

Introduce il Compagno Gianni Pagliarini, Segretario Provinciale del PdCI, che parte subito con la nostra lettura della crisi, che non è una crisi ciclica ma crisi dello stesso sistema capitalistico, una crisi che investe infatti il mondo occidentale industrializzato a livello finanziario economico e sociale. La conclusione di un periodo trentennale di politiche liberiste, terziarizzazione dell’economia e predominanza della rendita finanziaria ci porta ad oggi, e quel che è peggio sono le scelte imposte da organismi ademocratici come la BCE e l’FMI, ancorati alle politiche liberiste che hanno generato la crisi, causando una spirale negativa che ci porterà nel baratro. L’obiettivo principale di queste misure è far pagare i ceti popolari tutto il peso della crisi, abbattendo i diritti ed il welfare nato dalle lotte dei lavoratori. In Europa molti paesi sono in recessione, 24 milioni sono i disoccupati, il 30 % dei giovani in Italia, dove non si intravvedono politiche espansive; così facendo la situazione sarà sempre più grave, stretti tra recessione ed ottuso rigore la vita sta diventando per grandi masse sempre più difficile, a Milano il 90% degli sfratti sono per morosità e i nuovi poveri sono aumentati del 12% rispetto l’anno precedente, 118.000 disoccupati e tante altre migliaia in CIGS destinate a diventare disoccupazione. I padroni vogliono attaccare in modo definitivo i diritti dei lavoratori, già piegati da flessibilità e precarietà, l’ultimo atto, l’attacco all’art 18. Noi siamo al fianco della FIOM e della CGIL, siamo preoccupati di questo negoziato al buio sul mercato del lavoro, grave lesione alla democrazia. La sinistra si salva se mette al centro il mondo del lavoro, se batte la destra con una politica che non sia la politica di Monti. Pagliarini cede la parola al compagno Vladimiro Giacché , economista e vicepresidente dell’Associazione Marx XXI, che ci spiega quali sono le ragioni della crisi: questa è la crisi di un modello di crescita che è stata pagata col debito pubblico e privato; una crescita basata essenzialmente sulla finanza che ha consentito per un certo periodo l’espansione dei consumi negli Stati Uniti. Abbiamo così visto le bolle speculative, ma anche il mantenimento di imprese in settori maturi, ad esempio quello dell’auto, la crisi del settore auto c’era già 10 anni fa ma è stata spostata più avanti con questi sistemi. La finanza è stata utilizzata come veicolo di speculazione, sviluppando così profitto senza produzione. Nel 2007- 2008 il meccanismo si è rotto, il debito privato è stato così traslato nel debito pubblico, tutti gli Stati infatti hanno speso cifre enormi per tenere in piedi imprese e Banche. Un aumento del debito porta ovviamente ad un aumento del rapporto debito/PIL. In Europa abbiamo una forte disarmonia tra le diverse economie, sulle politiche fiscali e sulla protezione del lavoro non c’è il voto a maggioranza, quindi ciascuno Stato può bloccare la decisione, la competitività viene recuperata così sulla riduzione del costo del lavoro e sulla spinta fiscale. Si ha così dumping sociale e fiscale all’interno dell’Unione Europea. Uno strumento per riavvicinare queste economie sarebbe mettere mano agli squilibri senza fare la politica imposta alla Grecia, infatti in Grecia la crisi stessa è stata creata dalle misure imposte: abbiamo un crollo della domanda interna, una rapida discesa della produttività, e di conseguenza un forte aumento del rapporto debito/PIL. Quello che è peggio è che le strategie rovinose adottate proseguono. Quale è il motivo? Il motivo è economico ma anche ideologico, spiega Giacché. Perché quello che è fallito è il modello neoliberista e fintantoché questo non si capisce o non si vuole accettare le strategie che si propongono saranno sempre quelle sbagliate, infatti si stanno semplicemente adottando misure che sono la causa stessa del problema! Le liberalizzazioni infatti non creano crescita ma distribuiscono in altro modo quello che c’è. Gli effetti di queste politiche sono già visibili: la recessione è attribuibile all’austerity selvaggia dell’ultimo periodo dell’anno scorso: infatti nel 2011 le manovre economiche che si sommano ammontano ai 55 miliardi del governo Berlusconi più i 24 del governo Monti. A regime arriveremo nel 2014 a 118 miliardi di euro, e questo è insensato e gravissimo per i suoi effetti. Già oggi produciamo macchine utensili solo per l’estero! Nel 2009 già c’era un grave perdita nella produzione industriale, ma a differenza di oggi tutti erano in perdita, ora no, siamo noi il fanalino di coda. I nostri prodotti hanno perso competitività, non a causa dei lavoratori, ma per il fatto che non ci sono stati gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle imprese. E’ per questo che sarebbe importante riorientare gli incentivi, cioè fare investimenti pubblici in formazione e ricerca e in infrastrutture, le quali cose ci si impedisce di affrontare con le misure capestro che sono state introdotte. Rischiamo un dramma sociale enorme, con il crollo della domanda rischiamo di finire nella spirale greca, dobbiamo opporci all’attacco al lavoro anche per questa ragione. I margini sono ristretti, sarà fondamentale quello che riusciremo a fare nei prossimi anni.
 

