Come ho imparato a non preoccuparmi dei minibot

minibot 1 0Pubblichiamo come contributo al dibattito

da ragionidiscambio.it

È chiaro che la proposta dei minibot, che larga eco ha avuto in tutto il continente, ha a che vedere con la questione della posizione dell’Italia nell’euro, ma per affrontare il tema cerchiamo innanzi tutto di capire di che si tratta dal punto di vista economico e della finanza pubblica, perché non sempre le opinioni di commentatori più o meno esperti sono state precise e complete a riguardo. Ricapitoliamo dunque. Tra i crediti che i privati possono vantare verso la Pubblica Amministrazione figurano anche i cosiddetti crediti commerciali, che corrispondono a pagamenti non ancora effettuati, e spesso effettuati con molto ritardo, per prestazioni e fornitura allo Stato o (specialmente) agli Enti locali.

Per la P.A. sono passività, cioè debiti, e il loro ammontare, non facile da determinare, è stimato tra i 50 e i 60 miliardi. La necessità di ridurre l’ammontare di tali debiti è riconducibile sia al rispetto della normativa comunitaria (l’Italia è stata deferita dalla Commissione alla Corte di giustizia della UE per i suoi ritardi sistematici), sia al fatto che pagamenti più regolari avrebbero effetti positivi sull’attività economica e sull’occupazione.

Partiamo dalla mozione approvata in Parlamento la scorsa settimana. Essa impegna il governo ad accelerare i pagamenti, prevedendo modalità quali la compensazione tra debiti e crediti nonché, qui il punto che ha suscitato tanto scalpore, “attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio”.

Potremmo descrivere l’idea nel seguente modo: invece di reperire le risorse necessarie sui mercati finanziari con l’emissione di titoli, i titoli verrebbero offerti direttamente ai creditori, su base volontaria (la “base volontaria” non è specificata nella mozione ma è stata ribadita più volta in sede di dibattito precedente il voto). Il creditore potrebbe accettare il titolo, in alternativa all’attesa del pagamento, perché disporrebbe di uno strumento più facilmente liquidabile, presso una banca o sul mercato finanziario.

La prima obiezione sollevata a questa soluzione è che essa determinerebbe un aumento del debito pubblico. È bene chiarire dunque alcuni aspetti della questione dal punto di vista della finanza pubblica. I crediti commerciali sono l’effetto di spese già impegnate dalla pubblica amministrazione, e quindi già contabilizzate in bilancio (e quindi già conteggiate ai fini del deficit di bilancio), ma per le quali le risorse di cassa necessarie alla liquidazione non sono state ancora reperite. Sono, per l’appunto, debiti ancora da saldare. Una precisazione importante è che, per effetto delle convenzioni contabili adottate a livello europeo, i crediti commerciali non sono conteggiati nel debito pubblico “ufficiale” valido ai fini del rispetto delle regole UE sul rapporto debito/PIL.

È dunque corretto affermare che l’operazione porterebbe a un aumento del debito pubblico. Va tuttavia detto che è difficile immaginare modi per accelerare i pagamenti dei crediti commerciali alle imprese che non abbiano questo effetto. Nel 2013-14, quando il livello di tali debiti/crediti era più alto di oggi, le risorse per i pagamenti furono reperite con l’emissione di titoli sui mercati finanziari. Ma anche altre modalità con le quali le imprese rispondono al mancato pagamento hanno effetti simili: anche quando un’impresa cede il proprio credito a un intermediario (es. una banca), trasformando il credito commerciale in un credito della banca verso lo Stato, l’effetto contabile è la creazione di debito pubblico “ufficiale”.

L’unico modo per ridurre l’ammontare di crediti commerciali senza creare nuovo debito pubblico potrebbe essere quello di usare risorse fiscali “fresche”; ma nemmeno in questo caso potremmo dire che l’operazione è senza conseguenze per la sostenibilità del debito, visto che quelle risorse, se non utilizzate per ridurre i crediti commerciali, avrebbero potuto contribuire a una riduzione dello stock di titoli pubblici.

Si può infine obiettare che, in fondo, una riduzione nei tempi di pagamento non sia necessaria, o che comunque non sia “prudente” in un momento nel quale siamo a rischio infrazione per il rispetto della regola sulla riduzione del debito. Si può cioè argomentare che, debito per debito, è meglio che sia verso le imprese fornitrici, perché in questo modo resta meno visibile e non compare nel calcolo del parametro debito/PIL. Si può, avendo presente che è anche per questa minore visibilità che si creano incentivi perversi a ritardare i pagamenti.

