Agevolazioni e aiuti: quanto ci è costata l’Alcoa?

di Vladimiro Giacché | da pubblicogiornale.it

alcoa operaiLa vicenda della chiusura dell’Alcoa di Portovesme è la cronaca di una morte annunciata. E la conclusione di una storia italiana a suo modo esemplare. Questa storia inizia negli anni Novanta. Sono gli anni in cui si effettuano massicce privatizzazioni per ridurre il debito pubblico e migliorare l’efficienza delle imprese privatizzate.

Tra queste imprese vi è la Alumix, che viene privatizzata nel 1996 vendendola alla Aluminium Company of America (la Alcoa) per 380 miliardi di lire (circa 196 milioni di euro). A fronte di questo esborso, però, la Alcoa riceve il capitale circolante dell’azienda e tutti i suoi beni mobili e immobili, mentre i debiti dell’impresa restano a carico dello Stato. In definitiva l’operazione inizia con l’Alcoa che incassa svariate centinaia di miliardi di lire per la privatizzazione. Ma non è che l’inizio.

Pochi mesi prima della vendita, alla Alumix erano state garantite per 10 anni tariffe agevolate da parte dell’Enel (che dal 2000 le scaricherà sulle bollette pagate dai cittadini). Era questa, infatti, una delle condizioni imposte dal compratore per concludere l’acquisto dell’azienda. Le stime parlano di agevolazioni per circa 2 miliardi di euro tra il 1996 e il 2005.

Nel 2005, alla vigilia della scadenza delle tariffe agevolate, il governo Berlusconi decide di rinnovarle. E si prende una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea per aiuti di Stato. La Commissione dimostra che questi aiuti sono illegittimi e distorsivi della concorrenza, e nel 2009 condanna l’Italia a farsi restituire dall’Alcoa 295 milioni di euro erogati dal 2005. Siccome il governo italiano non fa nulla per riavere questi soldi, nel 2011 l’Italia viene deferita alla Corte di Giustizia europea. L’Alcoa fa ricorso ma perde la causa.

Marco Cobianchi ha raccontato nel suo nel suo libro Mani Bucate (Chiarelettere, 2011) la vicenda delle tariffe agevolate, aggiungendo un ulteriore tassello: il governo italiano, ricattato dall’Alcoa dopo la condanna del 2009, approva nel 2010 il cosiddetto “decreto salva Alcoa”, un’ulteriore agevolazione, che viene invece accettata dalla Commissione Europea. Perché? In quanto confezionata meglio dell’agevolazione precedente, prevedendo un numero maggiore di beneficiari (cosa che ovviamente fa aumentare i costi a carico delle bollette). Per quanto riguarda l’Alcoa, l’agevolazione tariffaria in questione permette alla multinazionale statunitense di pagare l’elettricità 30 euro a megawattora, contro un prezzo medio nazionale di 57 euro. Altri soldi trasferiti dai cittadini italiani agli azionisti Alcoa.

Ieri il ministro Passera, riferendosi all’Alcoa, ha dichiarato che “tenerla aperta costa” e che gli impianti saranno mantenuti in funzione soltanto ove ci siano concrete proposte di acquisto. Sarebbe fin troppo facile ricordare al ministro il costo dei prestiti statali che stanno mantenendo in vita il Monte dei Paschi di Siena, decisi senza esitazioni poche settimane fa (4 miliardi di euro), o le garanzie pubbliche sulle obbligazioni bancarie decise a dicembre dal governo Monti.

Ma il vero problema sollevato dalla vicenda Alcoa è un altro, e molto più grande. È il problema dei costi delle privatizzazioni italiane. Che hanno finito per arricchire soltanto i compratori e privato l’Italia di una parte essenziale della sua grande industria. È questo, più ancora delle agevolazioni all’Alcoa spesate sulle nostre bollette, il vero prezzo che stiamo pagando.