La parola passa a Carla Ravaioli, storica ambientalista, afferma che il tema dell’ambiente è inserito appieno a tutte le dinamiche politiche ed economiche di cui si discute. Il capitalismo con la sua crescita illimitata e il saccheggio delle risorse e la sopravvivenza ambientale sono incompatibili., pertanto una vera politica ambientale non può che essere una battaglia contro il capitalismo.
 

Maruska Piredda, responsabile lavoro dell’Italia dei Valori, ci tiene da subito a sottolineare l’importanza di iniziative che vedano discutere tutta la sinistra insieme, ed invita a moltiplicare questi momenti di confronto. Afferma convinta che chi ha modificato la legislazione del lavoro in Italia ha pensato ai numeri e non alle persone. Il sistema italiano di “flexinsicurity” non garantisce neppure la condizione minima di esistenza civile, visto dalla parte dei giovani il nostro Paese pare una repubblica fondata sul non-lavoro. I nuovi giovani precari non arriveranno mai ad avere una pensione per sopravvivere quando saranno vecchi. Questa classe politica è scollegata dalla realtà e i “tecnici”, che dopotutto hanno sempre vissuto di nomine politiche sono al pari. Dobbiamo pensare come sinistra a tutelare la qualità della vita e porre un limite, una linea netta invalicabile allo sfruttamento e alla perdita dei diritti.
 

Paolo Nerozzi senatore del PD analizza la tendenza forte nella redistribuzione del reddito fra Paesi e fra ricchi e poveri nel mondo. La crescita dei Paesi emergenti ha ridotto le risorse energetiche a disposizione. Di fronte a queste sfide una delle prime riflessioni ch deve fare la sinistra in Europa è la ricostruzione politica europea, e la costruzione di una propria idea di Europa in tema di ambiente, modello sociale e sviluppo. Non è possibile, dice Nerozzi, salvaguardare tutto quello che c’è e non dare risposte alle nuove realtà ed ai nuovi problemi. Dobbiamo pensare ad avere una pensione dignitosa e nel contempo ad un salario di cittadinanza. In queste condizioni o si ripensa tutto come sinistra europea nel suo complesso o non se ne esce. Un grosso problema è dato dal fatto che la redistribuzione del reddito non è andata in innovazione e ricerca ma in rendita finanziaria, e questo riguarda anche errori fatti dal Governo Prodi nel 98/ 2002. L’ art. 18, che non riguarda in sé molte persone, è però un punto dirimente, che può significare l’umiliazione e la sconfitta definitiva del Sindacato in questo Paese. Ci sono forze nel Governo che non vogliono l’accordo, quindi potremmo trovarci di fronte ad un non-accordo. Bisogna che le sinistre arrivino al 2013 in un’altra condizione, aprendo un confronto per trovare la soluzione. Alcune voci si sono sollevate durante l’intervento di Nerozzi, addebitandogli un discorso troppo criptico o diplomatico.
 

Prende la parola Tino Magni, il coordinatore regionale di SEL denuncia che la competizione in Europa si fa sulle condizioni di lavoro (e di vita), serviva invece avere un contratto di lavoro europeo. Bisogna dare un freno al dumping sociale tra i Paesi in Europa. Purtroppo constatiamo che non c’è stato un pensiero che contrastasse il neoliberismo, negli ultimi decenni assurto a pensiero unico. Non si può più accettare la posizione di equidistanza tra capitale e lavoro alla “Veltroni”. Quando si investe, bisogna decidere per produrre che cosa, dato che siamo in un momento di sovrapproduzione e di aumento delle problematiche ambientali. La politica quindi deve dare gli orientamenti, ci deve essere più politica nell’economia, mentre oggi la politica è al servizio della finanza, è una situazione da ribaltare. Sull’articolo 18 Magni afferma che un diritto non è mediabile e che l’art 18 rappresenta la dignità, è un problema il fatto che si vada a discuterne senza mandato dei lavoratori. Se la sinistra riuscirà ad unirsi e fare massa critica anche le battaglie della FIOM troveranno la necessaria sponda politica. C’è la concreta possibilità di avere buoni risultati, per esempio sull’acqua abbiamo visto che la gente ha risposto. Quindi c’è la concreta possibilità di cambiare se riusciamo a costruire una proposta comune.
 