Naturalmente quello del debito è solo un aspetto del problema. A destare allarme e a far parlare di “moneta parallela” è quella specificazione “di piccolo taglio” contenuta nella mozione. Non BOT ma mini-BOT, appunto. Vediamo meglio il ragionamento che ci sta dietro: se il taglio è piccolo, i titoli potrebbero, invece che essere liquidati sul mercato finanziario, magari con uno sconto che tenga conto della loro scadenza, essere utilizzati direttamente dalle imprese come mezzo di pagamento. L’impresa fornitrice dello Stato potrebbe cioè girare il minibot ricevuto direttamente ad altra impresa disponibile ad accettarlo, per estinguere un debito della prima verso la seconda o in cambio di beni o servizi. Il taglio ridotto potrebbe facilitare questa possibilità.

Insomma, il minibot potrebbe diventare liquido al punto di svolgere un ruolo analogo a quello della moneta. Uso il condizionale perché questo passaggio richiede che i soggetti, imprese e individui, accettino tale mezzo come pagamento, ne riconoscano il valore; c’è qui, come sempre nel caso della moneta, un elemento fiduciario: accetto una banconota perché so che quella banconota sarà accettata da altri. Nel caso della cartamoneta in senso proprio, tale elemento è rafforzato in modo decisivo dal fatto che ad essa sia dato dallo Stato corso legale, cioè che sia obbligatorio accettare la banconota per estinguere un debito.

Il presidente Draghi ha commentato la proposta dei minibot dicendo che essi “o sono moneta, e quindi illegali, o sono debito”. Sulla seconda parte della frase abbiamo già detto. Quanto alla possibile illegalità dell’operazione, va precisato che l’affermazione di Draghi è corretta solo se per moneta intendiamo moneta legale,legal tender. I Trattati UE (v. art. 128 TFUE) attribuiscono infatti al sistema delle Banche centrali il monopolio nell’emissione di banconote, unico legal tendernell’eurozona. Come abbiamo detto, questa possibilità sembra essere stata esclusa in questo caso.

Nulla impedirebbe tuttavia di utilizzare una forma di debito (questo sono i minibot, come abbiamo detto) come strumento di scambio e di riserva di valore, cioè come moneta in senso economico, senza che questo comporti alcuna violazione dei trattati. Per capire cosa si intenda per moneta senza corso legale, possiamo pensare al caso dei gettoni telefonici, un tempo usati tranquillamente in sostituzione delle monete, ai miniassegni degli anni Settanta, o anche ai buoni pasto, che vengono spesso accettati in pagamento come sostituto delle banconote; chi ha viaggiato in paesi ad economia meno sviluppata ha inoltre presente l’ampio utilizzo delle valute “forti” (come il dollaro o anche l’euro), che sono spesso accettate più volentieri della valuta locale pur non avendo in senso stretto corso legale.

L’accettazione dei minibot come forma di “moneta” potrebbe essere facilitato dalla possibilità di utilizzarli per il pagamento delle imposte o per l’estinzione di altri debiti verso lo Stato. La scommessa dei proponenti è che tale convertibilità immediata (l’on. Borghi in passato ha parlato anche della possibilità di utilizzarli per pagare la benzina presso certi distributori) possa garantirne l’accettazione alla pari, al loro valore nominale. In questo caso, l’effetto economico sarebbe né più né meno quello di una monetizzazione del debito: i minibot resterebbero in circolazione, sarebbero per così dire assorbiti nella liquidità, e lo Stato si sarebbe finanziato senza pagare interessi (e senza imporre un costo alle imprese disposte ad accettare questo strumento). Aumentare la liquidità, al fine di stimulare l’attività economica, è del resto l’obiettivo di tutte le proposte di “moneta fiscale” avanzate in questi anni.

Quali sono i rischi? Che l’operazione funzioni nel modo descritto, cioè che i minibot vengano accettati come un sostituto delle banconote con corso legale, è un esito tutt’altro che scontato. Tuttavia, i rischi sembrano essere limitati finché l’accettazione dei minibot resta su base volontaria, ovvero finché ci muoviamo nel campo della legalità delle norme europee. In questo caso, l’insuccesso dei minibot consisterebbe nel fatto che le imprese li rifiutano come forma di estinzione del debito oppure li accettano ma li vanno immediatamente a “scontare” presso una banca; o ancora, qualora ci fosse questa possibilità, li utilizzano immediatamente per saldare il proprio debito fiscale verso lo Stato, senza troppi passaggi di mano. In questo caso, il risultato sarebbe analogo a quel che già accade o a quello che accadrebbe prevedendo una compensazione diretta crediti/debiti tra impresa e Stato.

Un’altra preoccupazione è che le imprese possano essere nei fatti obbligate ad accettare i minibot se l’emissione dei titoli diventasse per lo Stato una scusa per abbandonare altre forme di estinzione del debito.

Vi è infine il rischio derivante da un eccessivo successo dei minibot: secondo qualcuno, questo potrebbe determinare comportamenti irresponsabili del governo, che si troverebbe a disposizione un canale per monetizzare parte della propria spesa, aggirando nei fatti il controllo che la banca centrale a questa possibilità e determinando effetti inflazionistici. La possibilità di un tale successo è ovviamente tutta da verificare e contraddice la previsione che i minibot sarebbero “carta straccia” o “patacconi” di nessun valore, come tali rifiutati dal pubblico.

Ma veniamo al punto che ha suscitato tanto scalpore, cioè il rapporto tra emissione dei minibot e uscita dall’euro. Ci muoviamo qui su un terreno più incerto, dove dominano supposizioni spesso ai limiti della fanta-economia (sebbene giustificate da dichiarazioni passate di esponenti della Lega).

Il punto è che, nel caso di un successo nell’operazione minibot, l’Italia disporrebbe di un canale di creazione di moneta alternativo a quello dell’eurosistema. È vero che tale moneta non sarebbe legal tender, ma in caso di necessità ed emergenza potrebbe facilmente diventarlo; le rotative dell’Istituto Poligrafico sarebbero comunque già in funzione. Ecco dunque la soluzione a una delle obiezioni spesso avanzate da chi ritiene impossibile un’exit dall’euro, prevedendo che nell’immediato la prospettiva dell’uscita determinerebbe una corsa agli sportelli e quindi una crisi bancaria, stante la difficoltà di reperire la liquidità necessaria a soddisfare le richieste del pubblico. È qualcosa che si è del resto già visto in Grecia nell’estate 2015, quando, nel duro confronto con la Commissione, il governo Tsipras-Varoufakis fu alla fine costretto a capitolare proprio per la pressione esercitata dal prosciugamento della liquidità del sistema bancario.

In questo senso, anche senza volere per forza l’uscita, la possibilità di disporre di una liquidità alternativa a quella rappresentata dalle banconote potrebbe costituire un’arma molto forte in sede di negoziazione. Naturalmente, quest’arma ha un prezzo: come stiamo vedendo in questi giorni, è sufficiente parlarne in termini di mera ipotesi per scatenare speculazioni sull’intenzione dell’Italia di uscire.

Non voglio minimizzare eccessivamente, ma pensare che la presenza dei minibot possa aumentare la probabilità di uscita mi pare sopravvalutare di molto la portata di questo strumento (anche in considerazione del fatto che il grosso delle transazioni non avviene con circolante bensì su piattaforme elettroniche). Insomma, delle due l’una: o l’uscita dall’euro comporterebbe, come si ritiene, un costo elevatissimo, e allora non sarebbero i minibot a fare la differenza, oppure, se veramente i minibot fossero in grado di ridurre significativamente tale costo, dovremmo ammettere che l’uscita è qualcosa di molto più concreto e alla nostra portata di quanto non crediamo.

D’altra parte, se i minibot sono uno strumento precauzionale per tutelarsi nel caso di una crisi di liquidità che potrebbe essere determinata anche indipendentemente dalla volontà di uscire, vedere la loro preparazione come segnale di un’intenzione concreta è un po’ come accusare l’armatore del Titanic di voler andare a sbattere contro un iceberg perché ha installato sulla nave delle scialuppe. Le scialuppe/minibot possono essere interpretate indubbiamente come un segno della sfiducia nel fatto che il nostro Titanic/euro sia realmente inaffondabile/irreversibile, ma occorre prendere atto che a questa irreversibilità ormai non crede nessuno; non ci credono in primo luogo i mercati, che da anni assegnano alla possibilità di rottura dell’euro una probabilità positiva.

Il problema è capire se continuare a negare questo rischio, considerando impossibile e impensabile la fine dell’euro e rinunciando quindi anche a qualsiasi forma di precauzione di fronte a questa possibilità, sia realmente il modo migliore per affrontarlo. Compito del governo è rassicurare rispetto alle proprie reali intenzioni, ma anche evitare di trovarsi del tutto impreparati ed esposti se l’evento temuto dovesse, alla fine, verificarsi comunque.