Laura Spezia della segreteria Nazionale FIOM parte dall’amara costatazione che nei luoghi di lavoro non c’è più democrazia e che il lavoro è oggi più povero. La democrazia nel nostro Paese è a rischio, alcuni fatti ci danno la cifra del pericolo: sulla riforma delle pensioni nessuno ha potuto dire la sua, inoltre questo Governo è nato a dispetto della democrazia, in un momento in cui la sinistra aveva una occasione (che ha perso) per ripensare ad un modello di sviluppo completamente diverso da quello che ha prodotto la crisi. Visto che le risorse del pianeta sono limitate, bisognava pensare ad un sistema socialmente plausibile ed ambientalmente compatibile investendo in ricerca e innovazione, invece si sta facendo esattamente l’opposto. Purtroppo questo è un sistema abbracciato anche da una parte del centro sinistra, perché quando si vota il pareggio di bilancio in Costituzione questo è la cartina di tornasole di dove si vuole arrivare. Dove sono più ormai i valori? Non esiste più valore del lavoro ma solo valore del mercato!
 

Di conseguenza non c’è più dignità. Una cosa gravissima il fatto che nessuno abbia alzato una voce sulla discriminazione degli iscritti in FIOM alla FIAT. Stiamo assistendo alla distruzione dello stato sociale nel nostro Paese. Sull’art. 18: è molto semplice, il Sindacato tutela il lavoratore da chi ha il coltello dalla parte del manico: il padrone; è chiaro che se si tolgono strumenti di tutela svanisce la funzione del sindacato, l’art.18 va allargato, non eliminato! La FIOM ha chiesto con forza che in questa “riforma” vengano ridotte le tipologie di contratto a 4 in tutto, e si faccia costare di più il lavoro precario. Tutto questo nella proposta del Governo non esiste, in più se si eliminano gli ammortizzatori sociali, CIGO, CIGS e Mobilità in un momento di crisi e recessione sarà un massacro, perché i posti di lavoro si perderanno comunque e non ci sarà alcun paracadute nemmeno temporaneo! E’ importante invece utilizzare tutti gli strumenti per evitare al massimo le fuoriuscite e al limite concedere un traghettamento alla pensione, onde evitare drammi che possono coinvolgere centinaia di migliaia di famiglie che resterebbero senza reddito.
 

La parola passa al compagno Oliviero Diliberto che inizia inquadrando la situazione nel contesto europeo e nel quadro storico degli ultimi decenni: cita Draghi che dice che è finito lo Stato Sociale europeo, chiedendosi il perché di questo dato di fatto. La risposta in chiave storica è semplice: la causa è la fine dell’URSS, perché la sua presenza oggettivamente imponeva il compromesso socialdemocratico ai capitalisti in occidente, con il crollo del sistema alternativo non hanno più avuto bisogno di competere e hanno scelto il modello americano. Noi in Italia è 20 anni che abbiamo governi tecnici e questo da quando abbiamo assistito alla fine dei Partiti di massa, anche questo una diretta conseguenza del crollo del muro. Partiamo dal governo Ciampi, un tecnico anche lui, la prima cosa che fa è cancellare la scala mobile. Dopo Ciampi arriva Berlusconi, lui dice di sé stesso che è una persona che sta fuori dalla politica, però tenta di cambiare le pensioni, grande manifestazione dei sindacati, crolla il suo governo, allora arriva Dini, altro tecnico che fa una grande riforma delle pensioni, una delle più pesanti. Poi arriva Prodi, che è da considerare un altro tecnico perché viene da un percorso non direttamente politico, poi D’Alema e Amato, di nuovo Berlusconi che prova ad abolire l’art.18, ma dopo una grandissima manifestazione con Cofferati, forse la più grande della nostra storia, non ci riesce. Ora Monti, che non deve rispondere agli elettori lo farà. In realtà non esistono governi tecnici, quelli tecnici sono più politici degli altri e possono fare quel che gli pare! Noi patiamo più degli altri in Europa, perché avevamo protezioni altissime, conquistate dal PCI e dal Sindacato. Purtroppo la sinistra moderata sta appoggiando queste modifiche, il PD pare commissariato dal Presidente Napolitano. L’ABC (Alfano-Bersani-Casini) non è la grande coalizione, è diverso: la grande coalizione altrove è stata votata, qui no. Il Governo Monti non ha alcuna legittimazione ma beneficia di un appoggio bipartisan in Parlamento, tutto questo sta già spaccando il popolo del PD. In questo contesto il grande tema all’ordine del giorno è la formazione di un pensiero alternativo a quello dominante che abbia gambe politiche, un partito o una aggregazione, ed è una necessità urgente perché quello che sta succedendo in tutta l’Europa è molto grave, l’Europa tra l’altro è solo una espressione geografica, non è neppure una federazione di stati, eppure impone delle misure e gli Stati devono obbedire, anche contro le loro stesse leggi democratiche! Si è visto bene in Grecia, dove volevano far esprimere il popolo con un referendum, è caduto il governo e niente referendum! La sovranità nazionale è stata sostituita dalla Banca Centrale. Vengono abbattute tutte le regole democratiche costruite nei secoli dalla rivoluzione francese in poi. Ci sono documenti di economisti e uno firmato da 50 costituzionalisti che si esprimono contro il pareggio di bilancio nella Costituzione, dato che con questa norma si distrugge completamente l’impianto stesso della nostra costituzione.
 

L’art.18 è un simbolo, chi vince su questo tema ha vinto per i prossimi 30 anni, non c’entra niente con il rilancio dell’economia e della competitività: è semplicemente l’esercizio di una cosa antichissima che si chiama lotta di classe, in questo caso subita dai lavoratori. Subita anche perché manca una rappresentanza politica, noi comunisti siamo pochi e davvero non bastiamo.
 

In realtà per il rilancio dell’economia e della nostra competitività ci vorrebbe un modello che sia capace di cogliere le novità, i vari settori dell’industria sopravvivono solo se sopravvive la filiera cultura-Università-saperi, cioè il binomio scuola più brevetti: siamo stati i primi sulla quantità di brevetti per 60 anni! Questo governo invece sulla scuola insegue la Gelmini, purtroppo se non si segue questa strada è veramente finita, i BRICS sono quello che sono perché hanno investito molto in ricerca, la ricerca dà sviluppo e con lo sviluppo cresce il lavoro.
 

Il nostro primo compito è studiare, studiare per ricostruire un pensiero alternativo aggiornato, a partire dallo sviluppo di un grande tema: quale il migliore rapporto tra Stato e Mercato, tra pianificazione economica e libera iniziativa. MarxXXI, questa nostra associazione cerca di far incontrare le tante intellettualità disperse in un luogo dove ci si parla, un nuovo “intellettuale collettivo”. La sinistra è in difficoltà perché ha smesso di studiare.
 

Il secondo compito è la riorganizzazione del fronte politico: la FdS è la somma di due Partiti Comunisti che si “beccano” tra loro, è fondamentale avere rapidamente un unico Partito Comunista in Italia, e questo non dipende da noi, l’abbiamo detto più volte e siamo pronti. Poi abbiamo bisogno di una Federazione vera di tutta la sinistra, un soggetto federativo delle sinistre, intendiamo noi con SEL e l’IDV, come discrimine la politica di classe, chi sta con la FIOM per intenderci. Una sinistra forte che dia la copertura politica alle lotte dei lavoratori!
 

Nel PD noi vediamo ora uno scontro violentissimo sul modello sociale, ricordiamoci che Bersani non voleva Monti, ma voleva le elezioni. Ma se c’è uno scontro in atto in un PD in cui gli elettori si percepiscono di sinistra che fare? Assecondare gli esclusori? O aiutare quelli che vogliono l’accordo con noi? Costruiamo oggi l’alleanza per domani, perché domani anche il PD non sarà nelle stesse condizioni di oggi, probabilmente un pezzo del PD andrà col PDL Maroni e Centristi, ma non sarà una nuova DC perché questa sarà una aggregazione di classe. Nostro dovere è costruire le migliori condizioni per tornare in Parlamento per difendere i lavoratori. Nostro compito primario è la ricomposizione unitaria a partire dalle questioni di classe, senza dimenticare che è necessario un rinnovamento dei gruppi dirigenti, quelli presenti sono provati da troppi anni di scissioni e lacerazioni per dare il meglio nella ricomposizione.
 

La platea, rimasta emotivamente partecipe ed attenta durante tutti gli interventi applaude: un piccolo iniziale passo verso la giusta direzione è stato fatto, non resta che continuare con tutta l’urgenza necessaria.

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